Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2811 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2811 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Conte NOMECOGNOME nato a Sperlonga (Lt) il 29/8/1955
avverso l’ordinanza del 3/12/2014 del Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio;
lette le conclusioni del difensore della parte civile NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso, lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
lette le memorie presentate dal COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3/12/2014, il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, rigettava il gravame proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice dell’esecuzione dello stesso ufficio il 21/1/2013.
Propone ricorso per cassazione il Conte, deducendo – con unico motivo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 667 e 676 cod. proc. pen., nonché dell’art. 627 cod. proc. pen. Il Tribunale, pur condividendo gli argomenti a fondamento dell’impugnazione, avrebbe erroneamente affermato che l’avvenuto dissequestro di un immobile in favore di persona diversa dal ricorrente sarebbe non più impugnabile, contrariamente a quanto stabilito nelle norme richiamate. L’oggetto della decisione impugnata, infatti, non si riscontrerebbe nei profili di natura cautelare, bensì nella individuazione del soggetto al quale l’immobile di cui alla particella n. 405 dovrebbe essere restituito; ne consegue che risulterebbe viziata la tesi sostenuta dal Tribunale, secondo la quale il ricorrente avrebbe dovuto, precedentemente, richiedere l’annullamento del decreto di dissequestro emesso in suo favore. Ragionando nei termini dell’ordinanza, ancora, il provvedimento del giudice dell’esecuzione non sarebbe impugnabile, con evidente contrasto con quanto stabilito da questa Corte, che aveva qualificato l’impugnazione come opposizione alla decisione assunta dal giudice dell’esecuzione.
La parte civile del giudizio COGNOME ha depositato memoria, con la quale ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso per tardività, e comunque per incompetenza del giudice dell’esecuzione, per mancanza di un interesse concreto ed attuale, per violazione del principio del ne bis in idem, per violazione di termini processuali ed irregolarità formali, per preclusione dell’intervento del giudice penale e, infine, per preclusione dei termini del procedimento ed irricevibilità delle memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, il Collegio deve esaminare l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla parte civile, sul presupposto che l’impugnazione sarebbe stata depositata nel quindicesimo e ultimo giorno (4/2/2015) presso il Tribunale di Roma, giungendo solo l’indomani nella cancelleria del Giudice che aveva emesso il provvedimento (unico legittimato a riceverlo), quale il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina.
4.1. L’eccezione di tardività risulta infondata.
4.2. La stessa, infatti, si fonda sulla sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 1626 del 24/9/2020, COGNOME, in forza della quale in tema di impugnazioni cautelari, il ricorso per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame o, in caso di ricorso immediato, del giudice che ha emesso la misura, deve essere presentato esclusivamente presso la cancelleria del tribunale che ha emesso la decisione o, nel caso indicato dall’art. 311, comma 2, cod. proc. pen., del giudice
che ha emesso l’ordinanza, ponendosi a carico del ricorrente il rischio che l’impugnazione, ove presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto, escluso comunque che sulla cancelleria incomba l’obbligo di trasmissione degli atti al giudice competente ex art. 582, comma 2, cod. proc. pen., la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente a riceverlo.
4.3. Dal chiaro tenore della pronuncia, dunque, emerge che la stessa riguarda lo specifico tema del ricorso per cassazione avverso le decisioni del tribunale del riesame, con espresso richiamo all’art. 311, cod. proc. pen., il cui comma 3, vigente ratione temporis, stabiliva che “il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero, nel caso previsto dal comma 2, in quella del giudice che ha emesso l’ordinanza. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla corte di cassazione”.
4.4. Nel caso di specie, tuttavia, non si verte in un procedimento cautelare, bensì, pacificamente, in un incidente di esecuzione, così da trovare applicazione il generale principio di cui all’art. 582 cod. proc. pen. (Presentazione dell’impugnazione), nel testo allora vigente, il cui comma 2 stabiliva che “Le parti private e i difensori possono presentare l’atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all’estero. In tali casi, l’atto viene immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che emise il provvedimento impugnato”.
4.5. Poiché il ricorso per cassazione qui in esame è stato presentato proprio ai sensi del comma 2 appena citato, è dunque con riguardo a tale modalità che deve essere verificata la tempestività dell’impugnazione medesima: tempestività per certo riscontrata, alla luce di quanto espresso nella stessa memoria della parte civile, che ha sottolineato che il ricorso era stato depositato presso il Tribunale di Roma il quindicesimo ed ultimo giorno, quindi nei termini.
L’eccezione è pertanto infondata.
Con riguardo, poi, al merito del ricorso, questo risulta invece fondato.
