Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7169 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7169  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in Ecuador il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/05/2023 del GIUDICE DI PACE DI MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso.
Ritenuto in fatto
 Con sentenza del 15 maggio 2023 il giudice di pace di Milano ha dichiarato non doversi procedere per particolare tenuità del fatto nei confronti di NOME COGNOME Inga accusato del reato dell’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con unico motivo in cui deduce violazione di legge perché il giudice di pace ha illegittimamente dichiarato l’assenza dell’imputato nonostante la citazione a giudizio fosse stata notificata non a lui, ma al difensore di ufficio precisando di avere interesse all’impugnazione in quanto la mancata conoscenza /
del processo in capo all’imputato gli ha impedito di ottenere un’assoluzione nel merito.
Con requisitoria scritta il AVV_NOTAIO generale, AVV_NOTAIO, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata è del 15 maggio 2023, quindi ad essa si applica la nuova formulazione dell’art. 581 cod. proc. pen., nel testo novellato dal d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150 (v. Sez. 3, Sentenza n. 46690 del 09/11/2023, Baum, Rv. 285342).
Nel nuovo testo dall’art. 581 cod. proc. pen. l’atto di impugnazione è soggetto, a pena di inammissibilità, a degli obblighi di allegazione che il ricorso odierno non rispetta.
Il ricorso non allega, infatti, la dichiarazione o elezione di domicilio chiesta dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., che la giurisprudenza di questa Corte ritiene che debba essere effettuata dopo la pronuncia del provvedimento da impugnare (v. Sez. 5, Sentenza n. 46831 del 26/09/2023, Iacuzio, n.m.), non essendo utile, pertanto, quella eventualmente effettuata nel corso delle indagini preliminari o del giudizio. Dalla intestazione del ricorso il difensore non riferisc dell’esistenza di questa dichiarazione o elezione di domicilio successiva alla sentenza, che in ogni caso non è stata depositata con esso.
Inoltre, poiché dalla intestazione della sentenza impugnata, e dallo stesso motivo di ricorso, risulta che l’imputato COGNOME è stato giudicato in assenza, il ricorso avrebbe dovuto allegare anche lo specifico mandato ad impugnare, rilasciato dall’imputato dopo la pronuncia della sentenza – e contenente anche la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato – previsto dall’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. (necessario anche per il ricorso per cassazione, v. Sez. 2, Sentenza n. 47327 del 03/11/2023, NOME, Rv. 285444). Dalla intestazione del ricorso il difensore non riferisce di aver ricevuto questo specifico mandato ad impugnare, che in ogni caso non è stato depositato con esso.
E’ vero che nel caso in esame il ricorso deduce, nell’unico motivo, proprio la non correttezza della dichiarazione di assenza, e ciò pone il problema interpretativo dell’applicabilità a casi quali quello in esame della norma dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. (ma non del comma 1-ter, che si applica a tutti gli imputati, che siano assenti o meno), che ha come presupposto proprio la dichiarazione giudiziale di assenza dell’imputato.
Però, sia la lettera della norma del comma 1-quater che la lettura sistematica della stessa nel complesso delle disposizioni del codice, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, inducono a ritenere necessario l’onere di allegazione dello specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la sentenza oggetto di impugnazione, e corredato della dichiarazione o elezione di domicilio, anche al caso dell’assente che contesti, con la impugnazione, proprio la correttezza della dichiarazione giudiziale di assenza.
Il nuovo sistema del diritto delle impugnazioni, conseguenza delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2022, è fondato, infatti, sul divieto di impugnazioni presentate senza che il diretto interessato ne sia a conoscenza. Lo si ricava dalla circostanza che la dichiarazione o elezione di domicilio del co. 1-ter e lo specifico mandato ad impugnare del comma 1-quater sono adempimenti che servono, infatti, per “ritenere provato, in modo incontrovertibile, che l’imputato “conosce e vuole”, non solo l’esistenza del processo, ma anche la sua progressione nei gradi successivi” (Sez. 2, n. 47927 del 20/10/2023, Giuliano. n. m.). Lo specifico mandato ad impugnare che deve rilasciare l’assente ha la finalità, in particolare, di “assicurare che l’impugnazione sia proposta solo quando l’imputato abbia effettiva conoscenza della sentenza pronunciata in sua assenza e che sussista la volontà di impugnarla” (Sez. 2, Sentenza n. 40824 del 13/09/2023, COGNOME, Rv. 285256).
