Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 40507 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 40507 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.C. GLYPH nato in Germania il 05/02/1986
avverso l’ordinanza del 22/05/2024 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat generale, COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile l’istanza di ries proposta da RAGIONE_SOCIALE A.C. RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento del 9/5/2024, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento aveva confermat la custodia cautelare in carcere disposta, nei suoi riguardi, il 5/2/20 medesimo giudice per il reato di cui all’articolo 612 bis cod. pen.: ciò in quanto, a seguito di conflitto di competenza (inizialmente declinata dal Giudice per indagini preliminari del Tribunale di Benevento a favore del Tribunale di Avellino la Suprema Corte aveva definitivamente stabilito la competenza del Tribunale di Benevento.
A dire del Tribunale del riesame di Napoli, il provvedimento custodial
emesso il 9/5/2024 non poteva considerarsi confermativo ex articolo 27 cod. proc. pen. del precedente, avendo valore meramente ricognitivo della persistente efficacia del pregresso titolo, mai impugnato dall’ definitivo. A.C. e, dunque, divenuto
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell RAGIONE_SOCIALE
Assume l’operatività, nel caso di specie, dell’articolo 27 cod. proc. pen., che presuppone comunque la conferma dell’originaria ordinanza cautelare: sicché, anche ai sensi dell’articolo 32, comma 3, cod. proc. pen. (secondo cui il termine di 20 giorni previsto dall’articolo 27 predetto decorre, in caso di conflitto negativo di competenza, dalla comunicazione dell’estratto della sentenza emessa dalla Suprema Corte volto a risolverlo), il provvedimento che applica definitivamente la misura coercitiva, confermando il precedente, emesso dal giudice dichiaratosi incompetente, doveva ritenersi impugnabile ex articolo 309 cod. proc. pen., al pari di quello originario, godendo di piena autonomia.
Lamenta che, in caso opposto, si priverebbe l’interessato della facoltà di impugnare il provvedimento cautelare, deducendo, altresì, che l’interesse ad impugnare sarebbe correlato alla concreta lesione determinata dal provvedimento che la dispone, effetto generato proprio dalla conferma di cui all’articolo 27 cod. proc. pen.
Deduce, infine, che l’insussistenza dei requisiti per l’emissione dell’ordinanza cautelare sarebbe comunque deducibile in ogni tempo, posto che, altrimenti, non sarebbe nemmeno censurabile il legittimo ricorso alla motivazione per relationem.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
È pacifico che la restituzione degli atti (a seguito della risoluzione del conflitto di competenza sollevato dal giudice ad quem) al giudice che ha emesso la misura cautelare (che l’aveva, nel contempo, declinata) non comporti un obbligo di rinnovazione della misura cautelare nel termine di venti giorni, a pena di inefficacia ex art. 27 cod. proc. pen., da parte del giudice a quo, che l’aveva originariamente GLYPH disposta GLYPH sia GLYPH pure GLYPH dichiarandosi, GLYPH contestualmente GLYPH ed erroneamente, incompetente (Sez. 3, n. 5036 del 13/01/2010, Rv. 246055-01; Sez. 6, n. 3128 del 29/07/1997, Rv. 208848-01). Dunque, «dalla statuizione sulla competenza in favore del giudice a quo ex art. 32 c.p.p. discende l’originaria legittimità della prima ordinanza applicativa della misura coercitiva, in quanto
valida ed efficace fin dalla sua emissione per effetto del riconoscimento dell’ininterrotta competenza del giudice emittente, la cui erronea declinazione ha comportato soltanto una temporanea indisponibilità degli atti da parte sua» (Sez. 1, n. 20501 del 08/04/2015, non massimata; così anche Sez. 3, n. 641 del 19/10/2011, dep. 2012, non massimata, la quale precisa, sul punto, che ciò che rileva è che la misura «sia stata emessa, all’origine, dal giudice competente, il quale sia stato nuovamente investito degli atti a seguito della soluzione del conflitto negativo di competenza»).
