Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23820 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23820 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Soveria Mannelli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro del 10/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 10.12.2024, la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha dichiarato inammissibile una richiesta di applicazione della disciplina della continuazione presentata nell’interesse di NOME COGNOME, in quanto l’ultima sentenza emessa nei suoi confronti dalla stessa Corte d’Assise d’Appello in data 5.6.2023 non è ancora divenuta irrevocabile con riferimento al trattamento sanzionatorio, a seguito dell’annullamento con rinvio della Corte di cassazione limitatamente alla sussistenza di una circostanza aggravante.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME, articolando un unico motivo, con cui deduce , ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione ed erronea applicazione dell’art. 671 c od. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorso rileva che l’affermazione secondo cui una delle due sentenze interessate dalla richiesta non sarebbe ancora irrevocabile non è esatta. Infatti, la sentenza del 5.6.2023 ha condannato COGNOME per tre reati, per uno solo dei quali la Corte di cass azione ha pronunciato l’annullamento con rinvio al fine di rivalutare la sussistenza di una circostanza aggravante. Per gli altre due reati, per le quali la Corte dichiarava nel dispositivo l’irrevocabilità della relativa condanna, la Procura Generale pres so la Corte d’Appello di Catanzaro ha emesso l’11.7.2024 un provvedimento di esecuzione della pena di sei anni e dieci mesi di reclusione.
La richiesta difensiva riguardava il riconoscimento della continuazione tra i due fatti per cui è intervenuta condanna irrevocabile e il delitto di cui all’art. 416 -bis cod. pen., oggetto di altra sentenza irrevocabile.
Con requisitoria scritta trasmessa il 28.2.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto dalla lettura della sentenza rescindente della Corte di cassazione risulta che il giudice di legittimità abbia, tra l’altro, ritenuto assorbito dalla pronuncia di annullamento il motivo riferito al giudizio di bilanciamento delle circostanze formulato in termini di equivalenza, affermando (pag. 97) che è ‘indubbio che la conferma o l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’a rt. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. rimessa alla Corte territoriale per l’effetto dell’annullamento di cui si è detto, può avere incidenza anche sulle valutazioni che la Corte stessa dovrà effettuare ex art. 69 cod. pen.’. La pena, dunque, anche per il solo reato associativ o (che lo stesso ricorso indica come il reato base ai fini della continuazione), non è definitivamente stabilita, e tanto preclude allo stato l’esame nel merito dell’istanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Dalla sentenza n. 28562 del 2024 con cui la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione ha proceduto al parziale annullamento con rinvio della sentenza della Corte di Assise d’Appello di Catanzaro del 5.6.2023, risulta che COGNOME era stato condannato per i reati di cui ai capi 2 (associazione a delinquere
di stampo mafioso), 8 (tentata estorsione aggravata) e 9 (incendio aggravato) dell’imputazione .
In particolare, risulta che sia stato ritenuto fondato il motivo di ricorso di COGNOME relativo alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1), cod. pen., in relazione all’art. 629 cod. pen., contestata al reato di cui al capo 8 dell’imputazione : su questo punto, pertanto, la sentenza di secondo grado è stata annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro.
La sentenza rescindente, nondimeno, ha dichiarato irrevocabili le affermazioni di responsabilità di COGNOME in COGNOME a tutti i reati ascrittigli, sulla base della seguente motivazione: « poiché l’annullamento di cui trattasi ha riguardo esclusivamente ad una circostanza aggravante la cui incidenza circa la conferma o l’esclusione è legata esclusivamente al trattamento sanzionatorio, deve essere dichiarata ex art. 624, comma 2, cod. proc. p en., l’irrevocabilità dell’affermazione della penale responsabilità d ell’imputato COGNOME COGNOME COGNOME a tutti i fatti -reato allo stesso contestati».
