Impugnazione Patteggiamento: la Cassazione chiarisce i limiti
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle modalità più comuni di definizione alternativa del processo penale. Tuttavia, i confini della sua impugnabilità sono spesso oggetto di dibattito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’impugnazione patteggiamento per motivi non inclusi nell’accordo tra le parti. La Corte ha stabilito che la mancata concessione di un beneficio, come la sospensione condizionale della pena, non rende la sentenza illegale se tale beneficio non era parte del patto processuale.
Il caso: un ricorso contro il patteggiamento
Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza emessa dal Giudice per le Udienze Preliminari. L’imputato aveva concordato una pena tramite patteggiamento ma, successivamente, ha deciso di impugnare la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione. Il motivo principale del suo ricorso era la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
L’imputato sosteneva che tale omissione viziasse la sentenza, ma il punto fondamentale è che questo beneficio non era mai stato inserito nell’accordo originario stipulato con la pubblica accusa.
Limiti all’impugnazione del patteggiamento
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il caso, ha ribadito un principio consolidato in materia di impugnazione patteggiamento. Il ricorso contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti è consentito solo per motivi specifici. In particolare, il controllo della Corte si concentra sulla legalità della pena applicata e sulla corretta qualificazione giuridica del fatto, non sulla rinegoziazione dei termini dell’accordo.
Non è possibile, quindi, utilizzare l’impugnazione per introdurre elementi o richiedere benefici che non erano stati concordati nel patto processuale. L’accordo tra imputato e pubblico ministero è il fulcro del patteggiamento e vincola le parti ai termini in esso contenuti.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile con una procedura semplificata (de plano), ritenendo i motivi manifestamente infondati. I giudici hanno chiarito che la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, non essendo inclusa nel patto processuale, non costituisce un motivo di illegalità della pena stessa. La pena applicata era quella concordata tra le parti e, come tale, non presentava vizi di legalità che potessero giustificare un intervento della Cassazione. Di conseguenza, il ricorso era basato su motivi non consentiti, afferenti a un trattamento punitivo liberamente e validamente convenuto.
Le conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione rafforza la natura negoziale del patteggiamento. Chi sceglie questa via deve essere pienamente consapevole che l’accordo raggiunto è vincolante e che l’impugnazione è un rimedio eccezionale, limitato a vizi di legittimità e non di merito. Questa ordinanza serve come monito: ogni beneficio o condizione favorevole, come la sospensione condizionale, deve essere esplicitamente negoziato e inserito nel patto processuale. In caso contrario, non potrà essere rivendicato in una fase successiva. L’esito per il ricorrente è stato non solo la conferma della sentenza, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Perché è stato dichiarato inammissibile il ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge. Nello specifico, contestava aspetti del trattamento sanzionatorio che erano stati liberamente concordati tra le parti nel patteggiamento e che non presentavano profili di illegalità.
Si può impugnare un patteggiamento se non viene concessa la sospensione condizionale della pena?
No, se la sospensione condizionale della pena non era stata specificamente inclusa nell’accordo di patteggiamento (il cosiddetto ‘patto processuale’). La sua mancata concessione non costituisce motivo di illegalità della pena e, quindi, non può essere oggetto di ricorso.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della decisione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, oltre alla conferma dell’inammissibilità del suo ricorso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3354 Anno 2024
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Penale Ord. Sez. 6 Num. 3354 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 30/11/2023
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P. Q, NOME.
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30 novembre 2023