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Impugnazione assente: il mandato specifico è cruciale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato dal difensore di un imputato assente. La decisione si fonda sulla mancata presentazione contestuale all’atto di appello di uno specifico mandato a impugnare, come richiesto dalla legge. La successiva presentazione del mandato non sana il vizio originario, confermando la rigorosa interpretazione della norma sull’impugnazione assente.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione assente: quando il mandato tardivo costa l’inammissibilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26354/2025, ha ribadito un principio fondamentale in tema di impugnazione assente: la necessità di un mandato specifico, rilasciato dopo la sentenza e depositato contestualmente all’atto di appello. La mancata osservanza di questa regola procedurale, anche se sanata in un secondo momento, determina l’irrimediabile inammissibilità del gravame. Analizziamo questa decisione per capire le sue implicazioni pratiche.

I fatti del caso

Un imputato, dichiarato assente durante il processo di primo grado, veniva condannato. Il suo difensore d’ufficio proponeva appello avverso la sentenza. Tuttavia, al momento della presentazione dell’impugnazione, il legale non era in possesso di uno specifico mandato rilasciato dal suo assistito dopo la pronuncia della sentenza, né di una dichiarazione o elezione di domicilio.

Questi documenti venivano depositati solo in un momento successivo, mesi dopo la proposizione dell’appello, ma comunque prima dell’udienza. La Corte d’Appello di Ancona, rilevando tale mancanza, dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione. Contro questa decisione, il difensore presentava ricorso per Cassazione, sostenendo che la nomina e l’elezione di domicilio, essendo intervenute prima della decisione della Corte territoriale, avevano comunque garantito la reperibilità dell’imputato e la sua volontà di impugnare.

L’importanza del mandato nell’impugnazione assente

La questione centrale ruota attorno all’interpretazione dell’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, nel caso di imputato assente, il difensore può impugnare la sentenza solo se munito di uno specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza stessa. In alternativa, è valida la presentazione di una dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell’imputato, sempre successiva alla sentenza.

L’obiettivo del legislatore è chiaro: assicurarsi che l’impugnazione sia espressione di una volontà consapevole e attuale dell’imputato, che ha preso conoscenza della sentenza di condanna e intende contestarla. Si vuole evitare che l’impugnazione sia un atto meramente formale del difensore, privo di un reale contatto e assenso da parte dell’interessato.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno chiarito che il requisito del mandato specifico (o della dichiarazione/elezione di domicilio) non è un mero formalismo, ma una condizione di ammissibilità che deve sussistere al momento del deposito dell’atto di appello.

Richiamando precedenti pronunce conformi, la Corte ha affermato due principi chiave:

1. Contestualità del deposito: La dichiarazione o elezione di domicilio, così come lo specifico mandato, devono essere depositati contestualmente all’atto di appello. Un deposito successivo, anche se avvenuto prima dell’inizio del giudizio di impugnazione o prima della scadenza del termine per impugnare, non può sanare l’originaria inammissibilità.
2. Manifestazione di volontà: Questi atti costituiscono la “manifestazione indefettibile della consapevole volontà di impugnare”. La loro assenza al momento della presentazione dell’appello rende l’atto stesso privo di un requisito essenziale.

Nel caso di specie, l’appello era stato presentato il 15 novembre 2023, mentre il mandato e l’elezione di domicilio erano intervenuti solo il 19 aprile 2024. Questo ritardo ha reso l’impugnazione irrimediabilmente inammissibile.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di impugnazione assente. Per i difensori, emerge la necessità assoluta di procurarsi e depositare, insieme all’atto di appello, lo specifico mandato conferito dall’assistito assente dopo la sentenza. L’attesa o il deposito successivo di tale documentazione non è una strategia percorribile e conduce alla declaratoria di inammissibilità, precludendo all’imputato la possibilità di un secondo grado di giudizio. Questa decisione sottolinea l’importanza della diligenza del difensore nel mantenere i contatti con il proprio assistito, anche quando quest’ultimo sceglie di non partecipare al processo, per garantire la piena effettività del diritto di difesa.

È possibile sanare la mancanza del mandato specifico depositandolo dopo l’atto di appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il mandato specifico a impugnare o la dichiarazione/elezione di domicilio devono essere depositati contestualmente all’atto di appello. Un deposito successivo determina l’inammissibilità del gravame, anche se avviene prima della scadenza del termine per impugnare.

Perché la legge richiede un mandato specifico per l’impugnazione dell’assente?
La legge richiede un mandato specifico, rilasciato dopo la sentenza, per assicurarsi che l’impugnazione sia una manifestazione della volontà consapevole e attuale dell’imputato di contestare la decisione, e non un’iniziativa autonoma del difensore.

Cosa succede se l’appello viene dichiarato inammissibile per questo motivo?
Se l’appello è dichiarato inammissibile, la sentenza di primo grado diventa definitiva. L’imputato perde la possibilità di ottenere una revisione del suo caso nel merito da parte della Corte d’Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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