Nella specie, poi, la richiesta di riesame appare chiaramente volta a contestare la legittimità dell’ordinanza cautelare e, quindi, mettendo da parte non consentiti formalismi, non può sostenersi che essa abbia ad oggetto soltanto il provvedimento, non necessario, di “conferma” (rectius rinnovazione). Con l’istanza di riesame l’indagato, in effetti, contesta la sussistenza dei gravi indizi d colpevolezza e delle esigenze cautelari e, quindi, in sostanza chiede al Tribunale una rinnovata analisi, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. (norma espressamente richiamata, peraltro, sia nel ricorso al Tribunale, sia in quello a questa Corte), della sussistenza dei presupposti di applicazione della misura cautelare adottata nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari con l’ordinanza erroneamente dichiarativa dell’incompetenza.
Dunque, trattandosi certamente di istanza di riesame, il problema si sposta sul diverso piano della sua tempestività, rendendo necessario individuare, in un caso peculiare quale quello in esame, il dies a quo da cui decorre il termine dei dieci giorni previsto dall’art. 309, commi 1 e 3, cod. proc. pen.: ovvero, occorre stabilire da quando decorra il termine per impugnare l’ordinanza di custodia cautelare emessa da giudice che si dichiari (o venga dichiarato dal Tribunale del riesame o dalla Suprema Corte) incompetente.
È pacifico che tale ordinanza “possa” essere impugnata a tutela della più celere decisione sulla sussistenza dei presupposti della misura, essendo, per vero, solitamente discusso quale sia l’esito nel caso di incompetenza rilevata non dal giudice che dispone la misura, ma dal Tribunale del riesame o dalla Suprema Corte. Si è, infatti, evidenziato, in alcune pronunce, che la sussistenza dei presupposti (gravi indizi e/o esigenze cautelari) della misura vada comunque scrutinata prima della delibazione sulla (eventuale) incompetenza del giudice che l’ha emessa (dovendosi, in caso di sussistenza dei detti presupposti, semplicemente trasmettersi poi gli atti al giudice competente: Sez. 6, n. 29315 del 19/05/2015, Rv. 264086-01; Sez. 6, n. 23365 del 06/05/2014, Rv. 260280-01); in altri precedenti, si è ritenuto che, quando rilevi l’incompetenza del giudice che ha adottato il provvedimento coercitivo, la Suprema Corte debba immediatamente
f)
annullare senza rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame e il provvedimento genetico di applicazione della misura (Sez. 1, n. 974 del 16/12/2014, dep. 2015, Rv. 262939-01; Sez. 6, n. 50078 del 28/11/2014, Rv. 261539-01).
Questa Corte, alla luce del disposto di cui all’articolo 27 cod. proc. pen. (che prevede la provvisoria persistenza di efficacia della misura anche nel caso in cui il giudice che la dispone solo «successivamente» ad essa si dichiari incompetente), reputa che sia preferibile la prima soluzione, ovvero che il meccanismo previsto da tale norma e dall’art. 32 cod. proc. pen. sia operante anche laddove tale declaratoria sia (sempre «successivamente») pronunciata dal Tribunale del riesame o dalla Cassazione. Invero, avrebbe poco senso differenziare le conseguenze a seconda che l’incompetenza sia dichiarata dal giudice emittente la misura piuttosto che da altro giudice investito della relativa impugnazione: tanto più che l’art. 32, comma 3, cod. proc. pen. prevede espressamente la perdurante efficacia della misura in casi di conflitto di competenza.
In ogni caso, al di là delle conseguenze, è evidente che l’ordinanza genetica, anche se emessa da giudice oggettivamente incompetente (come venga poi rilevato dal medesimo o da altro giudice), “possa” essere impugnata.
Tuttavia, è altrettanto noto l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’impugnazione proposta dall’interessato avverso l’ordinanza genetica della misura viene posta nel nulla, laddove il giudice a cui sono trasmessi gli atti, da parte di quello che, nell’emettere la misura, si dichiari incompetente, provveda ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. ad emetterne una nuova. Tanto che, come più volte affermato, il provvedimento di custodia cautelare adottato dal Giudice per le indagini preliminari che, contestualmente, si dichiari incompetente «viene sostituito, a tutti gli effetti, dall’ordinanza pronunciata tempestivamente dal giudice competente, ossia entro il termine di venti giorni previsto dall’art. 27 cod. proc. pen.», sicché «la decisione del Tribunale del riesame avente ad oggetto l’ordinanza emessa dal giudice incompetente non ha alcuna incidenza sullo “status libertatis” dell’imputato, che trova la propria regolamentazione unicamente nel provvedimento pronunciato dal giudice competente, di talché alla prima ordinanza cautelare non può essere riconosciuta alcuna efficacia preclusiva» (su tali principi si vedano, ad esempio: Sez. 6, n. 45909 del 26/09/2011, Rv. 251180-01; Sez. 5, n. 28563 del 27/06/2007, Rv. 237570-01).
