Impugnazione Patteggiamento: Quando è Possibile e Quando No
L’impugnazione patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dai contorni ben definiti. Sebbene l’accordo sulla pena sia una scelta strategica per l’imputato, le possibilità di contestare successivamente la sentenza sono molto limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza quali sono i confini invalicabili per chi intende ricorrere contro una sentenza emessa a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti, chiarendo perché determinate doglianze non possano trovare accoglimento.
Il Caso: un Ricorso contro la Sentenza di Patteggiamento
Nel caso specifico, un imputato aveva raggiunto un accordo con la pubblica accusa per una pena di due anni di reclusione e 1.500 euro di multa per reati di lesioni personali e porto d’armi. Successivamente, attraverso il proprio difensore, presentava ricorso per Cassazione contro la sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare che aveva ratificato l’accordo. I motivi del ricorso erano incentrati su presunte omissioni da parte del giudice di primo grado, in particolare:
1. La mancata valutazione sulla sussistenza di cause di non punibilità (come previsto dall’art. 129 c.p.p.).
2. La mancata considerazione di una circostanza attenuante specifica (art. 114 c.p.).
3. La mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
L’imputato sosteneva, in sintesi, che il giudice avesse il dovere di esaminare questi aspetti prima di emettere la sentenza, e che la sua omissione costituisse un vizio censurabile in sede di legittimità.
L’Impugnazione del Patteggiamento secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per riaffermare i principi che regolano l’impugnazione patteggiamento. La decisione si fonda principalmente sull’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
I Motivi Tassativamente Previsti dalla Legge
La norma citata elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile ricorrere contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:
* Vizi legati all’espressione della volontà dell’imputato.
* Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa.
* Errata qualificazione giuridica del fatto contestato.
* Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
Qualsiasi altro motivo addotto dal ricorrente è, per definizione, al di fuori del perimetro di ammissibilità del ricorso. Le censure sollevate nel caso di specie, relative alla mancata valutazione di cause di proscioglimento o di circostanze attenuanti, non rientrano in nessuna di queste categorie.
La Questione della Sospensione Condizionale della Pena
Un punto specifico affrontato dalla Corte riguarda la doglianza sulla mancata concessione della sospensione condizionale. I giudici hanno osservato che, dall’analisi degli atti, non emergeva che l’accordo tra le parti fosse stato subordinato alla concessione di tale beneficio. In altre parole, l’imputato aveva accettato la pena a prescindere dalla possibilità di ottenerne la sospensione. Di conseguenza, non poteva lamentarsi in un secondo momento della sua mancata applicazione, poiché non costituiva una condizione dell’accordo ratificato dal giudice.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nella natura stessa del patteggiamento. Si tratta di un rito premiale basato su un accordo negoziale tra accusa e difesa. Una volta che l’accordo è stato raggiunto e ratificato dal giudice, la possibilità di rimetterlo in discussione è eccezionale e strettamente circoscritta dalla legge per garantire la stabilità delle decisioni e l’efficienza del sistema. Consentire ricorsi basati su motivi ampi e discrezionali snaturerebbe la funzione del patteggiamento. La Corte ha quindi applicato rigorosamente il principio di tassatività dei motivi di ricorso, escludendo che il controllo di legittimità potesse estendersi a valutazioni di merito, come quelle richieste dal ricorrente sull’applicabilità dell’art. 129 c.p.p.
Le Conclusioni della Corte
In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito che il ricorso era affetto da inammissibilità e, di conseguenza, lo ha rigettato senza formalità di procedura. L’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: chi sceglie la via del patteggiamento accetta un ambito di impugnazione estremamente ristretto. Le parti devono quindi ponderare attentamente ogni aspetto dell’accordo, inclusi i benefici come la sospensione condizionale, e, se ritenuto essenziale, subordinare esplicitamente l’accordo alla sua concessione. In caso contrario, non sarà possibile dolersene in un secondo momento.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione è consentita solo per motivi specifici e tassativamente indicati dalla legge, come previsto dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
La mancata valutazione da parte del giudice di una causa di non punibilità (art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per ricorrere contro un patteggiamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questo tipo di valutazione esula dai motivi per cui è ammesso il ricorso contro una sentenza di patteggiamento, i quali sono strettamente limitati dalla legge.
Se l’accordo di patteggiamento non prevede esplicitamente la sospensione condizionale della pena, si può ricorrere se il giudice non la concede?
No. Se l’accordo tra le parti non era subordinato alla concessione del beneficio, la sua mancata applicazione da parte del giudice non costituisce un motivo valido di impugnazione della sentenza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9232 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9232 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/02/2024
f ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/09/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di PARMA
j dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Rilevato che il ricorso attinge la sentenza di applicazione della pena richiesta dalle parti, ex art. 444 cod. proc. pen., emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Parma, nei confronti di NOME COGNOME, in relazione al reato di cui all’artt. 110, 61 n. 2, cod. pen. e artt. 4 e 7 I. 2 ottobre 1967, n. 895 e reato di cui gli artt. 110, 582 e 585 cod. pen., nella misura di anni due di reclusione e 1.500,00 euro di multa.
Considerato che, con l’unico motivo addotto, a mezzo del difensore, AVV_NOTAIO, il ricorrente deduce l’omessa valutazione e la contraddittorietà della motivazione circa la sussistenza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. e della concedibilità della sospensione condizionale della pena.
Rilevato che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, consente la proposizione del ricorso avverso la sentenza di patteggiamento per i soli “motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura d sicurezza”, e che la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. esula da queste ipotesi (Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, Pierri, Rv. 278337), così come la sussistenza di una circostanza attenuante, e che l’accordo ratificato dal giudice a quo non risulta subordinato alla concessione della sospensione condizionale della pena.
Rilevato, peraltro, che dalla incontestata sintesi (cfr. p. 3 della sentenza) dell’accordo intervenuto tra le parti, queste non risultano aver subordinato l’applicazione della pena alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della cui mancata applicazione il ricorrente si duole.
Ritenuto che, quindi, il ricorso è affetto da inammissibilità che può essere dichiarata senza formalità di procedura, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 8 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente