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Gratuito patrocinio reati ostativi: onere della prova

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22851 del 2024, ha stabilito che per ottenere il gratuito patrocinio per reati ostativi, come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, non basta una semplice autocertificazione. Il condannato ha l’onere di fornire prove concrete e specifiche che dimostrino la sua effettiva situazione di indigenza, superando così la presunzione legale di possesso di redditi derivanti dall’attività illecita. La mera condizione di detenuto non è considerata sufficiente a tal fine.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Gratuito Patrocinio per Reati Ostativi: La Prova Rafforzata è Indispensabile

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche per sostenere le spese legali. Tuttavia, quando si parla di gratuito patrocinio per reati ostativi, la legge impone requisiti più stringenti. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 22851 del 2024, chiarisce come la semplice autocertificazione non sia sufficiente per i condannati per gravi crimini, i quali devono fornire prove concrete della loro indigenza.

I Fatti del Caso in Analisi

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un soggetto condannato per un reato associativo finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, aggravato dal metodo mafioso. A seguito della condanna, l’interessato ha presentato istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio, ma la sua richiesta è stata respinta dal Tribunale di Sorveglianza.

Il diniego si basava sull’articolo 76, comma 4-bis, del D.P.R. 115/2002, che introduce una presunzione relativa di adeguatezza economica per chi è stato condannato per specifici reati di grave allarme sociale (i cosiddetti ‘reati ostativi’). Secondo il Tribunale, il richiedente non aveva fornito elementi specifici e concreti per superare tale presunzione, limitandosi a una generica autocertificazione e omettendo di dichiarare la condanna specifica. Inoltre, la sola condizione di detenuto non era stata ritenuta, di per sé, prova di assenza di reddito.

La Decisione della Cassazione sul gratuito patrocinio per reati ostativi

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione della norma. A suo avviso, la disposizione si applicherebbe solo a soggetti ‘già condannati’ e non a coloro che stanno ancora espiando la pena per tali reati.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza, ribadendo che il fulcro della questione non era la fase di esecuzione della pena, ma il mancato assolvimento di un preciso onere probatorio.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 76, comma 4-bis. La norma stabilisce che, per i reati di particolare gravità, il reddito dell’interessato si presume superiore ai limiti previsti per l’ammissione al beneficio. Questa non è una presunzione assoluta, ma relativa: può essere superata.

Tuttavia, per vincerla, non basta una semplice autocertificazione. Il legislatore ha voluto imporre un onere probatorio ‘rafforzato’ in capo al condannato. Egli deve ‘allegare elementi concreti e produrre documentazione’ idonea a dimostrare, in modo chiaro e univoco, la sua effettiva situazione economica e patrimoniale. Deve cioè provare che non percepisce più redditi dall’attività criminosa per cui è stato condannato e che le sue condizioni economiche reali sono al di sotto della soglia di legge.

La Corte ha sottolineato come l’argomento del ricorrente, focalizzato su una distinzione lessicale tra ‘condannati’ e ‘soggetti in esecuzione pena’, non scalfisse il nucleo della decisione impugnata, ovvero il mancato assolvimento di questo specifico onere di allegazione e prova. La condizione di detenuto, inoltre, non esclude a priori la possibilità di possedere fonti di reddito o patrimoni occulti.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di gratuito patrocinio per reati ostativi: la presunzione di adeguatezza economica non è una formalità. Chi è stato condannato per reati come associazione mafiosa, traffico di droga o altri gravi delitti, se vuole accedere al patrocinio a spese dello Stato, deve attivarsi per fornire una prova rigorosa e documentata della propria indigenza. Una semplice dichiarazione non è sufficiente. Questa pronuncia serve da monito: l’accesso a un beneficio statale, in contesti di criminalità organizzata, richiede trasparenza e la capacità di dimostrare concretamente e inequivocabilmente la propria reale condizione economica, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Per chi è condannato per reati ostativi è sufficiente un’autocertificazione per ottenere il gratuito patrocinio?
No, la sentenza chiarisce che per i condannati per reati ostativi, come l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, una semplice autocertificazione non è sufficiente. Esiste una presunzione legale che tali soggetti dispongano di redditi adeguati, che deve essere superata con prove concrete.

Quale onere probatorio grava sul condannato per un reato ostativo che chiede il gratuito patrocinio?
Il condannato ha l’onere di allegare elementi concreti e produrre documentazione specifica dalla quale si possa desumere, in modo chiaro e univoco, la sua effettiva situazione economica e patrimoniale. Deve dimostrare di essere al di sotto delle soglie di reddito previste dalla legge per l’accesso al beneficio.

La condizione di detenuto è sufficiente a dimostrare l’impossibilità di avere redditi e quindi a ottenere il gratuito patrocinio?
No, secondo la Corte, la mera condizione di detenuto non esclude la possibilità di possedere diverse fonti di reddito o patrimoni. Pertanto, lo stato di detenzione non è di per sé una prova sufficiente per superare la presunzione di adeguatezza economica prevista per i reati ostativi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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