Impugnazione Patteggiamento: Quando è Ammessa? La Cassazione Fa Chiarezza
L’impugnazione del patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale caratterizzata da limiti ben precisi, introdotti per garantire la stabilità delle sentenze concordate tra accusa e difesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 21997/2024) offre un’importante occasione per ribadire quali siano questi confini, in particolare quando l’oggetto della contestazione è la misura della pena applicata. La Suprema Corte ha chiarito, ancora una volta, la differenza fondamentale tra una pena calcolata in modo discutibile e una pena definibile come “illegale”, l’unica che può aprire le porte a un ricorso.
I Fatti del Caso: Un Ricorso contro la Pena Concordata
Il caso trae origine da una sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Roma, con cui veniva applicata, su richiesta dell’imputato, una pena concordata per il reato di rapina pluriaggravata in concorso. La pena era stata fissata in 4 anni e 4 mesi di reclusione e 1.600,00 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e alla rifusione dei danni alla parte civile.
Contro questa sentenza, un soggetto ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una presunta “mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione” riguardo alla determinazione della pena finale, ritenuta eccessivamente rigorosa e non adeguatamente giustificata.
La Normativa sull’Impugnazione del Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha immediatamente inquadrato la questione nell’ambito dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017, ha drasticamente limitato la possibilità di impugnare le sentenze di patteggiamento. L’obiettivo del legislatore è stato quello di deflazionare il carico giudiziario e di conferire maggiore stabilità agli accordi raggiunti.
Secondo tale articolo, il ricorso è consentito solo per motivi specifici, quali l’espressione della volontà dell’imputato, la mancata corrispondenza tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o, appunto, l’illegalità della pena.
Le Motivazioni della Cassazione: La Nozione di “Pena Illegale”
Il cuore della decisione della Suprema Corte risiede nella definizione di “pena illegale”. Gli Ermellini, richiamando un autorevole precedente delle Sezioni Unite (sentenza Sacchettino, n. 877/2022), hanno precisato che una pena può essere considerata illegale solo in due circostanze:
1. Quando eccede i limiti edittali generali previsti dagli articoli 23 e seguenti del codice penale.
2. Quando viola i limiti edittali specifici previsti per la singola fattispecie di reato.
Al contrario, non costituisce motivo di impugnazione il fatto che i passaggi intermedi del calcolo (come il bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti o l’applicazione delle relative diminuzioni o aumenti) siano stati computati in modo ritenuto errato dal ricorrente. Questi eventuali errori non rendono la pena “illegale” nel senso tecnico richiesto dalla norma, ma attengono al merito della valutazione del giudice, che è preclusa in sede di legittimità per le sentenze di patteggiamento.
Nel caso di specie, la pena di 4 anni e 4 mesi rientrava pacificamente nei limiti previsti per il reato di rapina pluriaggravata. Di conseguenza, il motivo di ricorso non rientrava tra le ipotesi ammesse dalla legge.
Le Conclusioni: Inammissibilità e Conseguenze per il Ricorrente
Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Tale decisione non è priva di conseguenze: l’inammissibilità ha comportato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale: l’impugnazione del patteggiamento non è uno strumento per rimettere in discussione l’accordo sulla pena, salvo che questo non travalichi i confini della legalità stabiliti dal legislatore. Chi intende percorrere questa strada deve essere consapevole dei ristretti margini di ammissibilità e delle severe conseguenze economiche in caso di rigetto.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, limita l’impugnazione a ipotesi tassativamente indicate, come la mancanza di un valido accordo tra le parti, l’errata qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.
Si può impugnare un patteggiamento se si ritiene che la pena sia stata calcolata in modo errato?
No. L’impugnazione riguardo all’entità della pena è ammessa solo se la sanzione finale è ‘illegale’, cioè se eccede i limiti massimi o è inferiore ai limiti minimi previsti dalla legge. Eventuali errori nei passaggi intermedi del calcolo, come il bilanciamento delle circostanze, non costituiscono un valido motivo di ricorso.
Cosa succede se il ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (nel caso di specie, 3.000 euro) in favore della Cassa delle Ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21997 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 21997 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME NOME, nato a Cosenza il DATA_NASCITA, contro la sentenza del GUP del Tribunale di Roma del 17.1.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 17.1.2024 il GIP del Tribunale di Roma, su richiesta dell’imputato ed alla presenza del suo difensore di fiducia, ha applicato a NOME COGNOME, in relazione al delitto di rapina pluriaggravata in concorso, la pena concordata di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed euro 1.600,00 di multa, oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e di custodia cautelare oltre che alla rifusione
di quelle sostenute dalla costituita parte civile, applicando infine la pena accessoria conseguente alla entità di quella principale;
ricorre per cassazione il difensore del COGNOME deducendo mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena finale il cui rigore non trova giustificazione nell’apparato motivazionale della sentenza impugnata.
3 Il ricorso è inammissibile.
Come è noto, l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi in esso tassativamente indicate.
Con riguardo, poi, al trattamento sanzionatorio, si è chiarito che la sentenza di applicazione concordata della pena è impugnabile, sotto questo profilo, soltanto nel caso in cui l’accordo, e la statuizione giudiziale, abbiano avuto ad oggetto una pena illegale che, tuttavia, è tale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittal generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevan il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 Cc. (dep. 12/01/2023), COGNOME, Rv. 283886 – 01).
Tale ipotesi residuale, nel caso di specie, pacificamente non è ravvisabile.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma di Euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, 1’11.4.2024