Imponendo, attraverso gli oneri di allegazione dei commi 1-ter ed 1-quater, che vi sia la prova che l’imputato “conosce e vuole” la progressione del processo nei gradi successivi, il nuovo sistema del diritto delle impugnazioni corregge una patologia del sistema processuale previgente’ che permetteva la celebrazione di gradi successivi di giudizio su impugnazione del difensore, e che consentiva poi al diretto interessato di porre nel nulla questa attività processuale attivando i rimedi straordinari garantiti dagli artt. 175 o 629-bis cod. proc. pen. (secondo i confini tracciati da Sez. U, Sentenza n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259992).
Il sistema processuale era venuto a strutturarsi in questo modo per effetto di interventi sovrapposti, e non organici, del legislatore e della giurisprudenza di legittimità, di quella costituzionale e di quella convenzionale.
Nella sua versione originaria l’art. 571, comma 3, cod. proc. pen. disponeva, infatti, al secondo periodo che “contro una sentenza contumaciale, il difensore può proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste”. Lo specifico mandato ad impugnare era imposto, pertanto, come condizione di ammissibilità dell’impugnazione, pur se si prevedeva potesse essere rilasciato già anche con la nomina.
L’art. 46 I. 16 dicembre 1999, n. 479, innovava il sistema sopprimendo il secondo periodo del comma 3 dell’art. 571, ed assicurando in questo modo il diritto di impugnazione in modo generale al “difensore dell’imputato al momento del deposito del provvedimento”. Nel processo contumaciale diventavano, pertanto, possibili impugnazioni presentate dal difensore senza che il diretto interessato ne avesse a conoscenza.
La successiva decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo 10 marzo 2006, COGNOME c. Italia, imponeva l’ampliamento del rimedio della restituzione nel termine di cui all’art. 175 cod. proc. pen., già presente nella versione originaria del codice, ma ritenuto dalla Corte di Strasburgo insufficiente ad evitare la violazione dell’articolo 6 della Convenzione in un caso in cui l’imputato era stato giudicato in contumacia, senza che vi fosse prova che lo stesso si era sottratto volontariamente al giudizio.
La pronuncia COGNOME non prendeva posizione in modo esplicito sulla necessità del cumulo tra il rimedio restitutorio e l’impugnazione proposta dal difensore, perché si trattava di un caso cui era applicabile ratione temporis il vecchio testo dell’art. 571 cod. proc. pen., antecedente alle modifiche apportate dalla I. n. 479 del 1999, ed in cui quindi non vi era stato appello del difensore d’ufficio, ma in motivazione la Corte aveva offerto spunti per ritenere che questa possibilità di impugnazione sia del tutto irrilevante nel sistema della Convenzione, avendo ritenuto in ogni caso insufficiente ad evitare la sussistenza della violazione la circostanza che nel processo l’imputato fosse stato assistito da un difensore in quanto “la nomina di un avvocato non basta, da sola, ad assicurare l’effettività dell’assistenza che quest’ultimo può fornire all’imputato”
Dopo la prima pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo 11 settembre 2003, COGNOME c. Italia, in punto di ricevibilità del ricorso, il legislatore int ampliava la possibilità di utilizzo dello strumento della restituzione nel termine, modificando, pertanto, l’art. 175 cod. proc. pen. mediante l’art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, conv., con modif., in I. 22 aprile 2005, n. 60, che disponeva che “se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica”.
