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Impugnazione patteggiamento: i limiti del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27255/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento. La Corte ha ribadito che l’impugnazione del patteggiamento è consentita solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, co. 2-bis, c.p.p., escludendo censure relative al giudizio di responsabilità, all’applicazione della recidiva o alla misura della pena. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione Patteggiamento: La Cassazione Ribadisce i Limiti Tassativi

L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie privilegiate per la definizione rapida dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta delle conseguenze significative, soprattutto per quanto riguarda le possibilità di contestare la sentenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 27255/2024) offre un’importante lezione sui rigidi confini dell’impugnazione del patteggiamento, chiarendo quali motivi di ricorso sono destinati a essere dichiarati inammissibili.

Il Fatto all’Origine della Decisione

Il caso in esame nasce dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) emessa dal Tribunale di Monza. Il ricorrente sollevava diverse censure, mettendo in discussione aspetti centrali della decisione: contestava il giudizio di responsabilità, l’applicazione della recidiva, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e lamentava un difetto di motivazione riguardo agli aumenti di pena per la continuazione e la misura finale della sanzione.

I Limiti all’Impugnazione del Patteggiamento nella Legge

La Corte di Cassazione, nel valutare il ricorso, ha applicato rigorosamente la disciplina introdotta dalla legge n. 103 del 2017, che ha modificato l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma limita in modo drastico la possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento. Il legislatore ha stabilito che il ricorso è consentito solo per un numero chiuso e specifico di motivi, tra cui:

* Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena irrogata.

Qualsiasi motivo di ricorso che esuli da questo elenco tassativo non può essere preso in considerazione dal giudice dell’impugnazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile de plano, ovvero senza la necessità di un’udienza, poiché le doglianze sollevate dal ricorrente non rientravano in alcuna delle ipotesi consentite dalla legge. I giudici hanno chiarito che contestare la valutazione di responsabilità, la gestione della recidiva o delle attenuanti, e la congruità della pena sono questioni che attengono al merito della decisione. Tuttavia, con il patteggiamento, l’imputato accetta volontariamente una determinata pena in cambio di uno sconto, rinunciando implicitamente a contestare tali aspetti.

La Corte ha sottolineato che le critiche del ricorrente non prospettavano una “difformità” tra la richiesta di patteggiamento e la decisione finale, né un vizio nel consenso o un’illegalità della pena secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite (sentenza Jazouli n. 33040/2015). Di conseguenza, il tentativo di rimettere in discussione il merito della valutazione del giudice di primo grado si è scontrato con la barriera dell’inammissibilità.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in commento rafforza un principio fondamentale: la sentenza di patteggiamento gode di una stabilità quasi assoluta. La scelta di questo rito processuale deve essere ponderata attentamente, con la consapevolezza che le vie di impugnazione sono estremamente limitate. Non è possibile utilizzare il ricorso per Cassazione come un terzo grado di giudizio per rinegoziare la pena o ridiscutere la propria colpevolezza. La pronuncia serve da monito: l’impugnazione del patteggiamento è un rimedio eccezionale, riservato a vizi gravi e specifici, e non uno strumento per contestare l’accordo raggiunto tra le parti e ratificato dal giudice. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione è possibile solo per i motivi specifici e tassativamente indicati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come vizi della volontà, erronea qualificazione del fatto o illegalità della pena.

Quali sono i motivi non validi per un ricorso contro il patteggiamento secondo questa ordinanza?
Non sono motivi validi contestare il giudizio di responsabilità, l’applicazione della recidiva, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, o il difetto di motivazione sugli aumenti per la continuazione e la misura della pena.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente in questo caso?
Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile e, di conseguenza, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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