Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12421 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12421 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato il 04/05/1987 a ROMA avverso la sentenza in data 16/05/2024 della CORTE DI APPELLO DI ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 16/05/2024 della Corte di appello di Roma che, a seguito di annullamento con rinvio dalla Corte di cassazione, ha riformato la sentenza in data 15/09/2022 del Tribunale di Roma, escludendo la recidiva e rideterminando la pena inflittagli per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Deduce:
Violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e assoluto difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Si sostiene che la corte di appello non si è conformata al principio di diritto fissato dalla sentenza rescindente, in quanto si è limitata a escludere la recidiva, senza prendere in considerazione gli ulteriori motivi contenuti nel ricorso, con i quali si chiedeva una congrua riduzione della pena che non c’è stata.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata sostituzione della pena detentiva con quella dei lavori socialmente utili.
In questo caso si denuncia l’omessa motivazione sulla possibilità di sostituire la pena detentiva con quella dei lavori socialmente utili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1.1. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente sostiene che la corte di appello non doveva limitarsi a escludere la recidiva, ma doveva anche tener conto degli ulteriori motivi di ricorso, con i quali si censurava la determinazione della pena e la mancata considerazione della possibilità di sostituire la pena detentiva con la pena dei lavori socialmente utili, così come prevista dall’art. 20-bis cod. pen..
Per l’esatta comprensione della questione si deve considerare il contenuto del ricorso che ha provocato la pronuncia della sentenza rescindente e il contenuto stesso di detta sentenza (Sez. 6, n. 3346 del 11/01/2024).
1.1.1. Dalla lettura della sentenza ora menzionata emerge che nel ricorso precedentemente sottoposto all’attenzione della Corte di cassazione erano stati esposti cinque motivi, con cui il ricorrente denunciava: 1) il difetto di motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità; 2) il difetto di motivazione in ordine all’esclusione della recidiva, pur in presenza di uno specifico motivo di appello; 3) il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla recidiva; 4) il difetto di motivazione riguardo alla determinazione della pena, vicina al massimo edittale; 5) il difetto di motivazione in ordine alla mancata sostituzione della pena della reclusione con quella dei lavori socialmente utili ex art. 20-bis cod. pen..
Questa Corte dichiarava l’inammissibilità del primo motivo d’impugnazione, mentre riteneva fondato il secondo motivo, rilevando come la corte di appello, pur a fronte di uno specifico motivo di appello, non avesse motivato in ordine alla recidiva.
La sentenza impugnata veniva, quindi, annullata, con rinvio alla corte di appello per nuovo giudizio sulla recidiva, con assorbimento dei restanti motivi d’impugnazione.
1.1.2. A fronte di un annullamento con rinvio, con assorbimento di ulteriori motivi d’impugnazione, si rende necessario delimitare e specificare quale sia il perimetro del giudizio del giudice del rinvio.
A tale proposito è stato efficacemente osservato che «la cognizione del Giudice del rinvio è (…), da un lato circoscritta da limiti negativi (divieto di reiterazion dell’errore; divieto di rivalutazione di questioni logicamente presupposte definite nella pronuncia di annullamento), dall’altro pienamente riespansa, non solo al nuovo esame del profilo censurato, ma anche a tutte le questioni che dalla rivalutazione del medesimo discendano secondo un logico rapporto di inferenza progressiva e che ne risultano, pertanto, assorbite.
In tal senso, l’assorbimento delle questioni dichiarato dalla Corte nella pronuncia di annullamento altro non è che la sospensione della loro valutazione – e la loro restituzione alla rivalutazione del giudice di merito – derivante da un rapporto di pregiudizialità logica, rispetto alle questioni assorbite, del thema assorbente sul quale deve rinnovarsi l’esame e che, una volta risolto, impone la progressiva verifica delle questioni dipendenti che da quella premessa, rivalutata, traggono il loro caposaldo argomentativo.
In altri termini, la sentenza della Corte di cassazione, da cui origina il giudizio di rinvio, determina una preclusione con riguardo a tutte le questioni non attinte dalla decisione di annullamento, in virtù del più generale principio di inoppugnabilità delle sentenze della Corte Suprema, dal quale discende la formazione del cosiddetto “giudicato progressivo”, che segna l’ambito delle questioni rilevabili ed in connessione essenziale con quelle per cui è stato disposto il nuovo giudizio, oltre i limiti segnati dalla decisione di annullamento.