L’astratta possibilità di cumulare, a questo punto, il rimedio impugnatorio accordato al difensore e quello straordinario riconosciuto all’imputato giungeva all’esame della giurisprudenza di legittimità, che arrivava alla conclusione che “l’impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse
dell’imputato contumace precludeva a quest’ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel termine pe proporre a sua volta impugnazione (Sez. U, Sentenza n. 6026 del 31/01/2008, Huzuneanu, Rv. 238472, che evidenziava in motivazione che “l’astratta configurabilità di una duplicazione di impugnazioni, promananti le une dal difensore, e le altre dall’imputato, rappresenterebbe una opzione palesemente incompatibile con l’esigenza di assegnare una “ragionevole durata” al processo, sulla base di quanto imposto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”).
La restrizione all’accesso al rimedio restitutorio dell’art. 175 cod. proc. pen. veniva giudicata, però, incostituzionale dal giudice delle leggi, che dichiarava l’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. “costituzionalmente illegittimo nella parte in cui preclude la restituzione del contumace, che non aveva avuto cognizione del processo, nel termine per proporre impugnazione, quando la stessa impugnazione sia già stata proposta dal difensore” (Corte Costituzionale, 30 novembre 2009, n. 317).
In motivazione, però, la sentenza n. 317 precisava c:he la “Corte può intervenire in materia nei limiti della sua competenza e non può incidere sulla conformazione del processo contumaciale, che spetta al legislatore. Si deve soltanto sottolineare che, nell’accogliere parzialmente la questione sollevata dalla Corte rimettente, si elimina una specifica violazione al diritto di difesa ed al contraddittorio dell’imputato contumace inconsapevole, allo scopo di rendere effettiva proprio la misura ripristinatoria scelta dal legislatore – la rimessione ne termine per proporre impugnazione – senza profilare un nuovo modello di processo al contumace”).
La successiva riscrittura del sistema ad opera della I. 28 aprile 2014, n. 67, sulla eliminazione della contumacia e sulla nuova disciplina dell’assenza, e poi dell’art. 1, comma 71,1. 23 giugno 2017, n. 103, sull’introduzione del rimedio della rescissione del giudicato di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen. “qualora (l’imputato) provi che sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’articolo 420-bis, e che non abbia potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa, salvo risulti che abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza”, non modificava i termini della questione, lasciando in vita l’astratta cumulabilità della impugnazione del difensore e della successiva possibilità per l’imputato di porre nel nulla l’attivit processuale generata dall’impugnazione del suo difensore.
Il nuovo intervento legislativo che, con il d.lgs. n. 150 del 2022, ha riscritto diritto delle impugnazioni si è, invece, posto il problema della inevitabile precarietà di questa attività processuale svolta nei gradi successivi di giudizio, attività
processuale inevitabilmente precaria, perché effettuata nella inconsapevolezza (o nella mancanza di prova della consapevolezza) del diretto interessato, ed esposta, pertanto, al rischio della richiesta del rimedio restitutorio nel momento in cui l’imputato fosse emerso dalla sua situazione di assenza, ed ha previsto gli oneri di allegazione del comma 1-ter e del comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen, che garantiscono, come detto sopra, che l’impugnazione avvenga soltanto se l’imputato la conosce e la vuole. Per effetto del nuovo sistema processuale, pertanto, non è più possibile il cumulo tra il rimedio impugnatorio a disposizione del difensore ed il rimedio restitutorio a disposizione dell’imputato, perché la conoscenza dell’impugnazione da parte dell’imputato, che è conseguenza solida della dichiarazione o elezione di domicilio o dello specifico mandato ad impugnare successivi alla sentenza impugnata, gli impedisce di fornire la “prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo”, che è condizione per presentare la richiesta di restituzione nel termine.
Né si può ritenere che il nuovo sistema processuale del diritto delle impugnazioni restringa troppo l’accesso dell’assente al grado successivo di giudizio.
Il nuovo sistema processuale fornisce, infatti, comunque tutela all’assente che deduca la non correttezza della dichiarazione di assenza, mediante l’istituto, ridefinito, della restituzione nel termine per impugnare di cui all’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen., che prevede che “l’imputato giudicato in assenza è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dall’articolo 420 bis, commi 2 e 3, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa”. Per come è strutturata la norma, il nuovo rimedio è destinato ad essere utilizzato proprio dall’assente che contesti la correttezza della dichiarazione di assenza (“fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo”).
