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Impugnazione cautelare: Riesame o Appello? La Cassazione

Un imputato, assolto in primo grado e di conseguenza scarcerato, viene condannato in appello e nuovamente sottoposto a custodia cautelare. La sua contestazione al provvedimento viene dichiarata inammissibile. La Corte di Cassazione, investita della questione, rileva un profondo contrasto giurisprudenziale sul corretto strumento di impugnazione cautelare da utilizzare in questi casi: il riesame o l’appello. Data l’importanza della questione, che incide sulle modalità di difesa dell’imputato, la Prima Sezione Penale ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite per un verdetto definitivo.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione cautelare: Riesame o Appello se la condanna arriva in secondo grado?

L’impugnazione cautelare rappresenta uno snodo cruciale nel processo penale, garantendo il diritto di difesa contro misure che limitano la libertà personale prima di una sentenza definitiva. Un recente caso ha portato la Corte di Cassazione a interrogarsi su una questione procedurale tanto tecnica quanto fondamentale: quale strumento processuale deve utilizzare un imputato, prima assolto e poi condannato in appello, per contestare l’ordinanza che lo riporta in carcere? La scelta tra ‘riesame’ e ‘appello’ non è solo una formalità, ma incide profondamente sulla strategia difensiva. Con l’ordinanza n. 21614/2024, la Prima Sezione Penale ha deciso di passare la parola alle Sezioni Unite.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale è complessa. Un imputato, inizialmente sottoposto a custodia cautelare in carcere per reati gravissimi, viene assolto al termine del giudizio di primo grado. Come previsto dalla legge, la sentenza di assoluzione comporta l’immediata perdita di efficacia della misura cautelare e la scarcerazione.

Successivamente, la Corte di Assise di Appello ribalta il verdetto, dichiarando l’imputato colpevole e condannandolo. Su richiesta del Pubblico Ministero, la stessa Corte emette una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere.

La difesa dell’imputato contesta questo provvedimento, qualificandolo come richiesta di ‘riesame’. Tuttavia, il Tribunale della Libertà di Napoli dichiara l’impugnazione inammissibile. Secondo il Tribunale, lo strumento corretto non era il riesame, bensì l’appello cautelare, che richiede la presentazione di motivi specifici, nel caso concreto assenti.

Contro questa decisione, la difesa ricorre in Cassazione, sostenendo che l’ordinanza emessa dopo la condanna d’appello sia un provvedimento geneticamente nuovo e, come tale, impugnabile solo con il riesame.

La Questione Giuridica: il Bivio tra Riesame e Appello Cautelare

Il cuore del problema risiede nella natura del provvedimento cautelare emesso dopo una condanna in appello che riforma una precedente assoluzione. La legge prevede due distinti strumenti di impugnazione cautelare:

Il Riesame (art. 309 c.p.p.): È previsto contro l’ordinanza che applica per la prima volta* una misura cautelare. La sua caratteristica principale è l’effetto interamente devolutivo: il Tribunale del Riesame deve rivalutare l’intero quadro accusatorio (gravi indizi e esigenze cautelari) a prescindere dai motivi specifici addotti dalla difesa.

* L’Appello Cautelare (art. 310 c.p.p.): Funge da strumento residuale per tutti gli altri provvedimenti in materia cautelare (es. diniego di revoca, sostituzione della misura). A differenza del riesame, l’appello è vincolato ai motivi presentati, e il giudice deve decidere solo su quelli.

La scelta tra i due percorsi ha conseguenze pratiche enormi. Il riesame offre una difesa più ampia, mentre l’appello richiede una contestazione mirata e specifica, pena l’inammissibilità.

Le Motivazioni: un Contrasto da Risolvere

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il caso, ha evidenziato un profondo e radicato contrasto giurisprudenziale sul tema.

Da un lato, un orientamento maggioritario sostiene la tesi della ‘reviviscenza’. Secondo questa interpretazione, la misura cautelare originaria non viene eliminata del tutto dalla sentenza di assoluzione, ma solo privata di efficacia. La successiva condanna in appello farebbe semplicemente ‘rivivere’ il titolo cautelare originario. Di conseguenza, il provvedimento non sarebbe ‘nuovo’ e lo strumento corretto per contestarlo sarebbe l’appello.

Dall’altro lato, un orientamento minoritario, ma sostenuto da valide argomentazioni, ritiene che la sentenza di assoluzione estingua definitivamente la misura. L’ordinanza emessa dopo la condanna d’appello sarebbe quindi un provvedimento del tutto nuovo e autonomo, basato su una valutazione aggiornata delle esigenze cautelari alla luce della sentenza di condanna. In questo scenario, l’unico strumento esperibile sarebbe il riesame.

La Prima Sezione Penale ha sottolineato come la seconda tesi trovi supporto anche nel dettato normativo (art. 300, comma 5, c.p.p.), che disciplina proprio l’applicazione di misure dopo una condanna che segue un proscioglimento. Tale norma impone al giudice una valutazione nuova e autonoma delle esigenze cautelari, suggerendo la natura genetica e non meramente ripristinatoria del provvedimento.

Le Conclusioni: la Palla passa alle Sezioni Unite

Data la rilevanza della questione e l’incertezza del diritto causata dal contrasto interpretativo, la Prima Sezione ha ritenuto necessario astenersi dal decidere e rimettere il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Sarà il massimo organo della giurisprudenza di legittimità a stabilire, una volta per tutte, quale sia il corretto mezzo di impugnazione cautelare in questa specifica situazione.

La futura decisione avrà un impatto significativo, poiché definirà con chiarezza i confini del diritto di difesa dell’imputato, garantendo certezza e uniformità nell’applicazione delle norme processuali in una fase delicatissima del procedimento penale.

Qual è il problema principale affrontato dall’ordinanza?
L’ordinanza affronta il dubbio su quale sia il corretto strumento processuale (riesame o appello cautelare) per impugnare un’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un imputato che, dopo essere stato assolto in primo grado, viene condannato in appello.

Quali sono i due strumenti processuali in discussione e che differenza c’è tra loro?
Gli strumenti sono il ‘riesame’ (art. 309 c.p.p.) e l’ ‘appello cautelare’ (art. 310 c.p.p.). La differenza fondamentale è che il riesame si applica contro il primo provvedimento cautelare e consente una rivalutazione completa del caso, mentre l’appello è per i provvedimenti successivi e richiede motivi di contestazione specifici.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione in questo caso?
La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione non ha preso una decisione finale sul merito della questione. A causa di un profondo contrasto giurisprudenziale, ha deciso di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, che avranno il compito di risolvere il dubbio interpretativo e stabilire il principio di diritto da seguire.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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