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Impugnazione imputato assente: la regola del tempo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22016/2025, ha stabilito che per l’impugnazione dell’imputato assente si applica la legge in vigore al momento della proposizione del ricorso, non quella successiva più favorevole. Il caso riguardava un appello dichiarato inammissibile per mancanza di mandato specifico. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando il principio “tempus regit actum” e la necessità di rispettare le formalità processuali vigenti al momento del deposito dell’atto di impugnazione.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione imputato assente: la Cassazione applica il principio tempus regit actum

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 22016 del 2025, affronta un tema cruciale della procedura penale: la disciplina applicabile all’impugnazione dell’imputato assente. La questione centrale riguarda la successione di leggi nel tempo e chiarisce se prevalga la norma in vigore al momento della presentazione dell’appello o quella, più favorevole, entrata in vigore successivamente. La decisione conferma un principio fondamentale del nostro ordinamento: tempus regit actum, ovvero ‘il tempo regola l’atto’.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da una sentenza della Corte d’appello di Milano che dichiarava inammissibile l’appello proposto dal difensore di un imputato giudicato in primo grado in assenza. La Corte territoriale aveva rilevato la mancanza di due requisiti essenziali, richiesti a pena di inammissibilità dall’allora vigente art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale: lo specifico mandato a impugnare, rilasciato dopo la sentenza di primo grado, e l’elezione di domicilio per le notifiche.

Contro questa decisione, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare una nuova legge (la L. 9 agosto 2024, n. 114), entrata in vigore dopo la presentazione dell’appello ma prima della decisione di inammissibilità. Tale legge aveva modificato l’art. 581, comma 1-quater, mantenendo l’obbligo del mandato specifico solo per il difensore d’ufficio e non più per quello di fiducia, come nel caso di specie.

La Questione Giuridica: Successione di Leggi Processuali

Il cuore della controversia risiede nel determinare quale legge processuale debba regolare un atto di impugnazione. L’appellante sosteneva l’applicazione della legge più recente e favorevole, in vigore al momento della decisione della Corte d’Appello. La Procura Generale, invece, chiedeva il rigetto del ricorso, basandosi sul principio tempus regit actum, secondo cui la validità e l’ammissibilità di un atto processuale devono essere valutate secondo le norme in vigore quando l’atto è stato compiuto.

La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a stabilire se la modifica normativa potesse avere un effetto retroattivo su un’impugnazione già presentata, sanandone i vizi originari.

Le motivazioni della Cassazione sulla impugnazione imputato assente

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito che, in assenza di una specifica norma transitoria, le disposizioni di natura processuale sono soggette al principio tempus regit actum. Di conseguenza, l’ammissibilità dell’atto di appello doveva essere valutata sulla base della legge in vigore al momento del suo deposito, non di quella successiva.

La norma originaria (introdotta dalla Riforma Cartabia) richiedeva, per l’impugnazione dell’imputato assente, un mandato specifico rilasciato dopo la sentenza. Questo requisito mirava a garantire che l’imputato fosse effettivamente a conoscenza della condanna e manifestasse una volontà concreta di proseguire nel giudizio. Lo scopo era quello di evitare impugnazioni automatiche da parte dei difensori, assicurando il coinvolgimento consapevole dell’interessato. La Corte ha sottolineato che tale onere non era irragionevole e perseguiva il legittimo scopo di assicurare la certa conoscenza del processo da parte dell’imputato.

La successiva modifica legislativa ha alleggerito questo onere per i difensori di fiducia, ma non può essere applicata retroattivamente a un atto già perfezionatosi sotto l’impero della legge precedente. La Corte ha richiamato precedenti pronunce, anche delle Sezioni Unite, che consolidano questo principio, affermando che la valutazione di ammissibilità si cristallizza al momento della proposizione del gravame.

Infine, la Cassazione ha affrontato anche la questione della preesistente elezione di domicilio, chiarendo che, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, l’atto di impugnazione deve contenere un richiamo espresso e specifico a tale precedente dichiarazione per essere valido, richiamo che nel caso di specie mancava.

Conclusioni

La sentenza n. 22016/2025 ribadisce con fermezza un caposaldo del diritto processuale: la validità degli atti giuridici è determinata dalla legge in vigore al momento del loro compimento. Le modifiche legislative successive, anche se più favorevoli, non possono sanare vizi di inammissibilità già consolidati. Questa decisione sottolinea l’importanza per i difensori di prestare la massima attenzione alle formalità procedurali richieste dalla normativa vigente al momento del deposito degli atti, specialmente nei casi delicati come l’impugnazione dell’imputato assente, per non compromettere il diritto di difesa dei propri assistiti.

Quale legge si applica a un atto di impugnazione se la normativa cambia dopo la sua presentazione?
Si applica la legge in vigore al momento in cui l’atto di impugnazione è stato depositato. Le modifiche legislative successive non hanno effetto retroattivo sugli atti processuali già compiuti, in base al principio “tempus regit actum”.

Perché la legge originaria richiedeva un mandato specifico per l’impugnazione dell’imputato assente?
La legge richiedeva un mandato specifico, rilasciato dopo la sentenza, per assicurarsi che l’imputato assente fosse a conoscenza della condanna e avesse espresso una volontà effettiva e consapevole di impugnare, evitando così impugnazioni automatiche e garantendo il suo coinvolgimento nel processo.

Una precedente elezione di domicilio è sufficiente a rendere ammissibile l’appello se non menzionata nell’atto di impugnazione?
No. Secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite della Cassazione, non è sufficiente la mera presenza agli atti di una precedente elezione di domicilio. L’atto di impugnazione deve contenere un richiamo espresso e specifico a tale dichiarazione per consentirne l’immediata individuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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