Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26625 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26625 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nato a Massa di Somma il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Cercola il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/07/2023 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; udito il difensore dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento con rinvio della sentenza, per la rideterminazione della pena.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 giugno 2021, la Corte di appello di Napoli – per quanto d’interesse ai fini del presente giudizio – dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME ed NOME COGNOME «in ordine ai capi B), C), F) e, per le imputazioni di cui ai capi D), E), G), I), per le sole condotte realizzate entro il 30 aprile 2013», per intervenuta prescrizione.
1.1. In parziale accoglimento del ricorso da essi proposto, la Corte di cassazione annullava tale decisione «limitatamente al reato di cui al capo G) perché il reato è estinto per prescrizione», rinviando alla Corte d’appello per la conseguente rideterminazione della pena.
1.2. La Corte distrettuale, decidendo in sede di rinvio, ha osservato: che, in realtà, la precedente sentenza d’appello aveva già rilevato l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo G); che la delimitazione dell’estinzione alle condotte realizzate entro il 30 aprile 2013 si riferiva, invece, a quelle oggetto del capo F); che tanto veniva chiaramente enunciato in motivazione (pagg. 16 e 42 s.); che, per un semplice refuso, nel dispositivo della decisione vi era stato uno scambio nell’indicazione di tali imputazioni.
Sulla scorta di tanto, considerando che nella precedente sentenza d’appello nessun aumento di pena in continuazione era stato apportato per il reato di cui al capo G), la Corte distrettuale ha solo formalmente rideterminato la pena, lasciandola nella stessa misura già fissata da quella precedente sentenza.
Impugnano la decisione del giudice di rinvio gli imputati, con unico atto dei loro comuni difensori, deducendone la contrarietà alla legge processuale, se non addirittura l’abnormità, per aver operato una completa rivisitazione della precedente decisione d’appello, in tal modo esorbitando dai limiti del giudizio di rinvio fissati dalla Corte di cassazione.
In particolare, la sentenza impugnata avrebbe riformato in peius la prima decisione d’appello, poiché, senza un’impugnazione del Pubblico ministero sul punto, ha dichiarato prescritte solo in parte le condotte di cui al capo F) dell’imputazione, quando invece quella precedente decisione le aveva tutte dichiarate tali: statuizione, quest’ultima, che, in quanto da nessuno impugnata, aveva acquisito autorità di cosa giudicata.
Né può ritenersi che la Corte d’appello, con la decisione oggetto di ricorso, abbia proceduto, seppur senza esplicitarlo e senza seguire le formalità di rito, ad una correzione del ravvisato errore materiale del dispositivo della sua prima sentenza.
In primo luogo, tale correzione non sarebbe consentita, poiché, una volta che la sentenza in ipotesi errata venga confermata dalla Corte di cassazione, essa diviene irrevocabile così com’è, non potendo il giudice di merito, attraverso la procedura di cui all’art. 130, cod. proc. pen., riformare, di fatto, una sentenza definitiva.
Per altro verso, nello specifico è tutt’altro che certa la premessa da cui si è mosso il giudice del rinvio, che, nel contrasto tra motivazione e dispositivo, ha
ritenuto di dover assegnare prevalenza alla prima, diversamente da quello che è l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Come rilevato dalla sentenza impugnata, la volontà del primo giudice d’appello era effettivamente quella di dichiarare interamente prescritti i reati di cui al capo G), mentre, per il capo F), solo quelli commessi prima del 30 aprile 2013: in questo senso depongono, infatti, le affermazioni contenute in vari passaggi della motivazione di quella sentenza, specificamente richiamati da quella oggi impugnata.
Ciò non di meno, la diversa indicazione presente nel dispositivo di quella precedente sentenza, quantunque effettivamente attribuibile ad un lapsus calami, incideva direttamente sul contenuto della decisione, non potendo perciò essere trattata alla stregua di un semplice errore materiale, poiché la relativa emenda comportava una modificazione essenziale dell’atto.
Sarebbe stato onere della parte interessata, dunque, impugnare la sentenza, denunciandone la contraddittorietà interna tra dispositivo e motivazione e chiedendone la ricomposizione, direttamente ad opera del giudice di legittimità o, se necessario, di quello di merito, previo annullamento con rinvio.
Considerando, dunque, che, per i reati di cui al capo G), nonostante la parziale – condanna indicata in dispositivo, non era stata applicata alcuna pena, l’onere di impugnazione, per questa parte, evidentemente gravava soltanto sul Pubblico ministero: cosicché, non avendolo quest’ultimo assolto, la decisione della Corte d’appello, nei termini in cui formalizzata nel dispositivo, ha acquisto autorità di cosa giudicata, non potendo perciò essere modificata nel corso del giudizio di rinvio conseguente all’annullamento di essa su differenti capi o punti.
Per effetto, dunque, della sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione e della prescrizione, con essa rilevata, di tutti i reati di cui al capo G) dell’imputazione, teoricamente il giudice di rinvio avrebbe dovuto escludere la relativa porzione di pena in aumento per continuazione.
Ciò, però, non era possibile, poiché nessuna pena era stata applicata per gli stessi dalla prima sentenza d’appello, come si legge chiaramente nella relativa motivazione.
Né può valere l’obiezione per cui comunque una quota di pena in aumento per continuazione fosse stata applicata per i reati di cui al capo F), invece dichiarati interamente estinti per prescrizione nel dispositivo di quella sentenza.
Anche in questo caso, infatti, sarebbe stato onere della parte interessata far valere tale incoerenza, impugnando la decisione sul punto; e, poiché quest’ultima evidentemente penalizzava gli imputati, tale onere gravava su di essi.
Conseguentemente, non avendo essi esercitato il loro diritto di impugnare, la prima sentenza d’appello è divenuta irrevocabile anche per questa parte, perciò non potendo più essere emendata neppure sul punto.
Il ricorso, in conclusione, risulta infondato.
Da ciò consegue obbligatoriamente la condanna dei proponenti al pagamento delle relative spese (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 4 aprile 2024.