Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 674 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 674 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 11/08/1986
avverso la sentenza del 20/07/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte ex art. 611 c.p.p. del PG in persona del Sostituto Proc. Gen NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20/7/2023 la Corte di Appello di Roma, ha dichiarato inammissibile ai sensi degli artt. 581 co. 1 quater, 591 co. ; lett. c) e 592 cod. proc. pen. l’appello presentato da NOME COGNOME avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, in data 16/1/2023 l’aveva condannato alla pena di mesi due di arresto ed euro 3000 di ammenda, con la confisca amministrativa del veicolo, per il reato di cui agli artt. 116 co. 1.5 e 17 cod. strad accertato in Roma il 15/2/2020.
La Corte capitolina rilevava che la sentenza impugnata era stata pronunciata il 16/1/2023, che pertanto erano entrate in vigore e pienamente applicabili le disposizioni contenute nell’art. 581 co. iter e lquater introdotti dal d.lgs 150/2022 (la c.d. Riforma Cartabia), che il COGNOME era stato giudicato in assenza e che l’appello depositato dal suo difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME era privo della dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, mancanza sanzionata con l’inammissibilità del gravame.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, NOME COGNOME deducendok i motivi,, di seguito enuncia4 nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Il ricorrente, con un motivo articolato in quattro punti, denuncia l’illegittimità costituzionale dell’articolo 581 co. 1-ter e 1-quater cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione e, in via subordinata, dell’art. 89 co. 3 del d.lgs. 150/2022 sempre in relazione agli articoli 3, 24, 27 e 111 della Costituzione punto
In ricorso ci si sofferma sulla rilevanza costituzionale del diritto all’impugnazione ai sensi degli articoli 24, 27 e 111 della Costituzione /ricordando come, anche in sede sovranazionale, venga affermato che la facoltà di appellare le sentenze di condanna a pena detentiva non deve subire limiti e preclusioni ingiustificate.
Si sostiene che con la novella legislativa venga negata un’effettiva parità tra le parti in materia di impugnazioni mediante svuotamento della difesa tecnica in un momento assolutamente cruciale per l’esito del giudizio.
Si ricorda che nella sentenza n. 26 del 2007 la Corte costituzionale ha affermato che il principio di parità tra le parti rappresenta un connotato essenziale dell’intero processo e deve pertanto essere adeguatamente garantito anche del sistema delle impugnazioni. E che nella sentenza n. 34 del 2020 i giudici delle leggi hanno ribadito la pregnante rilevanza costituzionale del diritto all’impugnazione del condannato.
Si sottolinea l’irragionevole differenziazione delle modalità di accesso all’impugnazione dell’imputato assente rispetto all’imputato presente e l’irragionevolezza della disciplina introdotta in tema di deposito della elezione di domicilio. Del tutto irragionevole viene, infine, ritenuta anche la norma di d ritto intertemporale anch’essa apparente in chiara collisione con l’articolo 24 della costituzione
Si chiede, pertanto, a questa Corte di voler ritenere rilevanti e non manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale.
3. Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
2. Ed invero, questa Corte di legittimità, in un caso analogo a quello per cui si procede, ha chiarito, con una motivazione che il Collegio ritiene condivisibile e a cui si riporta integralmente, che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotti dagli artt. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e dell’art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs., per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 111 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui richiedono, a pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, unitamente all’atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio, ai fini della notificazion dell’atto di citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi “in limine impugnationis” ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Ben Khalifa), Rv. 285324
3. Il d. Igs. 10 ottobre 2022, n.150 è stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dalla legge 27 settembre 2021, n.134 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari») e tt.e la nuova disposizione dell’art.581, co. 1 ter, cod. proc. pen., così come sopra riportata, riproduce pedissequamente quanto previsto dall’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega: «fermo restando il criterio di cui al comma 7, lettera h), dettato per il processo in assenza, prevedere che con l’atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notifica zione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione».
Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n.150/2022 si legge «Il comma 1 ter dell’art. 581 cod. proc. pen., in attuazione del criterio di cui all’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega, introduce un’ulteriore condizione di ammissibilità dell’impugnazione: con l’atto d’impugnazione deve essere presentata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione. In caso di impugnazione del difensore dell’imputato assente, per attuare la delega sono aumentati di quindici giorni i termini per impugnare previsti dall’art. 585, comma 1».
Analogo riscontro, nella relazione che ha accompagnato la legge, vi è per l’art. 581 co. 1 quater.
Lo scopo manifesto della novella legislativa è quello di selezionare in entrata le impugnazioni, caducando quelle che non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis, ad opera della parte.
Ebbene, ritiene il Collegio che si tratti di una norma che appare del tutto ragionevole ed esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legislatore, e che non collide con alcuna delle norme costituzionali invocate.
4. L’asserito contrasto con i principi costituzionali poggia su un’indimostrata restrizione della facoltà d’impugnazione che deriverebbe dal chiedere all’imputato, assente per sua scelta al processo che lo ha riguardato di cui pure era stato posto a conoscenza, di indicare un domicilio che renda più agevole il processo di notificazione dell’atto d’impugnazione e, soprattutto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanto meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese.
