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Impugnazione penale: onere di domicilio e novità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un’impugnazione penale per mancata indicazione della precedente elezione di domicilio, come richiesto dall’art. 581, c. 1-ter c.p.p. al momento del deposito. La Corte, richiamando una sentenza delle Sezioni Unite, stabilisce che la successiva abrogazione della norma non ha effetto retroattivo sui ricorsi già presentati. Viene inoltre ribadito che tale onere formale non viola il diritto di difesa.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione Penale: l’Onere di Elezione di Domicilio Sopravvive all’Abrogazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce un chiarimento fondamentale sul tema dell’impugnazione penale e sui suoi requisiti formali. La decisione analizza il principio del tempus regit actum (il tempo regola l’atto), affermando che la disciplina processuale applicabile è quella in vigore al momento del compimento dell’atto, anche se successivamente modificata o abrogata. Il caso in esame riguarda l’obbligo, previsto dal comma 1-ter dell’articolo 581 del codice di procedura penale, di indicare una precedente elezione di domicilio nell’atto di appello, pena l’inammissibilità.

Il Caso: Un Appello Dichiarato Inammissibile

Una ricorrente si è vista dichiarare inammissibile il proprio appello dalla Corte d’Appello di Venezia. Il motivo? Al momento della presentazione del ricorso, avvenuta il 2 gennaio 2024, non era stata allegata né indicata una precedente dichiarazione o elezione di domicilio, un requisito allora espressamente richiesto dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale.

La difesa ha contestato questa decisione, sostenendo che tale norma era stata nel frattempo abrogata dalla legge n. 114 del 9 agosto 2024 (in vigore dal 25 agosto 2024) e che, pertanto, l’appello avrebbe dovuto essere considerato valido. Si è inoltre lamentata una violazione del diritto di difesa.

L’intervento delle Sezioni Unite e l’impugnazione penale

Il punto cruciale della controversia è stato risolto dalla Corte di Cassazione richiamando una recentissima e fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 13808 del 2024). Con questa pronuncia, il massimo organo della giurisprudenza di legittimità ha stabilito un principio cardine: la disciplina dell’art. 581, comma 1-ter, c.p.p., sebbene abrogata, continua ad applicarsi a tutte le impugnazioni proposte fino al 24 agosto 2024, giorno precedente all’entrata in vigore della nuova legge.

Questo significa che la validità di un atto processuale deve essere valutata sulla base delle norme in vigore nel momento in cui è stato compiuto. Poiché l’appello era stato depositato a gennaio 2024, esso era soggetto al requisito dell’indicazione del domicilio, e la sua mancanza ne ha determinato correttamente l’inammissibilità.

La questione del Diritto di Difesa

La Cassazione ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, che lamentava la violazione del diritto di difesa e della presunzione di non colpevolezza. La Corte ha ribadito un orientamento già consolidato: l’onere di indicare l’elezione di domicilio non limita il potere di impugnazione spettante personalmente all’imputato. Si tratta, piuttosto, di una norma che regola le modalità di esercizio di una facoltà accessoria riconosciuta al difensore. Non collide, quindi, né con l’inviolabilità del diritto di difesa né con altri principi costituzionali.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, basando la sua decisione su due pilastri. In primo luogo, l’applicazione del principio tempus regit actum, cristallizzato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, che rende ininfluente la successiva abrogazione della norma ai fini della valutazione dell’ammissibilità dell’appello. In secondo luogo, la Corte ha confermato che i requisiti formali per l’impugnazione, come quello in esame, rappresentano una legittima regolamentazione delle modalità di esercizio di un diritto e non una sua compressione. Di conseguenza, il primo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato, assorbendo tutti gli altri motivi logicamente successivi.

Le Conclusioni

La decisione in commento ribadisce l’importanza del rispetto rigoroso dei requisiti formali negli atti processuali. Gli operatori del diritto devono prestare massima attenzione alla normativa in vigore al momento del deposito di un’impugnazione penale, poiché le modifiche legislative successive non possono sanare vizi originari. Il principio secondo cui la legge processuale non è retroattiva trova qui una chiara applicazione, garantendo certezza e stabilità nell’applicazione delle norme procedurali. La ricorrente è stata quindi condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

L’abrogazione di una norma processuale si applica ai ricorsi presentati prima della sua entrata in vigore?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in base al principio tempus regit actum, un atto processuale è regolato dalla legge in vigore al momento del suo compimento. Pertanto, la successiva abrogazione di un requisito formale non rende valido un ricorso che era inammissibile al momento della sua presentazione.

Perché è stata dichiarata inammissibile l’impugnazione penale in questo caso?
L’impugnazione è stata dichiarata inammissibile perché, al momento del suo deposito (2 gennaio 2024), non rispettava il requisito previsto dall’allora vigente art. 581, comma 1-ter, c.p.p., che richiedeva di allegare o indicare una precedente dichiarazione o elezione di domicilio.

L’obbligo di indicare l’elezione di domicilio nell’atto di impugnazione viola il diritto di difesa dell’imputato?
No. La Corte ha stabilito che tale requisito non limita il diritto di impugnazione dell’imputato, ma si limita a regolare le modalità di esercizio di tale diritto da parte del difensore. Pertanto, non contrasta con il principio dell’inviolabilità del diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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