Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22030 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22030 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato in Tunisia il 13/09/1982
avverso l’ordinanza del 07/02/2025 della Corte di appello di Ancona;
letti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Ancona, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME avverso la condanna inflittagli dal Tribunale di Ascoli Piceno per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale.
La ragione dell’inammissibilità consiste nell’avere l’appellante omesso di allegare all’atto di gravame una dichiarazione od elezione di domicilio, od anche soltanto d’indicare puntualmente in tale atto un’eventuale dichiarazione od elezione precedenti, onde consentire la notificazione a lui del decreto di citazione a giudizio, così come impostogli dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen..
Attraverso il proprio difensore, quegli impugna per Cassazione tale decisione, ritenendola adottata in violazione della predetta norma processuale, in quanto:
all’atto della deliberazione della sentenza di primo grado, e quindi del maturare del proprio diritto all’impugnazione, egli era detenuto in carcere, non potendo perciò trovare applicazione quella disciplina;
la sua elezione di domicilio risultava ictu ocu/i dalla stessa sentenza appellata, che recava in epigrafe la relativa indicazione, non essendo perciò necessarie, da parte della cancelleria, ricerche di tale atto nel fascicolo processuale e, perciò, risultando soddisfatta l’esigenza che ha giustificato l’inserimento di tale disposizione nel codice di rito, con conseguente superfluità dell’ulteriore indicazione specifica nell’atto di gravame.
La Procura generale ha trasmesso in cancelleria la propria requisitoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
Ha depositato conclusioni scritte la difesa ricorrente, ribadendo i motivi di ricorso ed insistendo per l’accoglimento.
Correttamente la Corte distrettuale ha dichiarato inammissibile l’appello.
Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 13808 del 24 ottobre 2024, dep. 2025, ricorrente COGNOME hanno statuito che la disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – continua ad applicarsi alle impugnazioni, come l’appello del COGNOME, proposte prima del 25 agosto 2024, ed hanno precisato che tale disposizione va intesa nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione od elezione di domicilio ed alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata ed inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione.
Un tale richiamo, nel caso specifico, indiscutibilmente mancava, irrilevante essendo l’indicazione di una precedente elezione contenuta nella sentenza impugnata: indicazione che è effettuata dalla cancelleria e non dall’imputato, che si basa sugli atti presenti nel fascicolo del processo al momento della pubblicazione della sentenza e che ben potrebbe essere modificata dall’imputato, e quindi vanificata, nelle more della presentazione dell’impugnazione, così frustrando l’esigenza per la cui tutela il legislatore ha introdotto l’incombente in discussione.
Infine, con riferimento alla condizione di detenzione, questa – come rilevato nell’ordinanza – era cessata ad aprile del 2023, mentre la sentenza di primo grado è stata depositata nel successivo mese di luglio, perciò decorrendo solo da un
momento successivo a questo, e non dalla pronuncia della sentenza, il termine per impugnare e, quindi, dovendo trovare applicazione il citato art. 581, comma
1-ter.
6. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art.
616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta
somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2025.