Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26992 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26992 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Sora il 10/08/1945
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 del Tribunale della libertà di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME del foro di Latina, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Lecce ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., avverso l’ordinanza con cui il G.i.p. del Tribunale di Lecce aveva dichiarato inammissibile l’istanza di dissequestro e restituzione del quantitativo di oro oggetto del contratto “conto tesoro” a suo tempo stipulato con la RAGIONE_SOCIALE.p.a., ovvero del controvalore in danaro: istanza che il COGNOME aveva proposto, quale terzo interessato, con riferimento al sequestro preventivo del danaro e dei beni eventualmente con esso acquistati, disposto nei confronti, tra gli altri, della predetta società, nell’ambito di un complesso procedimento per reati tributari ed altro.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore nonché procuratore speciale, deducendo inosservanza ovvero erronea applicazione della legge omessa o errata motivazione, anche in relazione alla mancata considerazione dei motivi di appello proposti.
Nel ricostruire la vicenda, si rappresenta che il ricorrente aveva depositato presso la società RAGIONE_SOCIALE dei metalli preziosi del tipo oro sotto forma di “Conto tesoro”, e che il contratto di adesione al Conto Tesoro era valido ed efficace, come espressamente asserito dal G.i.p. con il provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro: in quella sede, il G.i.p. aveva anche precisato che “le varie opzioni contemplate dal contratto potranno essere azionate nelle forme e nelle tempistiche previste dal contratto stesso, fermo restando che, in caso di richiesta di ritiro del metallo o di sua cessione a RAGIONE_SOCIALE, sarà necessaria l’autorizzazione del giudice delegato”.
Si deduce, altresì, l’insussistenza di dubbi sul diritto di proprietà dei prezios in capo all’istante, alla luce della documentazione in atti e dell’assenza di qualsiasi collegamento con le società al centro delle indagini: peraltro, per effetto del provvedimento ablativo, il COGNOME e gli soggetti interessati si erano vist privare della disponibilità di beni di loro esclusiva proprietà.
Il ricorrente si diffonde poi sull’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di diritti dei terzi in buona fede, con particolare riferimento alle disposizion di cui agli artt. 52 segg. del d.lgs. n. 159 dei 2011 (applicabili alla fattispeci esame ai sensi dell’art. 104 disp. att. cod, proc. pen.), e alla possibilità ottenere il riconoscimento dei credito ai sensi dell’art. 58 dello stesso d.igs.; lamenta, con riferimento alla concreta fattispecie, la mancata considerazione della consulenza a firma deil’arch. COGNOME in ordine alla possibilità di pote
soddisfare i crediti vantati dallo Stato con gli immobili nella disponibilità d proposto.
Dopo essersi a lungo soffermata sulla piena configurabilità della buona fede in capo al ricorrente, la difesa richiama le ulteriori affermazioni del G.i. secondo cui, da un lato, “l’oro acquistato tramite il prodotto ‘Conto Tesoro’ non dovrebbe farsi rientrare tra i metalli sottoposti a sequestro”, anche perché si tratta di beni appartenenti a terzi; d’altro lato, “la confusione contabile materiale tra l’oro e quello normalmente utilizzato da RAGIONE_SOCIALE per la sua attività” aveva determinato il suo confluire tra i beni strumentali all’attività dell’impresa i sequestro. Al riguardo, la difesa evidenzia che tale “confusione contabile” non era in alcun modo addebitabile a colpa o negligenza del COGNOME e degli altri terzi interessati, che erano quindi titolari dell’oro in sequestro e legittimati a chiedern la restituzione.
La difesa censura poi le ulteriori affermazioni del Tribunale, secondo cui il ricorrente – dopo la vendita dell’oro e il versamento del controvalore presso il FUG, ad opera dell’amministrazione giudiziario della EGM previa autorizzazione del G.i.p. – sarebbe titolare, quale terzo interessato, solo di un decreto da far valere in sede dì verifica degli altri crediti da compiersi all’udienza di cui all’ 57 d.igs. n. 159. Si osserva, al riguardo, che ai terzi deve darsi la possibilità ricevere la somma pari al controvalore dell’oro oggetto dell’investimento, dato che nessuna responsabilità poteva essere loro addebitata per la vendita dei preziosi in pendenza di sequestro non ancora divenuto confisca.
La difesa censura anche l’ulteriore affermazione dei Tribunale, che ha ritenuto inammissibile l’istanza dì restituzione essendo il richiedente ormai titolare solo di un diritto di credito, dal momento che il COGNOME aveva richiesto controvalore in danaro, e che lo stesso RAGIONE_SOCIALE aveva sottolineato la perdurante validità ed efficacia dei contratti di adesione al prodotto “Conto Tesoro”.
In tale prospettiva, si deduce anche l’inconferenza dell’ulteriore rilievo del Tribunale secondo cui “durante la ricognizione delle rimanenze di magazzino, sia durante l’operazione di sequestro con l’ausilio della P.G. e alla presenza dell’amministratore pro tempore, sia nelle successive operazioni di ricognizione del magazzino non veniva riscontrato oro/metallo prezioso specificamente identificato o depositato in un apposito caveau e destinato al prodotto “Conto Tesoro” e, dunque, ai singoli sottoscrittori, viceversa previsto nelle condizioni generali di contratto appunto 3.3″.
