Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26624 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26624 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Pistoia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/12/2022 della Corte di appello di Firenze;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; NOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 51126 del 18 luglio 2019, la Corte di cassazione annullava con rinvio la sentenza della Corte di appello di Firenze del 20 aprile 2018 nei confronti di NOME COGNOME, limitatamente ai reati a lui ascritti ai capi B1), B5) e B10) dell’imputazione, rigettando nel resto il suo ricorso.
Con sentenza n. 37969 del 28 ottobre 2020, la Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso straordinario per errore di fatto proposto dallo stesso imputato, revocava parzialmente quella sua precedente decisione, altresì annullando in parte, per l’effetto, la sentenza d’appello, emessa dalla Corte d’appello di Firenze il 20 aprile 2018.
Due erano gli errori rilevati: il primo consisteva nel non aver annullato la sentenza d’appello nella parte in cui, in accoglimento del gravame del AVV_NOTAIO ministero, aveva aumentato la pena-base per il reato più grave di quelli in continuazione (capo R), pur avendo il giudice di legittimità ritenuto inammissibile per tardività quel gravame; il secondo, nel non aver rilevato e dichiarato l’estinzione per prescrizione del reato contestato all’imputato al capo C(B)15, pur in presenza di un ricorso non inammissibile.
Il processo veniva, dunque, rinviato al giudice d’appello, per la conseguente rideterminazione complessiva del trattamento sanzionatorio.
La Corte d’appello, decidendo in sede di rinvio con sentenza del 6 dicembre 2022, ha dichiarato il non luogo a provvedere, rilevando che:
nelle more, la stessa Corte, con sentenza del 16 giugno 2020, resa all’esito del giudizio rescissorio conseguente all’annullamento con rinvio disposto dalla citata sentenza di legittimità n. 51126 del 2019, ha emendato motu proprio la sua decisione precedente nei termini successivamente indicati dalla sentenza resa dalla Cassazione il 28 ottobre seguente all’esito del ricorso straordinario, riducendo la pena-base per il delitto di cui al capo R) nella misura disposta in primo grado, rimodulando gli aumenti per continuazione su detta pena ed eliminando l’aumento per il reato di cui al capo C(B)15;
tale statuizione è divenuta definitiva, avendo la Corte di cassazione, con sentenza n. 39482 del 16 settembre 2021, dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’imputato avverso di essa.
Attraverso il proprio difensore, con il ricorso in disamina, COGNOME impugna tale decisione di non luogo a provvedere della Corte di appello, lamentando in tre motivi:
la mancanza grafica della motivazione, che a pag. 2 s’interrompe senza completare l’argomentazione;
II) l’inosservanza del dovere di decidere sulla questione devoluta con la sentenza rescindente, che permane anche nel caso in cui sulla medesima questione si sia pronunciata altra sentenza, potendo esservi una diversa valutazione, con la conseguente possibilità per il condannato di attivare in sede esecutiva il rimedio di cui all’art. 669, cod. proc. pen.;
III) l’omessa rivalutazione motivata degli aumenti di pena per continuazione alla luce dell’originario motivo d’appello sul punto, poiché la Corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso straordinario, ha espressamente annullato con rinvio anche su tale punto, dovendo da ciò desumersi che non avesse chiesto al giudice
di rinvio un semplice calcolo aritmetico, poiché, altrimenti, avrebbe potuto provvedervi essa direttamente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo è puramente specioso, e dunque manifestamente infondato.
Vero è che, tra le pagine 2 e 3 della motivazione, si registra una cesura del discorso; ma è altrettanto incontroverso che essa non incide sulla chiarezza complessiva dei motivi della decisione, tanto che neppure il ricorso evidenzia un salto logico od una lacuna espositiva.
3. Anche la seconda doglianza è priva di qualsiasi fondamento.
L’art. 627, cod. proc. pen., oltre a precludere al giudice di rinvio la possibilità di rilevare l’incompetenza e le nullità od inammissibilità verificatesi nelle fasi e nei gradi precedenti del giudizio, gli impone di uniformarsi alla soluzione adottata dalla Corte di cassazione per le questioni di diritto ad essa sottoposte, ma non gli consente di superare il giudicato eventualmente già formatosi sulle stesse, incorrendo esso altrimenti in una patente violazione del divieto di un secondo giudizio sullo stesso fatto, a norma dell’art. 649, cod. proc. pen..
Tanto premesso, nel caso in rassegna, il punto complessivamente devoluto al giudice di rinvio per effetto delle due sentenze della Corte di cassazione – quella rescindente, cioè, e quella di revoca parziale della stessa – consisteva nella rideterminazione della pena complessiva mediante la riduzione della pena-base per il delitto di cui al capo R) e l’eliminazione degli aumenti per i reati di cui ai capi B1), B5), B10) e C(B)15.
Ebbene, tale compito non soltanto era stato già assolto dal giudice d’appello, con la sentenza emessa il 16 giugno 2020 all’esito del giudizio di rinvio, ma, sulla relativa decisione, medio tempore, si era pure formato il giudicato, avendo la Corte di cassazione dichiarato inammissibile il ricorso avverso di essa.
Correttamente, dunque, la decisione oggi impugnata ha dichiarato il non luogo a provvedere, così evitando un non consentito bis in idem.
Erra, invero, il ricorrente là dove sostiene che anche il “secondo” giudice di rinvio avrebbe comunque dovuto decidere sulla questione devolutagli, nonostante il giudicato nelle more formatosi sulla stessa, dovendosi l’eventuale contrasto poi risolversi secondo le regole di cui all’art. 669, cod. proc. pen..
È sufficiente osservare, in proposito, che tale disposizione è destinata a regolare l’ipotesi della pluralità di sentenze emesse sullo stesso fatto e nei
confronti del medesimo imputato ma in distinti processi, non già quella, totalmente avulsa dal sistema processuale penale, della pluralità di sentenze definitive rese sullo stesso oggetto, verso lo stesso imputato e nel medesimo processo, che invece si verificherebbe se si accedesse alla tesi difensiva.
Da quanto appena osservato discende che il terzo motivo di ricorso, con cui si chiede la rivalutazione della misura degli aumenti di pena per continuazione, risulta assorbito e superato.
Peraltro, e solo per inciso, va rilevato come la doglianza si presentasse comunque generica, neppure accennando agli originari motivi d’appello che la Corte territoriale avrebbe trascurato.
La peculiarità della vicenda processuale consente comunque di escludere una colpa del ricorrente nella determinazione delle ragioni dell’inammissibilità del ricorso, con l’effetto che – a norma dell’art. 616, cod. proc. pen. – egli dev’essere condannato al pagamento delle spese del procedimento ma non anche di una somma in favore della cassa delle ammende (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2024.