Gratuito Patrocinio per Reati Ostativi: La Prova Rafforzata è Indispensabile
L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche per sostenere le spese legali. Tuttavia, quando si parla di gratuito patrocinio per reati ostativi, la legge impone requisiti più stringenti. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 22851 del 2024, chiarisce come la semplice autocertificazione non sia sufficiente per i condannati per gravi crimini, i quali devono fornire prove concrete della loro indigenza.
I Fatti del Caso in Analisi
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un soggetto condannato per un reato associativo finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, aggravato dal metodo mafioso. A seguito della condanna, l’interessato ha presentato istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio, ma la sua richiesta è stata respinta dal Tribunale di Sorveglianza.
Il diniego si basava sull’articolo 76, comma 4-bis, del D.P.R. 115/2002, che introduce una presunzione relativa di adeguatezza economica per chi è stato condannato per specifici reati di grave allarme sociale (i cosiddetti ‘reati ostativi’). Secondo il Tribunale, il richiedente non aveva fornito elementi specifici e concreti per superare tale presunzione, limitandosi a una generica autocertificazione e omettendo di dichiarare la condanna specifica. Inoltre, la sola condizione di detenuto non era stata ritenuta, di per sé, prova di assenza di reddito.
La Decisione della Cassazione sul gratuito patrocinio per reati ostativi
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione della norma. A suo avviso, la disposizione si applicherebbe solo a soggetti ‘già condannati’ e non a coloro che stanno ancora espiando la pena per tali reati.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza, ribadendo che il fulcro della questione non era la fase di esecuzione della pena, ma il mancato assolvimento di un preciso onere probatorio.
Le Motivazioni della Corte
Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 76, comma 4-bis. La norma stabilisce che, per i reati di particolare gravità, il reddito dell’interessato si presume superiore ai limiti previsti per l’ammissione al beneficio. Questa non è una presunzione assoluta, ma relativa: può essere superata.
Tuttavia, per vincerla, non basta una semplice autocertificazione. Il legislatore ha voluto imporre un onere probatorio ‘rafforzato’ in capo al condannato. Egli deve ‘allegare elementi concreti e produrre documentazione’ idonea a dimostrare, in modo chiaro e univoco, la sua effettiva situazione economica e patrimoniale. Deve cioè provare che non percepisce più redditi dall’attività criminosa per cui è stato condannato e che le sue condizioni economiche reali sono al di sotto della soglia di legge.
La Corte ha sottolineato come l’argomento del ricorrente, focalizzato su una distinzione lessicale tra ‘condannati’ e ‘soggetti in esecuzione pena’, non scalfisse il nucleo della decisione impugnata, ovvero il mancato assolvimento di questo specifico onere di allegazione e prova. La condizione di detenuto, inoltre, non esclude a priori la possibilità di possedere fonti di reddito o patrimoni occulti.
Le Conclusioni
La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di gratuito patrocinio per reati ostativi: la presunzione di adeguatezza economica non è una formalità. Chi è stato condannato per reati come associazione mafiosa, traffico di droga o altri gravi delitti, se vuole accedere al patrocinio a spese dello Stato, deve attivarsi per fornire una prova rigorosa e documentata della propria indigenza. Una semplice dichiarazione non è sufficiente. Questa pronuncia serve da monito: l’accesso a un beneficio statale, in contesti di criminalità organizzata, richiede trasparenza e la capacità di dimostrare concretamente e inequivocabilmente la propria reale condizione economica, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Per chi è condannato per reati ostativi è sufficiente un’autocertificazione per ottenere il gratuito patrocinio?
No, la sentenza chiarisce che per i condannati per reati ostativi, come l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, una semplice autocertificazione non è sufficiente. Esiste una presunzione legale che tali soggetti dispongano di redditi adeguati, che deve essere superata con prove concrete.
Quale onere probatorio grava sul condannato per un reato ostativo che chiede il gratuito patrocinio?
Il condannato ha l’onere di allegare elementi concreti e produrre documentazione specifica dalla quale si possa desumere, in modo chiaro e univoco, la sua effettiva situazione economica e patrimoniale. Deve dimostrare di essere al di sotto delle soglie di reddito previste dalla legge per l’accesso al beneficio.
La condizione di detenuto è sufficiente a dimostrare l’impossibilità di avere redditi e quindi a ottenere il gratuito patrocinio?
No, secondo la Corte, la mera condizione di detenuto non esclude la possibilità di possedere diverse fonti di reddito o patrimoni. Pertanto, lo stato di detenzione non è di per sé una prova sufficiente per superare la presunzione di adeguatezza economica prevista per i reati ostativi.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22851 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22851 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, con ordinanza del 27 settembre 2023, ha rigettato l’opposizione al diniego di ammissione al gratuito patrocinio proposta da COGNOME NOME; ha ritenuto il che l’imputato, condannato per il reato di cui all’art. 74 DPR 309/90, aggravato dall’art. 7 L. 203/91, ai sensi dell’art. 76, co. 4 bis DPR 115/2002, avrebbe dovuto allegare specifici elementi che attestassero concretamente in modo chiaro ed inequivoco la sussistenza delle condizioni reddituali per accedere a tale beneficio, non essendo in detta situazione sufficiente una semplice autocertificazione a superare la presunzione di cui al predetto art. 76. Ha sottolineato inoltre che il richiedente aveva omesso di dichiarare di essere stato condannato per uno dei reati indicati nell’art. 76, co. 4 bis DPR 115/2002 e che la mera condizione di detenuto non esclude la possibilità di possedere diverse fonti di reddito.
Ha proposto ricorso l’imputato lamentando violazione di legge ex art. 606, co. 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 76, co. 4 bis DPR 115/2002. Il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato la richiesta sulla base di una scorretta interpretazione dell’art. 76, co. 4 bis del predetto decreto. Il primo giudice aveva erroneamente ritenuto che non fosse stato indicato per quale tipologia di reato egli stesse scontando la pena, mentre al Tribunale di sorveglianza viene trasmesso, ex art. 656 cod. proc. pen. l’ordine di esecuzione, che contiene le generalità della persona, l’imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all’esecuzione. Deduceva, inoltre, che la norma di cui all’art. 76, comma 4 bis del DPR n.115/2002 faceva riferimento a” soggetti già condannati con sentenza” e non a soggetti che stanno espiando la pena per i reati menzionati dalla norma.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Posto che il ricorrente non contesta che sta espiando la pena in forza di un ordine di esecuzione riguardante un reato previsto dall’art. 76, comma 4 bis DPR 115/2002, il motivo proposto non si confronta con le argomentazioni del provvedimento impugnato, attinenti alla valenza ostativa di siffatta condanna e al correlato onere, in capo al condannato, di allegare elementi concreti e produrre documentazione
dalla quale desumere in modo chiaro e univoco la propria effettiva situazione economica, al fine di superare la presunzione relativa.
Il motivo si appunta unicamente sul passaggio motivazionale ( peraltro di natura meramente incidentale) che rileva come non fosse stato indicato il reato per il quale il ricorrente stesse espiando la pena, e non attacca il fulcro delle argomentazioni che fanno leva sul mancato assolvimento degli oneri di deduzione e allegazione previsti dall’art. 76, comma 4 bis, cit.
Va dunque dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma ulteriore in favore della Cassa delle ammende, non sussistendo ragioni di esonero.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma, 15 febbraio 2024