Da ultimo, la difesa ricorrente contesta la declaratoria di inammissibilità vantando il Passeri un interesse concreto ed attuale alla restituzione dell’oro o dei suo controvalore in denaro.
Con requisitoria tempestivamente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, evidenziando che la difesa ricorrente non si è adeguatamente confrontata con i profili di inammissibilità posti in rilievo nel provvedimento del Tribunale.
Il difensore, avv. NOME COGNOME ha depositato memoria in replica alla requisitoria del Procuratore Generale, con cui, nel riprendere le argomentazioni sviluppate nel ricorso, ne chiede l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Deve in primo luogo osservarsi che il Tribunale di Lecce ha posto in evidenza, in via preliminare (pag. 1), che il G.i.p., con l’ordinanza del 09/12/2024, aveva dichiarato inammissibile l’istanza di dissequestro, ritenuta meramente ripropositiva di questioni già esaminate e disattese in occasione del precedente provvedimento di rigetto di un’analoga istanza, emesso in data 24/11/2023, rispetto alla quale non erano stati dedotti ulteriori elementi di novità ovvero non previamente conosciuti.
Gli effetti preclusivi derivanti dalla decisione del 2023, evidenziati dal G.i.p e testualmente richiamati dal Tribunale di Lecce nel provvedimento oggetto del ricorso per cassazione, non sono stati in alcun modo contestati con l’atto di appello (né, tantomeno, nella sede odierna), con la conseguente originaria inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse dell’odierno ricorrente.
A tal proposito, questa Corte di legittimità, in una fattispecie d impugnazione meramente ripropositiva della originaria istanza de libertate, ha chiarito che «l’appello cautelare di cui all’art. 310 cod. proc. pen. ha la fisionomi strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, sicché deve individuare i punti della decisione oggetto di censura ed enunciare i motivi di fatto e di diritto che si sottopongono al giudice del gravame in termini specifici, o almeno con una specificità proporzionale a quella delle argomentazioni che sorreggono il provvedimento impugnato» (Sez. 6, n. 1919 del 10/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287512 – 01; in senso conforme, cfr. ad es. Sez. 5, n. 9432 del 12/01/2017, COGNOME, Rv. 269098 – 01).
Si tratta di un principio pacificamente applicabile all’appello cautelare reale (in questo senso, cfr. ad es. Sez. 2, n. 46575 del 11/11/2022, RAGIONE_SOCIALE).
Il Tribunale di Lecce ha fondato la declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dal COGNOME anche sulla necessità di fare applicazione dell’insegnamento giurisprudenziale secondo cui “l’interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, cosicché alla richiesta di eliminazione o riforma della decisione gravata deve conseguire un risultato vantaggioso (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953), che deve corrispondere allo schema tipizzato dall’ordinamento con l’impugnazione. Il gravame deve essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante” (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato).
3.1. A sostegno della inammissibilità dell’appello, il Tribunale ha attribuito un dirimente rilievo alla impossibilità, per il ricorrente, di ottenere il dissequest dell’oro di cui al contratto “Conto Tesoro” a suo tempo stipulato, in primo luogo perché l’amministratore giudiziario della RAGIONE_SOCIALE (nel frattempo nominato a seguito del sequestro delle quote societarie) aveva chiesto ed ottenuto – come emerso dalla documentazione prodotta in udienza camerale dal P.M. – l’autorizzazione del G.i.p. a vendere l’oro in sequestro, e a versare il ricavato presso il F.U.G.
In secondo luogo, il Tribunale ha richiamato le ulteriori indicazioni fornite dal predetto amministratore giudiziario in ordine al mancato reperimento – nelle operazioni di ricognizione delle rimanenze di magazzino, e nella successiva fase di esecuzione del sequestro – di oro “specificamente identificato o depositato in apposito caveau e destinato al prodotto ‘Conto Tesoro’, e, dunque, ai singoli sottoscrittori, come viceversa previsto nelle condizioni generali di contratto al punto 3.3” (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata).
In tale situazione, il Tribunale ha ritenuto che “l’appellante, in quanto terzo di buona fede, ha dunque solo un diritto di credito, che potrà far valere innanzi al giudice che ha emesso il decreto di sequestro, ai sensi degli artt. 52 e ss. d.lgs. 159/2011, richiamato dall’art. 104-bis disp. att. c.p.p., come la stessa difesa ha evidenziato in sede di istanza di dissequestro. Il giudice delegato dovrà quindi provvedere alla verifica di tutti i crediti vantati nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. 159/2011″ (cfr. pag. 2, cit.).