Ciò, però, implica che, fintanto che non si conoscano le determinazioni del giudice ad quem, l’interessato possa (legittimamente) ritenere superfluo coltivare un’impugnazione avverso una ordinanza che potrebbe essere sostituita integralmente da un’altra, la quale costituirà unico titolo cautelare.
Tanto deve far ritenere che, in simili casi, il termine non possa decorrere
dalla notificazione o esecuzione dell’ordinanza iniziale contenente la declaratoria di incompetenza, poiché si tratta di provvedimento che in quel momento è provvisorio (rectius: ha “effetti interinali”) e che attende la rinnovazione da parte del giudice indicato come competente: e, in tal caso, il secondo provvedimento (autonomo dal primo) sarà suscettibile di utile impugnazione cautelare (in quanto emesso dal giudice competente in completa “autonomia” rispetto al precedente ad effetti interinali e, quindi, non di sua mera “conferma” o “reiterazione”, in quanto appunto emesso da altro giudice sulla base di un’autonoma valutazione delle stesse condizioni legittimanti, ancorché desunte dagli stessi fatti).
L’indagato, insomma, può legittimamente ritenere di attendere anche il tempo in cui la Corte di cassazione è chiamata a decidere sul conflitto di competenza sollevato dal giudice ad quem. In tal caso, soltanto con la decisione della Corte di cassazione si conosce la sorte del primo provvedimento, ovvero:
la sua stabilizzazione per l’attribuzione di competenza al primo giudice;
la necessità di rinnovazione, nei termini di cui all’art. 32, comma 3, cod. proc. pen., a seguito della attribuzione di competenza al secondo giudice.
Nel primo caso, tuttavia, non può che ragionevolmente ritenersi che il termine per impugnare l’originaria ordinanza (come – per quanto detto – accaduto nella specie) decorra dalla comunicazione dell’estratto della sentenza della Corte di cassazione che, decidendo sul conflitto di competenza sollevato dal secondo giudice, riconosca la competenza del primo giudice e quindi renda “definitiva” l’ordinanza cautelare da questi originariamente emessa in via provvisoria: non v’è alcuna ragione, invero, di ritenere che il termine sia suscettibile di ulteriore proroga e decorra dal provvedimento con cui il giudice che ha emesso il provvedimento originario si limiti a ribadire la permanente efficacia del primo.
Dal momento della “conoscenza” della definitiva stabilizzazione dell’ordinanza cautelare genetica, la detta situazione di incertezza viene certamente meno e l’interessato ha, oramai, ben chiaro che il provvedimento custodiale di cui intende (e ha interesse a) chiedere il riesame sia solo quello originario.
Nella specie, alla luce degli atti acquisiti da questa Corte, utili alla verific appena indicata, risulta che l’estratto della sentenza del provvedimento di questa Corte che ha deciso sul conflitto, stabilendo definitivamente la competenza del giudice che emise l’ordinanza custodiale, è stato notificato all’odierna parte ricorrente in data 15/4/2024. Ne consegue che l’istanza di riesame risulta tardiva, ex art. 309, commi 1 e 3, cod. proc. pen., perché depositata dopo i termini previsti da tali disposizioni, ovvero in data 9/5/2024.
GLYPH
f
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Ritiene, invece, il collegio che non debba essere disposta la condanna alla sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, in assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, data la peculiarità della questione esaminata (Corte Cost. n. 186/2000).
La materia trattata (inerente dati sensibili o comunque meritevoli di particolare riservatezza) impone di disporre che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, ex art. 52 d.lgs.196/2003, in caso di diffusione del presente provvedimento.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in data 18/9/2024
Il C sigliere estensore
GLYPH