La Seconda Sezione ha anche ritenuto assorbiti due motivi di ricorso di COGNOME attinenti alla censura di omessa motivazione delle pene stabilite in aumento per la continuazione e alla violazione dell’art. 62 -bis cod. pen. sul giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti.
In particolare, è stato osservato, quanto al primo aspetto, che «la conferma o l’eventuale esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. avrà incidenza anche sul trattamento sanzionatorio riservato all’imputato per effetto della continuazione ex art. 81, comma 2, cod. pen. » e, quanto al secondo aspetto, che « è indubbio che la conferma o l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. rimessa alla Corte territoriale per effetto d ell’annullamento di cui si è detto, può avere incidenza anche sulle valutazioni che la Corte stessa dovrà effettuare ex art. 69 cod. pen.».
Dalla sentenza di annullamento, dunque, è possibile ricavare il dato che i reati per cui COGNOME è stato condannato sono stati unificati sotto il vincolo della continuazione e che, pertanto, il complessivo trattamento sanzionatorio è suscettibile di eventuale modifica ove il giudice del rinvio dovesse escludere l’aggravante della più persone riunite, originariamente ritenuta sussistente per il delitto di tentata estorsione, con conseguenti effetti sugli aumenti per la continuazione e sul giudizio di bilanciamento delle circostanze concorrenti.
Il ricorso pone, dunque, la questione del c.d. giudicato progressivo, il cui fondamento normativo risiede nella previsione dell’art. 624 cod. proc. pen., secondo cui «se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della
sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata».
In COGNOME a questo peculiare aspetto, il punto sulla situazione è stato efficacemente delineato, da ultimo, dalle Sezioni Unite Gialluisi (Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, Gialluisi, Rv. 280261 -03), che, richiamando variamente anche le precedenti pronunce delle Sezioni Unite sul tema (Sez. U, n. 1 del 19/1/2000, COGNOME, Rv. 216239 – 01; Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, COGNOME, Rv. 186164 -05; Sez. U, n. 4460 del 19/1/1994, COGNOME, Rv. 196886 -04; Sez. U, n. 20 del 9/10/1996, COGNOME, Rv. 206170 – 01; Sez. U, n. 4904 del 26/3/1997, Attinà, Rv. 207640 -01), hanno fissato i seguenti passaggi della elaborazione giurisprudenziale sulla formazione del c.d. giudicato progressivo:
a ) con riferimento alla nozione di ‘parti’ della sentenza, «se ciascun capo è concretato da ogni singolo reato oggetto di imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso riferimento l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., coincidono con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato e dunque, in primo luogo, all’accertamento della responsabilità ed alla determinazione della pena, che rappresentano, appunto, due distinti punti della sentenza»;
b) il giudicato progressivo va tenuto distinto dalla preclusione correlata al mero effetto devolutivo delle impugnazioni e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni stesse: in caso di condanna, dunque, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena;
c) l’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., che riconosce l’autorità del giudicato sia ai capi che ai punti della sentenza, non rappresenta l’espressione di un principio applicabile al di fuori della specifica situazione dell’annullamento parziale, dato che la disposizione detta una regolamentazione particolare, attinente unicamente ai limiti obiettivi del giudizio di rinvio;
d ) non è conseguenza del giudicato parziale l’eseguibilità della sentenza, che non deve essere confusa con l’autorità di cosa giudicata che viene attribuita a una o più delle statuizioni: la definitività va, piuttosto, posta in relazione alla «formazione di un vero e proprio titolo esecutivo, e quindi alla materiale e giuridica possibilità dell’esecuzione della sentenza nei confronti di un determinato soggetto», laddove l’irrevocabilità è «conseguente all’esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato»;