3.2. Anche tale passaggio motivazionale è rimasto privo di adeguata confutazione da parte della difesa ricorrente, che si è a lungo soffermata nell’odierno ricorso – in termini sostanzialmente sovrapponibili a quelli prospettati nell’istanza rigettata, nell’appello e anche nelle note conclusive – sull disposizioni del d.lgs. n. 159 del 2011 e sulla tutela assicurata ai terzi estranei al reato da quelle disposizioni: osservando tra l’altro che “il creditore potrà avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda di riconoscimento del proprio credito ai
sensi del successivo art. 58 del Codice Antimafia; a seguito del quale si instaurerà un procedimento volto ad identificare quali siano i terzi creditori che concorrono alla formazione dello stato passivo ed al successivo piano di riparto” (cfr. l’ottava pagina del ricorso, privo di numerazione).
Coglie allora nel segno il rilievo del Tribunale secondo cui è stata la stessa difesa ricorrente ad aver ritenuto pacifica, sin dalla proposizione dell’istanza, l’applicabilità delle disposizioni del c.d. codice antimafia alla odierna fattispecie, ad aver preso in esplicita considerazione il meccanismo di tutela ivi approntato con gli artt. 57 segg. (domanda di ammissione del creditore, fissazione dell’udienza di verifica, composizione dello stato passivo, ecc.).
Peraltro, la difesa non ha in alcun modo chiarito le ragioni per cui il ricorrente dovrebbe ritenersi esentato da tale procedimento di verifica “concorsuale”, essendosi limitata ad insistere lungamente sulla buona fede del ricorrente medesimo: senza peraltro considerare non solo che tale condizione era stata esplicitamente riconosciuta dal Tribunale di Lecce (cfr. supra, § 3.1), ma che proprio la buona fede costituisce un indefettibile presupposto perché la verifica del credito vantato dal terzo, ai sensi degli artt. 52 segg., abbia un esito positivo.
È peraltro utile evidenziare che alle medesime conclusioni di inammissibilità dell’appello si perviene anche nell’ipotesi in cui si intenda seguire l’itinerario ricostruttivo tracciato dal G.i.p. del Tribunale di Lecce, provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro emesso in data 09/12/2024.
4.1. In quella sede, era stato testualmente richiamato il contenuto della già citata ordinanza in data 24/11/2023, nella quale, da un lato, il G.i.p. aveva precisato che il prodotto “Conto Tesoro”, acquistato dal ricorrente prima del sequestro del 100% delle quote della EGM s.p.a., era destinato agli investitori ed era offerto da una società regolarmente iscritta nell’apposito registro della Banca d’Italia; il relativo contratto “prevedeva la vendita di oro da RAGIONE_SOCIALE ai privati che ne facevano richiesta e il metallo acquistato dagli investitori doveva restare in deposito presso la RAGIONE_SOCIALE; alle scadenze previste dal contratto il cliente aveva facoltà di: 1) lasciare in custodia l’oro presso RAGIONE_SOCIALE; 2) ritirare il metall acquistato previa una fusione e conversione in lingotti; 3) cederlo alla stessa RAGIONE_SOCIALE ed incassare il corrispettivo al Fixing (prezzo dell’oro) della data di richiesta” (cfr. pag. 1 dell’ordinanza del 09/12/2024).
D’altro lato, avuto riguardo alla prosecuzione dell’attività della EGM (per la quale l’amministratore giudiziario aveva chiesto di essere autorizzato, in ragione della discreta situazione societaria), il G.i.p. aveva ulteriormente osservato che poteva “pertanto ritenersi valido ed efficace i! contratto sottoscritto da COGNOME
con RAGIONE_SOCIALE per l’adesione al prodotto Conto Tesoro, per cui le varie opzioni contemplate dal contratto potranno essere azionate nelle forme e nella
tempistica prodotte dal contratto stesso, fermo restando che, in caso di richiesta di ritiro del metallo o di una sua cessione a EGM, sarà necessaria l’autorizzazione
del giudice delegato prima di dare esecuzione alla richiesta, dovendosi qualificare tali atti come di straordinaria amministrazione che possono compromettere la
gestione dell’azienda in sequestro” (cfr. pag. 2 del decreto del G.i.p. in data
09/12/2024).
4.2. Nella parte conclusiva del proprio ricorso, la difesa ha richiamato tali passaggi argomentativi, censurando la prospettazione del Tribunale di Lecce
nella parte in cui aveva ritenuto che il ricorrente fosse ormai titolare di un mero diritto di credito: precisando, in tale diversa prospettiva “contrattuale”, di av
fatto anche richiesta del controvalore in danaro.
Deve peraltro osservarsi – e il rilievo assume valenza dirimente – che le facoltà derivanti dal contratto stipulato dal ricorrente con la EGM potranno
eventualmente essere esercitate nei confronti dell’amministratore giudiziario, ove questi decida di subentrare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 56 d.lgs. 159 del 2011: essendo il predetto amministratore, come già chiarito nel provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro, l’unico soggetto legittimato a prendere in considerazione le richieste formulate in tale ambito, e ad assumere le consequenziali determinazioni (previa autorizzazione del giudice, ove necessaria).
In buona sostanza, anche ponendosi nella prospettiva prettamente “contrattuale” delineata dal G.i.p., deve escludersi che dall’incidente cautelare reale proposto dal ricorrente possa derivare “un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante” (cfr. supra, § 3).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue – non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000) – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 10/06/2025.