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Impugnazione imputato detenuto: domicilio non serve

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che dichiarava inammissibile l’appello di un imputato detenuto per mancata elezione di domicilio. La Suprema Corte ha stabilito che tale adempimento, previsto dall’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. (ora abrogato), non si applica all’impugnazione dell’imputato detenuto, poiché la notifica degli atti è già garantita presso il luogo di detenzione. Questa formalità è stata ritenuta un’inutile e sproporzionata compressione del diritto di difesa.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione imputato detenuto: la Cassazione tutela il diritto di difesa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 43769 del 2024, ha affrontato una questione cruciale per la tutela del diritto di difesa: la validità dell’impugnazione di un imputato detenuto anche in assenza della dichiarazione o elezione di domicilio. La Corte ha stabilito che tale adempimento, un tempo richiesto a pena di inammissibilità, rappresenta una formalità superflua e ingiustificata per chi si trova già ristretto in un istituto penitenziario, annullando così la decisione di una Corte d’appello che aveva negato l’accesso al giudizio di secondo grado.

I fatti del caso e la decisione della Corte d’Appello

Il caso trae origine da una decisione della Corte di appello di Torino, che aveva dichiarato inammissibile l’appello presentato dal difensore di un imputato. La ragione? La mancata presentazione, unitamente all’atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio, un requisito introdotto dalla Riforma Cartabia e previsto dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale (norma che, per inciso, è stata recentemente abrogata).

Secondo i giudici di secondo grado, questa omissione formale era sufficiente per impedire l’esame nel merito dell’appello. Tuttavia, il difensore ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando un punto fondamentale: al momento della presentazione dell’appello, il suo assistito si trovava in stato di detenzione per un’altra causa.

L’analisi sull’impugnazione dell’imputato detenuto

Il difensore ha sostenuto che, essendo l’imputato detenuto, la notifica del decreto di citazione a giudizio sarebbe comunque avvenuta presso il luogo di detenzione. Di conseguenza, l’elezione di domicilio si configurava come un adempimento burocratico inutile e la sua mancanza non poteva giustificare una sanzione così grave come l’inammissibilità, che di fatto comprime il diritto di difesa e di accesso alla giustizia.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente la tesi difensiva. Pur riconoscendo che, in base al principio tempus regit actum, la norma da applicare era quella in vigore al momento della proposizione dell’appello (e quindi l’art. 581, comma 1-ter c.p.p. era ancora applicabile), ha ritenuto errata la dichiarazione di inammissibilità.

I giudici hanno chiarito che la previsione normativa che richiede l’elezione di domicilio non trova applicazione nel caso in cui l’imputato impugnante sia detenuto. La ratio della norma è garantire la reperibilità dell’imputato per le notifiche, ma questa esigenza è già pienamente soddisfatta per chi si trova in carcere, poiché la legge prevede che le notifiche vengano eseguite ‘a mani proprie’ presso l’istituto di detenzione.

Imporre a un detenuto questo adempimento supplementare costituirebbe una ‘ingiustificata e sproporzionata compressione del diritto di impugnazione’. La Corte ha inoltre specificato che è irrilevante se la detenzione sia per lo stesso procedimento o per altra causa. Ciò che conta è lo status di detenuto al momento della presentazione dell’appello, in quanto tale status garantisce di per sé il canale di notificazione degli atti.

Le conclusioni: prevale la sostanza sulla forma

Con questa sentenza, la Cassazione riafferma un principio di civiltà giuridica: il diritto di difesa e di accesso alla giustizia, sancito anche dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, non può essere sacrificato sull’altare di un formalismo vuoto e fine a se stesso. La decisione annulla quindi l’ordinanza impugnata e restituisce gli atti alla Corte di appello di Torino, che dovrà procedere con il giudizio di merito.

Questa pronuncia rappresenta un importante baluardo a tutela dei diritti degli imputati, specialmente di quelli che si trovano in una condizione di maggiore vulnerabilità come quella detentiva, assicurando che le garanzie processuali non vengano vanificate da requisiti burocratici privi di reale funzione.

Un imputato detenuto è obbligato a eleggere domicilio per presentare un appello?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di dichiarazione o elezione di domicilio non si applica all’imputato che si trovi in stato di detenzione al momento della presentazione dell’impugnazione, poiché la notifica degli atti è già garantita per legge presso il luogo di detenzione.

Ha importanza il motivo per cui l’imputato si trova in carcere?
No. La sentenza chiarisce che è irrilevante se l’imputato sia detenuto per lo stesso procedimento oggetto di appello o per un’altra causa. Ciò che rileva è unicamente il suo stato di detenzione al momento della proposizione dell’impugnazione.

Come viene giustificata questa decisione dalla Corte?
La Corte ha ritenuto che imporre l’elezione di domicilio a un imputato detenuto costituisce una ‘ingiustificata e sproporzionata compressione del diritto di impugnazione’. Si tratterebbe di un adempimento inutile, poiché la notifica è già assicurata, e violerebbe il diritto a un effettivo accesso alla giustizia sancito dall’art. 6 della Convenzione EDU.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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