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Impugnazione inammissibile: quando l’appello è errato

Due gestori di uno stabilimento balneare vengono condannati per la mancata rimozione di manufatti. Propongono appello, ma la Cassazione lo converte in ricorso e lo dichiara una impugnazione inammissibile. La Corte spiega che l’atto, pur convertito, deve rispettare i requisiti formali e sostanziali del ricorso per cassazione, cosa che in questo caso non è avvenuta, comportando la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Errore procedurale: la conversione dell’atto non sana una impugnazione inammissibile

Nel complesso mondo della procedura penale, la scelta del corretto mezzo di impugnazione è un passaggio cruciale che può determinare l’esito di un intero processo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: anche se un’impugnazione errata viene ‘convertita’ in quella corretta, essa risulterà comunque inammissibile se non ne possiede fin dall’origine i requisiti di forma e sostanza. Il caso in esame, che ha portato a una declaratoria di impugnazione inammissibile, riguarda due gestori di uno stabilimento balneare e offre spunti essenziali sull’importanza del rigore procedurale.

I fatti di causa

La vicenda ha origine da una sentenza del Tribunale di Patti, che condannava due gestori di uno stabilimento balneare al pagamento di un’ammenda di 600 euro ciascuno per una contravvenzione prevista dal Codice della Navigazione (art. 1161). L’accusa era legata alla mancata rimozione, al termine della stagione estiva, di alcune strutture amovibili come un chiosco, una pedana e un’insegna pubblicitaria.

Contro questa decisione, i due imputati, assistiti dal loro difensore, proponevano appello, sostenendo diverse ragioni a loro difesa. Tra queste, l’errata interpretazione della normativa regionale che, a loro dire, consentirebbe la gestione degli stabilimenti per tutto l’anno, l’assenza dell’elemento psicologico del reato dovuta a un presunto meccanismo di rinnovo automatico delle concessioni, e la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La conversione e i motivi dell’impugnazione inammissibile

Il punto cruciale della vicenda, tuttavia, non risiede nel merito delle argomentazioni difensive, ma in un aspetto puramente procedurale. La sentenza impugnata, prevedendo una condanna alla sola pena dell’ammenda per una contravvenzione, non era appellabile secondo quanto stabilito dal codice di procedura penale (art. 593, comma 3). Lo strumento corretto sarebbe stato il ricorso diretto per cassazione.

La Corte di Cassazione, applicando il principio di conservazione degli atti giuridici (translatio judicii), ha convertito l’appello in ricorso. Tuttavia, questo non è stato sufficiente a salvare l’impugnazione. La Corte ha infatti chiarito che la conversione non sana i vizi originari dell’atto. Perché un’impugnazione possa essere esaminata, anche dopo la conversione, è necessario che essa possieda fin dall’inizio i requisiti sostanziali e formali del mezzo di impugnazione corretto.

Le motivazioni

Nelle sue motivazioni, la Suprema Corte ha spiegato che l’atto presentato dai due imputati era strutturato in tutto e per tutto come un appello, non come un ricorso per cassazione. Le censure sollevate miravano a una rivalutazione dei fatti e del merito della vicenda (ad esempio, chiedendo l’assoluzione o il proscioglimento), attività tipica del giudizio di appello ma preclusa in sede di legittimità.

Il ricorso per cassazione, infatti, permette di contestare una sentenza solo per motivi di diritto, ovvero per violazioni di legge, e non per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di primo grado. L’atto degli imputati, invece, non conteneva motivi riconducibili a quelli tassativamente elencati dall’art. 606 del codice di procedura penale.

La Corte ha sottolineato che quando la parte sceglie consapevolmente un mezzo di gravame non consentito dalla legge, l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile. La conversione dell’atto è possibile solo se, al di là del nome utilizzato (‘appello’ anziché ‘ricorso’), l’atto ha le caratteristiche proprie del mezzo corretto. In questo caso, le richieste di assoluzione e proscioglimento, tipiche dell’appello, hanno reso l’impugnazione inammissibile anche dopo la sua conversione formale in ricorso.

Le conclusioni

La decisione si conclude con la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Questa sentenza rappresenta un monito importante sull’importanza della precisione tecnica nella scelta degli strumenti processuali. Un errore nella qualificazione dell’impugnazione può precludere l’esame nel merito delle proprie ragioni, con conseguenze economiche significative, anche quando le argomentazioni difensive potrebbero avere un fondamento.

Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile pur essendo stato convertito in ricorso per cassazione?
Perché l’atto, pur essendo stato convertito, non possedeva i requisiti di sostanza e di forma propri del ricorso per cassazione. Le censure proposte miravano a una rivalutazione dei fatti, tipica dell’appello, e non a contestare violazioni di legge, come richiesto per il ricorso.

Cosa succede quando si propone un mezzo di impugnazione diverso da quello previsto dalla legge?
In base al principio di conservazione degli atti, il giudice può convertire l’impugnazione in quella corretta (translatio judicii). Tuttavia, se l’atto non presenta i requisiti contenutistici e formali del mezzo corretto, viene dichiarato inammissibile.

Quali sono le conseguenze di una declaratoria di inammissibilità del ricorso?
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna della parte che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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