La sentenza della Corte costituzionale n.34 del 26 febbraio 2020 – che si è pronunciata nel senso della manifesta infondatezza dei motivi proposti in un caso in cui, nel proporre il gravame, il Procuratore generale aveva eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 2, co. 1, lett a), del d.lgs. n. 11 del 2018, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna «solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato» ricorda essere costante, l’affermazione per CUÌ «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato: potendo una disparità di trattamento «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia» (sentenze n. 320, n. 26 del 2007 e, nello stesso senso, n. 298 del 2008; ordinanze
n. 46 del 2004, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001; quanto alla giurisprudenza anteriore alla legge cost. n. 2 del 1999, nello stesso senso indicato, sentenze n. 98 del 1994, n. 432 del 1992 e n. 363 del 1991; ordinanze n. 426 del 1998, n. 324 del 1994 e n. 305 del 1992)». E nella stessa si ribadisce che il processo penale è caratterizzato da una asimmetria «strutturale» tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilniente tradursi, nell cornice di ogni singolo segmento dell’iter processuale, in un’assoluta simmetria di poteri e facoltà.
Soprattutto, in tale pronuncia, i giudici delle leggi hanno anche ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001), anche se a livello sovranazionale, l’art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, prevedono il diritto 3 far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato e sebbene la riconducibilità del potere d’impugnazione al diritto di difesa sancito dall’art.24 Cost. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi.
Ma -come si diceva- le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.
Altrettanto condivisibile, ragionevole e logica appare la ratio legis di operare una diversa scelta tra l’imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica.
E a fronte dell’obiezione che vi sarebbe comunque un aggravio di tempo che potrebbe stridere con i tempi a disposizione per poter proporre l’impugnazione, ma proprio ad evitare ciò e a garantire la compatibilità costituzionale della nuova disciplina, il legislatore ha contemplato tutele compensative rispetto alla nuova
previsione, quali l’ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l’imputato assente e l’estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare.
Il nuovo comma 1-bis dell’art. 585 cod. proc. pen., che disciplina i termini per t’impugnazione, prevede, infatti, che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 45 e 60 giorni) per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza. E il nuovo comma 2.1 dell’art. 175 cod. proc. pen. prevede, poi, che l’imputato giudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.
Il ricorrente parla dell’imputato assente come di una sorta di irreperibile. Ma non è così. La norma riguarda l’imputato assente ovvero quello che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere assente e di farsi rappresentare dal difensore (art. 420-bis, co. 4 cod. proc. pen.).
La sua scelta deve essere volontaria e consapevole e il giudice è tenuto ad accertarlo (art. 420-bis, co. 1 e 2). Il difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare.
Del resto, già il comma 3 dell’art. 571, soppresso dall’art. 46 della I. 16 dicembre 1999, n. 479, stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, anche se tale mandato poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.
In ogni caso, il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all’imputato, anche prima dell’emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall’art. 571, co. 1, cod. proc. pen., che abbia il potere di proporre l’impugnazione.
È chiaro, comunque, che la disposizione in esame non pensa all’imputato che, dopo il primo impatto con le forze di polizia (la designazione di un difensore d’ufficio e quant’altro la legge prevede), sparisca senza lasciare traccia alcuna di sé. Costui, infatti, non potrà mai essere legittimamente dichiarato assente. Il percorso processuale che lo riguarda è diverso e confluirà, di regola, nella sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza delta pendenza del processo di cui all’art. 420-quater.
Analogamente, non si rinviene alcun contrasto con le norme costituzionali nell’aver imposto all’imputato assente la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
La nuova disposizione dell’art.581, co. 1 ter, cod. proc. pen., così come l’analoga incombenza imposta dall’art. 581 co. 1 quater cod. proc. pen., riproduttiva, come in precedenza ricordato, dell’art. 1, comma 13, lett:. a) della legge delega, si coordina perfettamente con il novellato art. 157-ter co. 3 cod. proc. pen. secondo cui «3. In caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 581, commi 1 ter e 1 quater» e con l’art. 164 (rubricato «Durata del domicilio dichiarato o eletto»), che stabilisce ora quanto segue «La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall’articolo 156, comma 1.». Il dettato normativo, sostituendo l’inciso contenuto nell’art.164 cod. proc. pen. in base al quale la dichiarazione ci l’elezione di domicilio era valida per ogni stato e grado del procedimento, ha dunque escluso che la dichiarazione o l’elezione di domicilio già presente in atti possa esimere l’impugnante dal deposito di una nuova dichiarazione o elezione di domicilio.
Ebbene, le già spese considerazioni circa il fatto che l’imputato assente non è affatto irreperibile valgono anche per l’ulteriore onere richiestogli di indicare il domicilio ove indirizzargli la notifica del nuovo decreto di citazione.
Tali considerazioni consentono di ritenere costituzionalmente compatibile nel delineato nuovo quadro di garanzie – la novella legislativa in questione.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dela cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2023
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Il Presidente