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Impugnazione PG: inammissibile su spese parte civile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale avverso una sentenza che aveva condannato la parte civile al pagamento delle spese processuali, nonostante questa avesse implicitamente revocato la propria costituzione. Secondo la Corte, l’impugnazione del PG è preclusa dalla mancanza di un interesse concreto e diretto, poiché la legittimazione a contestare la statuizione sulle spese spettava esclusivamente alla parte civile stessa.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione PG: quando manca l’interesse ad agire?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6287/2024, ha affrontato un’importante questione procedurale sui limiti del potere di impugnazione del PG (Procuratore Generale). La pronuncia chiarisce che, anche di fronte a un errore palese del giudice, il ricorso del Procuratore è inammissibile se non è supportato da un interesse concreto e specifico, distinto da quello delle parti private. Questo principio si rivela cruciale nella gestione delle statuizioni civili all’interno del processo penale, in particolare per quanto riguarda la condanna alle spese.

I Fatti del Caso: Una Condanna alle Spese Anomala

Il caso trae origine da una sentenza di assoluzione emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Catania. Oltre ad assolvere l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”, il giudice aveva condannato le parti civili costituite a rimborsare le spese processuali sostenute dall’imputato.

La particolarità della vicenda risiede nel fatto che le parti civili, non presentando le proprie conclusioni scritte come previsto dall’art. 523, comma 2, del codice di procedura penale, avevano di fatto revocato la loro costituzione nel processo. Tale revoca, secondo l’art. 82, comma 2, c.p.p., opera ipso iure (automaticamente), precludendo al giudice ogni decisione sulle domande civili, incluse quelle relative alle spese.

L’Impugnazione del PG e la Questione dell’Atto Abnorme

Di fronte a questa decisione, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione. La Procura ha sostenuto che la condanna alle spese fosse un “atto abnorme”, ovvero un provvedimento emesso al di fuori dei poteri consentiti dalla legge, in palese violazione dell’art. 82, comma 3, c.p.p. Tale norma vieta espressamente al giudice di pronunciarsi sulle spese e sui danni causati dall’intervento della parte civile una volta che la sua costituzione sia stata revocata. L’impugnazione del PG mirava quindi a ripristinare la legalità processuale violata.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità dell’impugnazione del PG

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Sebbene la decisione del G.U.P. fosse palesemente errata, la Suprema Corte ha ritenuto che il Procuratore Generale mancasse della necessaria legittimazione ad agire. La questione centrale non era l’errore del giudice di primo grado, ma chi avesse il diritto di contestarlo.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio dell'”interesse ad impugnare”. Per poter contestare una sentenza, non è sufficiente lamentare una generica violazione di legge; è necessario dimostrare di avere un pregiudizio concreto e personale che la riforma della decisione potrebbe eliminare.

Nel caso di specie, l’interesse a rimuovere la condanna alle spese era esclusivamente delle parti civili, le uniche a subire un danno economico diretto da quella statuizione. Il Procuratore Generale, pur essendo custode della corretta applicazione della legge, non aveva un proprio interesse concreto da far valere. La sua azione era mossa da un’esigenza astratta di legalità, che però non basta a fondare la legittimazione ad impugnare in sostituzione della parte privata direttamente lesa.

I giudici di legittimità hanno inoltre richiamato un precedente orientamento giurisprudenziale (sentenza Marcomeni, n. 7297/1997), secondo cui la legittimazione ad impugnare la condanna alle spese, anche dopo la revoca della costituzione, spetta proprio a chi, pur avendo rinunciato alle pretese risarcitorie, si trovi comunque a dover sostenere un onere economico ingiusto. Erano dunque le parti civili, e non il Pubblico Ministero, a dover presentare ricorso.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: i poteri di impugnazione non sono illimitati, ma ancorati a un interesse specifico e attuale. L’impugnazione del PG, pur finalizzata alla tutela della legalità, non può sostituirsi all’azione della parte privata quando la questione controversa ha natura puramente civilistica e patrimoniale. Questa decisione consolida la distinzione tra l’interesse pubblico alla corretta amministrazione della giustizia e l’interesse privato delle parti coinvolte, riaffermando che a ciascuno spetta la tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive.

Può il Pubblico Ministero impugnare una decisione che riguarda solo le spese processuali di una parte civile?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il Pubblico Ministero non ha un interesse concreto e proprio per impugnare una statuizione che riguarda esclusivamente gli interessi economici della parte civile, come la condanna al pagamento delle spese.

Cosa succede se la parte civile non presenta le conclusioni scritte nel processo?
Secondo l’art. 82, comma 2, del codice di procedura penale, la mancata presentazione delle conclusioni equivale a una revoca tacita della costituzione di parte civile. Di conseguenza, il giudice non può più decidere sulla sua richiesta di risarcimento né condannarla alle spese.

Chi avrebbe dovuto impugnare la condanna alle spese in questo caso?
La Corte ha chiarito che la legittimazione ad impugnare la decisione erronea sulle spese spettava alle stesse parti civili. Pur avendo revocato la loro costituzione, esse mantenevano l’interesse a contestare la condanna economica illegittimamente inflitta nei loro confronti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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