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Impugnazione PEC: errore indirizzo causa inammissibilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39213/2024, ha dichiarato inammissibile un’impugnazione PEC inviata a un indirizzo di posta elettronica certificata errato, sebbene appartenente all’ufficio giudiziario competente. Secondo la Corte, l’uso dell’indirizzo specifico designato dalla DGSIA è un requisito formale inderogabile, non sanabile dal principio del raggiungimento dello scopo.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione PEC: L’Indirizzo Errato Rende l’Atto Inammissibile

Con la digitalizzazione del processo penale, la corretta gestione degli strumenti telematici è diventata cruciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’invio di una impugnazione PEC a un indirizzo di posta elettronica certificata errato, anche se appartenente allo stesso ufficio giudiziario, ne determina l’irrevocabile inammissibilità. Questa decisione sottolinea l’importanza del rigore formale nel deposito telematico degli atti giudiziari.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un ricorso presentato avverso un’ordinanza del Tribunale di Milano, che aveva dichiarato inammissibile un appello. L’appello era stato proposto contro un provvedimento del GIP che aveva rigettato parzialmente una richiesta di restituzione di somme sottoposte a sequestro preventivo.

Il difensore aveva depositato l’appello tramite Posta Elettronica Certificata (PEC), inoltrandolo a due indirizzi: uno corretto, indicato dal Direttore Generale dei Servizi Informativi e Automatizzati (DGSIA), e uno non ufficiale ma comunque in uso presso il Tribunale. A causa di un errore di digitazione, l’invio all’indirizzo ufficiale non si era perfezionato, mentre quello all’indirizzo non censito era andato a buon fine, giungendo tempestivamente nella cancelleria del giudice competente. Nonostante ciò, il Tribunale del Riesame aveva dichiarato l’appello inammissibile proprio per l’errata modalità di trasmissione.

La Decisione della Corte sull’impugnazione PEC

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, dichiarando a sua volta inammissibile il ricorso. Gli Ermellini hanno sposato un’interpretazione rigorosa della normativa sul processo penale telematico, in particolare dell’art. 87-bis del D.Lgs. 150/2022.

Secondo la Corte, la legge non ammette deroghe: il deposito degli atti di impugnazione deve avvenire esclusivamente presso l’indirizzo PEC indicato nei provvedimenti del DGSIA. L’utilizzo di un indirizzo diverso, seppur riconducibile allo stesso ufficio giudiziario, costituisce una causa di inammissibilità insanabile.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nella ratio della normativa sul deposito telematico. La Corte ha spiegato che le regole rigide non sono un mero formalismo, ma servono a garantire la semplificazione e l’accelerazione degli adempimenti di cancelleria. L’individuazione di specifici indirizzi PEC per ogni tipologia di atto permette una gestione automatizzata e ordinata dei flussi documentali, che verrebbe compromessa se gli atti potessero essere inviati a indirizzi generici.

La difesa aveva invocato il principio del “raggiungimento dello scopo”, sostenendo che, essendo l’atto pervenuto in tempo utile all’ufficio competente, l’obiettivo della norma era stato comunque raggiunto. La Cassazione ha nettamente respinto questa tesi. Ha precisato che tale principio non può superare una causa di inammissibilità espressamente prevista dalla legge. La giurisprudenza citata nel provvedimento è costante nel ritenere che, nel contesto del deposito telematico, l’idoneità della notifica al raggiungimento dello scopo non è sufficiente a sanare il vizio di forma. La Corte ha inoltre distinto il quadro normativo attuale da quello transitorio dell’emergenza pandemica, che prevedeva regole diverse e più flessibili, oggi non più applicabili.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un monito per tutti gli operatori del diritto: nel processo penale telematico, la precisione è tutto. L’utilizzo degli indirizzi PEC ufficiali e specifici, come indicati dai provvedimenti ministeriali, non è una mera raccomandazione, ma un requisito di ammissibilità a pena di decadenza. Non c’è spazio per errori o interpretazioni estensive. Per garantire la validità dei propri atti, è indispensabile verificare con la massima diligenza l’indirizzo di destinazione prima di ogni invio, poiché un semplice errore di digitazione può compromettere irrimediabilmente l’esito di un’impugnazione.

È valido un appello inviato a un indirizzo PEC dell’ufficio giudiziario corretto ma non a quello specifico designato per i depositi telematici?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’impugnazione è inammissibile. È necessario utilizzare esclusivamente l’indirizzo PEC indicato nei provvedimenti del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati (DGSIA) per il deposito di quello specifico atto.

Si può applicare il principio del “raggiungimento dello scopo” se un’impugnazione PEC, pur inviata all’indirizzo sbagliato, arriva in tempo utile alla cancelleria competente?
No. La giurisprudenza costante ritiene che in materia di depositi telematici, il principio del raggiungimento dello scopo non possa sanare il vizio derivante dall’utilizzo di un indirizzo PEC diverso da quello ufficialmente designato, poiché ciò contrasta con la finalità di semplificazione e accelerazione delle procedure.

Perché le norme sul deposito telematico degli atti penali sono così rigide?
La ratio della normativa è quella di semplificare le comunicazioni e accelerare gli adempimenti di cancelleria attraverso un sistema organizzato e automatizzato. L’uso di indirizzi PEC specifici e predefiniti è funzionale a questo scopo e, pertanto, non ammette interpretazioni che possano attenuare il rigore delle cause di inammissibilità previste dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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