Per una migliore comprensione della vicenda, occorre innanzitutto indicarne i momenti di rilievo, con esame ovviamente arrestato alla data del provvedimento impugnato, ossia al 3/12/2014:
il 22/10/2010, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina disponeva – nei confronti di NOME COGNOME – il sequestro preventivo di due particelle di terreno site nel Comune di Sperlonga (mappali 405 e 221);
con decreto del 27/11/2011, il Procuratore della Repubblica disponeva il dissequestro dei medesimi beni e la loro restituzione all’avente diritto, ossia al Conte;
successivamente, la parte civile intervenuta nel giudizio – NOME COGNOME – chiedeva al giudice dell’esecuzione che venisse a lui restituita la particella n. 405, rivendicandone la proprietà; era dunque emesso provvedimento conforme del 23/1/2013, riscontrandosi nell’istante l’effettivo proprietario del bene;
d) avverso tale ordinanza era proposto dal Conte ricorso per cassazione, che questa Corte – con sentenza n. 24351/2014 del 18/12/2013 – riqualificava come opposizione ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., disponendo trasmettersi gli atti al Tribunale di Latina;
con l’ordinanza impugnata in questa sede, il Tribunale rigettava il ricorso, confermando l’ordinanza del 23/1/2013, sul presupposto che il Conte avrebbe dovuto impugnare il decreto di revoca del sequestro e che, in assenza di tale iniziativa, il giudice dell’esecuzione non avrebbe potuto modificare la revoca della misura cautelare reale. Ancor più chiaramente, il Tribunale ha evidenziato che, pur essendo pendente una controversia sulla proprietà del bene, in sede esecutiva la sua risoluzione non poteva essere rimessa al giudice civile, in quanto ciò avrebbe implicato il ripristino del sequestro (almeno quanto alla particella n. 405), con conseguente “revoca della revoca” della misura stessa; ancora, l’ordinanza ha affermato che, in senso contrario, non poteva valere l’art. 676, comma 2, cod. proc. pen., che richiamerebbe l’art. 263, comma 3, cod. proc. pen. soltanto con riferimento a controversie sulla proprietà di beni confiscati, non anche su cose dissequestrate e da restituire. Nel merito, il Tribunale ha comunque rigettato l’istanza, evidenziando che la documentazione prodotta non faceva sorgere dubbi – “Salve eventuali diverse valutazioni in seguito al giudizio civile pendente tra le medesime parti” – circa l’effettiva proprietà del bene in capo al COGNOME.
Richiamata in questi termini la vicenda per come sviluppatasi fino al 3/12/2014, il Collegio osserva che l’ordinanza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio contenuto nella decisione di legittimità.
5.1. Individuato l’oggetto dell’impugnazione in un provvedimento di natura restitutoria di cui all’art. 263 cod. proc. pen., questa Corte aveva infatti ritenuto necessario consentire all’interessato di ottenere un ulteriore grado di merito, nel corso del quale sarebbero state esaminate le doglianze all’ordinanza del 21/1/2013, per come analiticamente riportate al paragrafo 1.2 della sentenza. Tale verifica nel merito, tuttavia, non è stata compiuta, se non nei termini appena sopra richiamati alla lett. e), e non sono state esaminate numerose delle questioni poste con l’incidente esecuzione e riassunte nella citata sentenza di legittimità (a)
violazione di legge per inosservanza del disposto di cui all’art. 100 cod. proc. pen., difettando in capo al COGNOME – cui era stata restituita una delle due particelle di terreno originariamente in sequestro – la legittimazione attiva; b) inosservanza della legge processuale – artt. 321 e 676 cod. proc. pen. – per avere il Giudice disposto la restituzione a soggetto diverso da quello cui le cose erano state restituite, con conseguente abnormità dell’atto; c) inosservanza dell’art. 263 comma 1, 324 e 676 cod. proc. pen. per le medesime ragioni esposte in seno al secondo motivo; d) violazione di legge sub art. 1158 cod. civ. per avere il giudice disposto la restituzione al soggetto dichiaratosi proprietario per acquisto a seguito di usucapione, in mancanza, però, della preventiva sentenza di usucapione del bene).
5.2. A ciò si aggiunga, poi, che non può condividersi l’affermazione del Tribunale secondo cui il ricorrente avrebbe dovuto appellare il decreto di revoca del sequestro (provvedimento con riguardo al quale, infatti, lo stesso non avrebbe avuto alcun interesse all’annullamento), né l’affermazione secondo cui l’incidente di esecuzione conterrebbe la richiesta di modifica della revoca della misura cautelare, e quindi di una “revoca della revoca”. La scansione cronologica dei provvedimenti, infatti, consente di distinguere quello cautelare, cui era seguita la restituzione al Conte di entrambi gli immobili (particelle nn. 405 e 221), e la successiva ordinanza con la quale uno dei due beni era stato invece restituito alla parte civile; l’impugnazione di quest’ultima, infatti, in nulla incide sulla efficacia del provvedimento cautelare, che rimane integra, innestando soltanto un procedimento incidentale concernente la titolarità di uno dei due beni (particella n. 405), sul quale il giudice dell’esecuzione è dunque tenuto a pronunciarsi.
6. In tale contesto, peraltro, risultano inammissibili le ulteriori questioni poste dalla parte civile nella propria memoria (e ribadite in quella di replica): queste, infatti, trovano esclusivo fondamento in vicende successive all’ordinanza impugnata, dunque qui non esaminabili, ed in particolare nell’esito del processo penale e della causa civile che hanno investito il ricorrente e la parte civile, anche in ragione dell’erroneo presupposto secondo cui il presente giudizio sarebbe riunito ad altro chiamato in data odierna, riunione invece mai sollecitata dalle parti (a differenza della trattazione nella medesima udienza), né mai disposta.
6. L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Latina per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Latina.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2024
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