Interpolare la disposizione dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. per ritagliare da essa l’ipotesi dell’assente che contesti la dichiarazione di assenza, e sottrarre tale caso dall’onere di allegazione dello specifico mandato ad impugnare, produrrebbe, pertanto, la conseguenza irrazionale di ritornare, solo in tale specifico caso, al sistema processuale previgente, che permetteva al difensore di chiedere che il processo progredisse nei gradi successivi, ed al diretto interessato di porre nel nulla tale attività processuale attivando il rimedio straordinario di carattere restitutorio.
Si tratta, pertanto, di una interpretazione che non è coerente con il sistema processuale del diritto delle impugnazioni, quale disegnato dal d.lgs. n. 150 del
2022, in cui introdurrebbe un elemento di irrazionalità, e che non è neanche costituzionalmente obbligata, perché la pronuncia n. 317 del 2009 della Corte Costituzionale da cui ha avuto origine la cumulabilità dei due rimedi precisava espressamente che essa interveniva in materia “nei limiti della sua competenza” e che non intendeva “incidere sulla conformazione del processo contumaciale, che spetta al legislatore”.
La conformità a costituzione della nuova norma dell’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen. è già stata sostenuta, d’altronde, da questa Corte “ben potendo l’imputato, che provi che la propria assenza è dovuta alla mancata conoscenza incolpevole del processo, far ricorso ai plurimi rimedi restitutori suscettibili di reintegrarlo nelle opzioni processuali che non è stato in grado di esercitare” (Sez. 2, Sentenza n. 47327 del 03/11/2023, NOME, Rv. 285444).
Anche nel diritto convenzionale, peraltro, è sufficiente che un rimedio alla mancata conoscenza del processo esista e che sia effettivo, e la circostanza che il diritto processuale interno garantisca la riapertura del procedimento in favore dell’imputato inconsapevole di essere stato giudicato in assenza è stato riaffermato, anche di recente, essere condizione sufficiente per ritenere la insussistenza della violazione dell’art. 6 (Corte europea dei diritti dell’uomo, 02/10/2018, Bivolaru c. Romania).
Nello stesso diritto euro-unitario la circostanza che il rimedio a disposizione dell’assente si possa attivare soltanto dopo l’irrevocabilità della sentenza (che è una conseguenza possibile, anche se non necessaria, della struttura dell’art. 175 cod. proc. pen.) è espressamente prevista dall’art. 8, comma 4, della direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, il cui art. 8, comma 4, prevede espressamente che gli Stati membri possono consentire non solo l’adozione di una decisione in assenza, ma anche l’esecuzione della stessa, purchè garantiscano all’imputato, una volta arrestato, di impugnare la decisione (“Qualora gli Stati membri prevedano la possibilità di svolgimento di processi in assenza dell’indagato o imputato, ma non sia possibile soddisfare le condizioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo perché l’indagato o imputato non può essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi, gli Stati membri possono consentire comunque l’adozione di una decisione e l’esecuzione della stessa. In tal caso, gli Stati membri garantiscono che gli indagati o imputati, una volta informati della decisione, in particolare quando siano arrestati, siano informati anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, in conformità dell’articolo 9”; sul punto, in termini v. anche Corte giustizia UE, sez. IV, 19/05/20.22, n. 569).
A
In definitiva, si deve ritenere che nel caso in esame, in cui il ricorso per cassazione è stato presentato dal difensore d’ufficio, senza allegare né la dichiarazione o elezione di domicilio successiva alla sentenza impugnata di cui al comma 1-ter dell’art. 581 cod. proc. pen., né lo specifico mandato ad impugnare di cui al comma 1-quater della stessa norma, il ricorso incorra nella causa di inammissibilità previste dalle stesse disposizioni dei commi 1-ter ed 1-quater citati.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 gennaio 2024
Il consigliere estensore
Il presidete