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Impugnazione patteggiamento: quando è inammissibile

Un imputato, a seguito di una sentenza di patteggiamento per reati di resistenza, furto e riciclaggio, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la mancata valutazione di una possibile assoluzione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l’impugnazione patteggiamento è consentita solo per vizi specifici previsti dall’art. 448, comma 2 bis, c.p.p., e non per motivi attinenti alla responsabilità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo e ottenuta la sentenza, quali sono le possibilità di contestarla? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi limiti previsti per l’impugnazione patteggiamento, chiarendo quando un ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile.

I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso

Nel caso in esame, un imputato aveva concordato una pena tramite patteggiamento davanti al GIP del Tribunale di Velletri per una serie di reati, tra cui resistenza a pubblico ufficiale, furto, ricettazione e riciclaggio. Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di proporre ricorso per Cassazione. La sua doglianza si fondava sulla presunta erronea applicazione della legge penale, sostenendo che il giudice non avesse adeguatamente motivato in merito alla possibile sussistenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

L’Impugnazione del Patteggiamento e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha trattato il ricorso con la procedura semplificata «de plano», ovvero senza udienza pubblica, e lo ha dichiarato inammissibile. La decisione si basa sulle modifiche legislative introdotte con la legge n. 103 del 2017, che hanno riscritto le regole per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La Corte ha stabilito che il ricorso era stato presentato al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge e, inoltre, era manifestamente infondato e generico.

Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Respinto

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del nuovo articolo 448, comma 2 bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che l’imputato e il pubblico ministero possono presentare ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento esclusivamente per i seguenti motivi:

1. Vizi della volontà: se il consenso dell’imputato all’accordo non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Mancata correlazione: se c’è una discrepanza tra la richiesta di patteggiamento e quanto deciso nella sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica: se il fatto è stato classificato in modo errato dal punto di vista legale.
4. Illegalità della pena: se la sanzione applicata o la misura di sicurezza sono contrarie alla legge.

La Corte ha osservato che nessuno di questi vizi era presente nel caso di specie. La lamentela dell’imputato, relativa alla mancata valutazione di una possibile assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p., non rientra in nessuna delle categorie ammesse. Si tratta, infatti, di una critica che attiene alla responsabilità penale, un aspetto che, con la scelta del patteggiamento, l’imputato accetta di non contestare più nel merito. La sentenza è frutto di un accordo e, pertanto, i motivi di ricorso sulla responsabilità sono inammissibili.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo che, una volta siglato e ratificato dal giudice, preclude un riesame del merito della vicenda. L’impugnazione patteggiamento non può essere utilizzata come un tentativo di rimettere in discussione la colpevolezza. Le uniche porte aperte per un ricorso sono quelle, molto strette, relative a vizi procedurali o a errori di diritto di natura grave, come l’illegalità della pena.

Inoltre, la decisione evidenzia le conseguenze negative di un ricorso infondato. L’inammissibilità ha comportato non solo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro alla cassa delle ammende. Questa sanzione funge da deterrente contro la proposizione di appelli dilatori o palesemente non consentiti dalla legge, rafforzando la stabilità e l’efficienza delle decisioni prese tramite accordo processuale.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No. L’ordinanza chiarisce che il ricorso è possibile solo per motivi specifici e limitati, elencati nell’art. 448, comma 2 bis, c.p.p., come problemi nel consenso dell’imputato, errata qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.

Perché il motivo del ricorrente, relativo alla mancata valutazione di un’assoluzione, è stato dichiarato inammissibile?
Perché una volta che l’imputato accetta il patteggiamento, accetta anche una forma di affermazione di responsabilità. Il suo ricorso non rientrava nei casi tassativi previsti dalla legge e, pertanto, era una critica generica e infondata non ammessa in quella sede.

Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile contro un patteggiamento?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (3000 euro) alla cassa delle ammende, a causa della colpa nel proporre un’impugnazione non consentita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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