e) in merito ai rapporti tra irrevocabilità ed esecutività in presenza di un giudicato parziale, l’autorità di cosa giudicata non va scambiata con la esecutorietà di una decisione, perché l’esecutorietà non è sufficiente ad attribuire a un provvedimento l’autorità di cui si tratta e, talvolta, neppure il carattere della irrevocabilità, mentre vi possono essere decisioni aventi autorità di cosa giudicata senza essere in tutto o in parte eseguibili;
f) si definisce rapporto di connessione essenziale, quello che, legando la parte non annullata a quella annullata, impedisce che la prima assuma autorità di cosa giudicata: tale rapporto va inteso come necessaria interdipendenza logicogiuridica tra le parti suddette nel senso che l’annullamento di una di esse provochi inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza seppur non annullata, sollecitando su entrambe i poteri di giudizio e, quindi, la decisione del giudice;
con l’espressione “giudicato” la legge non intende riferirsi all’intrinseca idoneità della sentenza ad essere posta in esecuzione: l’irrevocabilità può non coincidere con la definitività del decisum, quando si sia formato un giudicato (parziale) sulla responsabilità dell’imputato e non è ancora intervenuta la determinazione della pena e, quindi, la sentenza non è ancora utilizzabile come titolo esecutivo (arg. ex artt. 624, 648, 650 cod. proc. pen.): è, dunque, la mancata irrevocabilità della determinazione della pena a impedire al giudicato parziale di dare corpo a un titolo esecutivo;
in tema di giudicato progressivo, rientra nella fisiologia del sistema la potenziale scissione temporale tra conferimento a una parte della decisione dell’autorità di cosa giudicata e riconoscimento alla medesima parte del connotato dell’esecutività, potenziale scissione ben esemplificata dal caso di annullamento parziale che investa per intero la determinazione del trattamento sanzionatorio.
3 Alla luce di questi principi, si può ritenere allora che, nel caso di specie, l’affermazione di responsabilità dell’imputato per tutti i reati è ormai irretrattabile, ma la sentenza non è al tempo stesso suscettibile di esecuzione, la quale potrà conseguire solo alla definizione del problema del trattamento sanzionatorio.
La sentenza sulla responsabilità è, dunque, irrevocabile, in quanto non più soggetta a impugnazione (art. 648 cod. proc. pen.), ma è priva di forza esecutiva (art. 650 cod. proc. pen.) in quanto titolo non suscettibile di essere eseguito nei confronti del soggetto dichiarato responsabile.
Tra il reato base e le circostanze, infatti, sussiste un rapporto di connessione essenziale, che lega la parte non annullata a quella annullata, impedendogli di assumere autorità di cosa giudicata. È stato già affermato, in proposito, che, nell’ipotesi in cui con la sentenza di annullamento venga confermato il reato-base ma rinviata al giudice di merito la valutazione sulle circostanze, non può dirsi che
la sentenza in relazione al fatto reato nella sua interezza abbia ormai autorità di giudicato, stante la connessione essenziale tra il reato base e le circostanze (Sez. 5, n. 4307 del 19/12/1997, dep. 1998, Pg in proc. COGNOME ed altri, Rv. 211070 01).
Di conseguenza, si può ben dire che nel caso di specie si è formato un giudicato parziale sulla responsabilità dell’imputato per tutti i reati contestati, senza che però la sentenza che ha dichiarato l’irrevocabilità dell’ affermazione della responsabilità stessa sia utilizzabile come titolo esecutivo, almeno fino a quando non intervenga la definitiva determinazione della pena per effetto del nuovo giudizio sulla circostanza aggravante delle più persone riunite in relazione al reato di cui al capo 8 dell’imp utazione.
L’ordinanza impugnata, pertanto, ha fatto corretta applicazione dei criteri ermeneutici più volte ribaditi dalle Sezioni Unite quando ha dichiarato inammissibile l’istanza di applicazione della disciplina della continuazione a reati giudicati con sentenza non ancora esecutiva in COGNOME alla determinazione della pena.
Il ricorso avverso l’ordinanza si limita a riproporre una questione già costantemente decisa dalla Corte di cassazione in senso opposto a quello sostenuto nell’impugnazione , senza addurre motivi nuovi o diversi; di guisa che deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso l’1.4 .2025