I limiti della cognizione del giudizio di rinvio vanno, ulteriormente, precisati in caso di annullamento in seguito ad accoglimento di questione ritenuta assorbente. In siffatta ipotesi – e dunque nel caso in cui la Corte di cassazione accolga alcuni motivi di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri – il giudice del rinvio è tenuto a riesaminare e a decidere senza alcun vincolo le questioni oggetto dei motivi assorbiti, purché queste siano state ritualmente devolute alla cognizione del giudice di secondo grado attraverso i motivi di appello (Sez. 5, n.39786 del 11/07/2017, COGNOME, Rv. 271074). Di guisa che il giudice del rinvio è vincolato, ai sensi dell’art. 546, primo comma, cod. proc. pen.’ alla decisione della Corte di cassazione limitatamente a ciò che concerne le questioni di diritto decise, ma non in ordine a questioni che la Corte non ha deciso, dichiarando i relativi motivi assorbili in quello accolto con la pronunzia di annullamento, atteso che alla dichiarazione di assorbimento del motivo – non prevista dal codice tra le statuizioni dei giudice – deve
attribuirsi il significato che la questione – formante oggetto del motivo non è stata decisa ma demandata, senza alcun vincolo, all’esame del giudice di rinvio (Sez. 2, ii.2812 del 25/10/1991 – dep. 1992, COGNOME Rv. 189311), con la conseguenza per cui cade in un grave vizio logico e viola le regole processuali il giudice d’appello che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Cassazione, equipari le eccezioni ritenute assorbite dalla Corte in sede di annullamento con rinvio (perché secondarie rispetto ad un macroscopico ed assorbente vizio logico della motivazione che ne aveva travolto la validità rendendo superfluo l’esame degli aspetti secondari), al rigetto delle medesime doglianze e, partendo da tale errato assunto, si esima in sede di rinvio dal prendere in considerazione e dal motivare adeguatamente sul loro rigetto (Sez, 5, n.2638 del 21/01/1997, COGNOME, Rv. 207892). Deve, pertanto, ribadirsi come, in ipotesi di annullamento con rinvio per vizi della motivazione, la cognizione devoluta al giudice di merito – entro i motivi proposti con l’originario gravame – sia limitata solo dalla preclusione derivante all’obbligo di conformarsi all’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alle questione di diritto e dai divieto di ripetizione del percorso logico censurato dal giudice rescindente’ mentre si estende, nell’ambito tracciato dai predetti limiti, alla rivalutazione integrale delle censure articolate nell’atto d’appello, comprese quelle non esaminate dalla Corte in quanto ritenute assorbite perché logicamente implicanti la necessaria rivalutazione della questione accolta», (Sez. 5, n. 5509 del 08/01/2019, Castello).
Sulla base di tali argomentazioni è stato enunciato il seguente principio di diritto: «nel caso in cui la Corte di cassazione accolga alcuni motivi di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, il giudice del rinvio è tenuto a riesaminare ed a decidere senza alcun vincolo le questioni oggetto dei motivi assorbiti, purché queste siano state ritualmente devolute alla cognizione del giudice di secondo grado attraverso i motivi di appello; ne consegue che, in caso di accoglimento di un motivo non avente natura personale e, pertanto, esteso ai coimputati ex art. 587 cod. proc. pen., si estendono a questi ultimi anche i motivi assorbiti aventi natura oggettiva, una volta risolta, con efficacia generale, la questione logicamente presupposta che ne aveva determinato l’assorbimento» (Sez. 5, n. 5509 del 08/01/2019, Castello, Rv. 275344 – 01).
In maniera ancora più specifica, è stato precisato che «in tema di giudizio di rinvio, la cognizione del giudice riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva e dichiarate assorbite nella pronuncia di annullamento. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’accoglimento di motivi di ricorso, cui segua l’assorbimento di altre questioni controverse, implica la sospensione della loro valutazione da parte del giudice di legittimità, conseguente al rapporto di pregiudizialità logica del tema assorbente sul quale deve rinnovarsi l’esame, la cui definizione impone la progressiva verifica delle questioni dipendenti
che da quella premessa traggono il proprio caposaldo argomentativo)» (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277438 – 01).
Così delimitato l’ambito del giudizio rimesso al giudice del rinvio, deve rilevarsi la fondatezza dell’assunto difensivo, nella parte in cui si duole del fatto che la corte di appello, investita del giudizio di rinvio, si è limitata a esaminare il profilo censurato dalla corte di cassazione, senza tuttavia proseguire nella verifica degli ulteriori temi che la Corte di cassazione aveva dichiarato assorbiti dall’accoglimento del motivo della recidiva.
Tali ulteriori temi, peraltro, si pongono effettivamente in un rapporto di dipendenza rispetto a quello della recidiva, visto che la sussistenza o meno di questa condiziona sia la misura della pena, sia l’eventuale possibilità si sostituire la pena detentiva con alcune delle pene sostitutive previste dall’art. 20-bis cod. pen.. (che ha escluso) e a rideterminare la pena, applicando la diminuzione per le circostanze attenuanti generiche, già precedentemente riconosciute.
Nel determinare la pena, però, non si è confrontata con il motivo di appello che censurava l’eccessività della pena, che la corte di cassazione aveva dichiarato assorbito dall’accoglimento del motivo sulla recidiva.
Confronto ancor di più necessario, ove si consideri che la corte di appello, nella sentenza oggi impugnata, ha determinato la pena inflitta a Cacciatore partendo da una pena base pari a tre anni di reclusione, ossia da una misura superiore al medio edittale previsto per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, che è pari a due anni e nove mesi, in ragione di una cornice edittale che va da sei mesi a cinque anni di reclusione.
A tale proposito va ricordato che «l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena» (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 – 01).
Nel caso in esame, la corte di appello, oltre a non tener conto del motivo di appello, non ha neanche reso la specifica motivazione richiesta per una pena superiore al medio edittale.
Vale la pena rimarcare come la misura della pena riverberi i suoi effetti sulla possibilità di sostituire la pena detentiva con alcuna delle pene indicate dall’art. 20-bis cod. pen., oltre che sulla scelta delle stesse.
Il ricorrente, dunque, ha correttamente eccepito la violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., con la conseguenza che la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio sul trattamento sanzionatorio e sulla eventuale sostituzione della pena.
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P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed alla eventuale sostituzione della pena irroganda, con rinvio per nuovo giudizio sui predetti punti ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Così deciso il 18/02/2025