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Impulso di parte: chi può avviare l’esecuzione?

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di confisca e distruzione di beni, poiché il procedimento di esecuzione era stato avviato su segnalazione dei Carabinieri. La Corte ha ribadito che, secondo il principio dell’impulso di parte, solo il Pubblico Ministero, l’interessato o il suo difensore possono validamente presentare richiesta, pena la nullità insanabile del provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impulso di Parte: La Cassazione Annulla un Provvedimento di Esecuzione Avviato d’Ufficio

Nel processo penale, la fase dell’esecuzione è governata da regole precise, volte a garantire la corretta applicazione della legge e la tutela dei diritti di tutte le parti coinvolte. Una di queste regole fondamentali è il principio dell’impulso di parte, secondo cui il giudice dell’esecuzione non può agire di sua iniziativa, ma deve essere attivato da una richiesta proveniente da soggetti specificamente legittimati. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza questo principio, annullando un’ordinanza di confisca proprio perché il procedimento era stato avviato in modo irregolare.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un procedimento penale per un reato ambientale. A seguito di una sentenza di non luogo a procedere, un cittadino si opponeva a un’ordinanza del Tribunale che disponeva la confisca e la distruzione di alcuni beni precedentemente sequestrati. Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione, confermando la confisca.

L’interessato, tramite il suo difensore, presentava quindi ricorso in Cassazione, lamentando un vizio procedurale fondamentale: il provvedimento di confisca era stato emesso a seguito di una semplice segnalazione del Comando dei Carabinieri, e non su richiesta di uno dei soggetti previsti dalla legge.

La questione giuridica: il ruolo cruciale dell’impulso di parte

Il cuore della questione legale ruota attorno all’articolo 666, primo comma, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce chiaramente che il procedimento di esecuzione può essere instaurato solo “a richiesta del pubblico ministero, dell’interessato o del difensore”.

L’impulso di parte non è un mero formalismo, ma una garanzia fondamentale del sistema processuale. Esso assicura che il giudice dell’esecuzione intervenga solo quando vi è un interesse concreto e qualificato, espresso da una delle parti del procedimento. Qualsiasi atto compiuto dal giudice in assenza di una valida richiesta è viziato da una grave irregolarità.

Nel caso in esame, la richiesta di informazioni da parte dei Carabinieri non poteva essere considerata un valido atto di impulso, poiché le forze dell’ordine, pur svolgendo un ruolo essenziale nel sistema della giustizia, non rientrano tra i soggetti legittimati a dare avvio a un incidente di esecuzione.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. I giudici hanno sottolineato che il procedimento di esecuzione esige, salvo casi eccezionali come l’applicazione di amnistia o indulto, un impulso di parte. Un provvedimento adottato d’ufficio, o su sollecitazione di un soggetto non legittimato, è affetto da una nullità insanabile ai sensi dell’articolo 178, lettera b), del codice di procedura penale.

La Corte ha chiarito che i Carabinieri non possono essere considerati “interessati” ai sensi della norma. La giurisprudenza definisce “interessato” qualsiasi soggetto, anche esterno al processo di cognizione, la cui situazione giuridica possa essere influenzata positivamente o negativamente dal provvedimento del giudice dell’esecuzione. I Carabinieri, in questo contesto, agivano nell’ambito delle loro funzioni istituzionali e non come titolari di una posizione giuridica soggettiva incisa dal provvedimento di sequestro.

Di conseguenza, l’ordinanza impugnata è stata dichiarata nulla perché emessa all’interno di un procedimento viziato fin dalla sua origine, a causa della mancanza di una valida richiesta.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione della Cassazione ribadisce un principio cardine della procedura penale: il rispetto delle forme è garanzia di giustizia. L’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata significa che essa perde ogni efficacia. La Corte ha precisato che non era necessario disporre la restituzione dei beni sequestrati, poiché mancava una richiesta in tal senso da parte del ricorrente. Tuttavia, ha lasciato aperta la possibilità per l’interessato di presentare, in futuro, una valida istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere la restituzione, qualora ne sussistano i presupposti e non debba, invece, essere disposta la confisca sulla base di un procedimento correttamente instaurato.

Chi può avviare un procedimento di esecuzione penale?
Secondo l’art. 666, comma 1, del codice di procedura penale, il procedimento di esecuzione può essere avviato esclusivamente su richiesta del Pubblico Ministero, dell’interessato o del suo difensore.

Cosa succede se un procedimento di esecuzione viene avviato da un soggetto non autorizzato dalla legge?
Se il procedimento viene avviato d’ufficio dal giudice o su impulso di un soggetto non legittimato (come, nel caso di specie, i Carabinieri), il provvedimento che ne deriva è viziato da nullità insanabile e deve essere annullato.

Nel caso specifico, perché la segnalazione dei Carabinieri non era valida per avviare il procedimento?
La segnalazione dei Carabinieri non era valida perché essi non rientrano nella categoria di “soggetti interessati” definiti dalla legge e dalla giurisprudenza. Non essendo titolari di una situazione giuridica direttamente incisa dal provvedimento, la loro segnalazione non costituisce un valido impulso di parte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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