Impugnazione Patteggiamento: Quando la Cassazione Dichiara il Ricorso Inammissibile
L’impugnazione patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di particolare delicatezza. La possibilità di contestare una sentenza emessa a seguito di un accordo tra accusa e difesa è, infatti, soggetta a limiti molto stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire quali sono i motivi per cui un ricorso può essere respinto senza nemmeno un esame nel merito.
Il Caso: Un Ricorso Contro la Sentenza di Patteggiamento
Nel caso in esame, un imputato aveva proposto ricorso per Cassazione avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (comunemente nota come ‘patteggiamento’). Il ricorrente lamentava, tra le altre cose, un vizio di motivazione della sentenza. In particolare, sosteneva che il giudice di primo grado non avesse adeguatamente verificato la possibile sussistenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale, prima di ratificare l’accordo sulla pena.
I Limiti all’Impugnazione del Patteggiamento secondo la Cassazione
La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione sull’interpretazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017, ha drasticamente ridotto le possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento.
La legge elenca tassativamente i soli motivi per cui è possibile ricorrere, tra cui:
* Mancata espressione del consenso da parte dell’imputato.
* Errata qualificazione giuridica del fatto, se ha portato a una pena più grave.
* Illegalità della pena irrogata.
La Corte ha specificato che il motivo sollevato dal ricorrente – ossia un presunto vizio di motivazione sulla verifica delle cause di non punibilità – non rientra in questo elenco. Non si tratta di una ‘difformità’ tra la richiesta delle parti e la decisione del giudice, né di un vizio legato alla volontà dell’imputato o all’illegalità della sanzione, come definita dalle Sezioni Unite nella nota sentenza ‘Jazouli’ del 2015.
Le Motivazioni della Decisione
La ratio della norma e della decisione della Cassazione è chiara: il patteggiamento è un accordo processuale che mira a una rapida definizione del giudizio. Consentire un’ampia facoltà di impugnazione ne vanificherebbe lo scopo. La legge, quindi, ha volutamente circoscritto il controllo della Cassazione a vizi macroscopici e ben definiti.
La Corte ha ribadito che il controllo sulla motivazione del giudice che applica il patteggiamento è limitato. Non è possibile, in sede di legittimità, rimettere in discussione l’accordo raggiunto tra le parti sollevando questioni che non rientrano nel perimetro tracciato dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. La richiesta del ricorrente, essendo estranea al patto raggiunto e non vincolante per la sua efficacia, non poteva costituire un valido motivo di ricorso.
Le Conclusioni: Inammissibilità e Condanna alle Spese
L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Come conseguenza diretta, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende. Questa decisione sottolinea le gravi conseguenze economiche di un’impugnazione infondata. In pratica, chi intende procedere con un’impugnazione patteggiamento deve essere consapevole che i margini di successo sono estremamente ridotti e limitati a specifiche violazioni di legge, con il rischio concreto di subire ulteriori sanzioni in caso di rigetto.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita l’impugnazione a specifici e tassativi motivi, come problemi legati al consenso dell’imputato, un’errata qualificazione giuridica del fatto che ha portato a una pena più grave o l’illegalità della pena applicata.
Un vizio di motivazione sulla mancata assoluzione è un motivo valido per ricorrere in Cassazione contro un patteggiamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un vizio di motivazione relativo alla mancata verifica delle cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.) non rientra tra i motivi tassativamente indicati dalla legge e, pertanto, non costituisce una base valida per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento.
Cosa succede se il ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale. Nel caso specifico, la somma era di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4072 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4072 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CEGLIE MESSAPICA il 11/12/1993
avverso la sentenza del 11/06/2024 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di BRINDISI
•éato – auvi 6a-age – Prire
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe; esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca, come nel caso di specie, un vizio di motivazione della sentenza in relazione alla verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod proc pen, atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in e tassativamente indicate, tra le quali non può annoverarsi quella ora in disamina che non attiene a una prospettata «difformità» tra contenuti della richiesta e quelli della decisione, non riguar vizi afferenti all’ espressione della volontà dell’imputato o alla qualificazione del fatto né, i inerisce alla irrogazione di una pena che possa definirsi illegale nei termini tracciati d indicazioni di principio espresse dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 33040 del 2015 (Jazouli);
ritenuto per le medesime ragioni anche il primo motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile trattandosi di richiesta rimasta estranea al patto raggiunto tra le parti alla qu non risultava vincolata l’efficacia dello stesso;
rilevato che all’inammissibilità del ricorso, dichiarata de plano ai sensi dell’art. 610, com 5bis cod.proc.pen. fanno seguito le pronunce di cui all’art. 616 dello stesso codice;
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28 ottobre 2024.