Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43832 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43832 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MONTEBELLO IONICO il 22/04/1966
avverso l’ordinanza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con l’adozione delle statuizioni consequenziali;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, giudice dell’esecuzione, con il decreto in epigrafe, reso il 9 maggio 2024, ha dichiarato inammissibile l’istanza formulata nell’interesse di NOME COGNOME di modifica del provvedimento dell’ordine di esecuzione emesso dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano n. 1045/2021 SIEP nella parte in cui aveva calcolato una pena detentiva da espiare maggiore di mesi sei rispetto a quella corretta, in contrasto con quanto aveva deciso la Corte di appello di Milano con la sentenza del 17 giugno 2021, irrevocabile il 2 settembre 2021.
A ragione del suddetto provvedimento il giudice dell’esecuzione ha osservato che l’istanza in esame è risultata sostanzialmente analoga a quella avanzata da COGNOME in precedenza, il 16 febbraio 2022, che era stata rigettata dalla Corte di appello con ordinanza del 12 maggio 2022: la nuova domanda è stata considerata basata sui medesimi elementi dedotti nell’indicato, pregresso procedimento, già valutati nel provvedimento che l’aveva esitato.
La difesa di COGNOME ha proposto ricorso avverso il provvedimento succitato affidando l’impugnazione a un unico motivo con cui lamenta la violazione dell’art. 666, comma 2, e dell’art. 125 cod. proc. pen., in relazione all’abnormità dell’atto in sede di trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente ha puntualizzato in fatto che: la Corte di appello di Milano con sentenza del 25 settembre 2019 aveva applicato la continuazione ai reati accertati con quella decisione e ai reati accertati con la precedente sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano del 26 giugno 2015, stabilendo l’aumento in continuazione di anni due, mesi sei di reclusione, previa riduzione per il rito abbreviato; quella sentenza era stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione relativamente alla pena inflitta per la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., erroneamente calcolata in misura pari al doppio della pena base, anziché nella frazione da un terzo alla metà di essa; nel giudizio di rinvio la Corte di appello era incorsa in un errore giuridic irrogando la pena di anni due, mesi tre di reclusione, anziché la pena originaria di anni due, mesi sei di reclusione, in quanto, muovendo dalla pena base di anni uno, mesi sei di reclusione, avrebbe potuto aumentare la pena fino ad anni due, mesi tre di reclusione, a cui andavano aggiunti mesi nove di reclusione, in relazione all’aumento per l’aggravante residua, per complessivi anni tre di reclusione, da ridurre, per il rito abbreviato, ad anni due di reclusione.
Premesso ciò, la difesa ha ulteriormente rilevato che l’indicazione della Corte di appello della pena complessiva in quella di anni diciassette, giorni dieci di
reclusione era in contrasto con l’aumento, stabilito in anni due, mesi tre di reclusione, da aggiungere alla già indicata pena di anni quindici, mesi tre, giorni dieci di reclusione: pertanto – si è desunto – è evidente l’errore, da riferire però all’operazione di aumento in continuazione; e per far emergere tale erronea operazione era stato instaurato un nuovo procedimento esecutivo con istanza che non costituiva una riproposizione della precedente.
In tal senso si è sostenuto che, con la prima istanza, era stato prospettato l’errore materiale nell’indicazione dei tre mesi di reclusione, istanza a fronte della quale il giudice dell’esecuzione aveva risposto che, pur sussistendo l’errore di computo, esso non aveva integrato un errore materiale, bensì un errore valutativo da contestare con l’impugnazione; invece, in questo procedimento, si era dedotto l’errore di calcolo, nel provvedimento esecutivo, da parte del giudice dell’esecuzione che aveva sviluppato il computo della pena detentiva da espiare muovendo da un pena finale di anni diciassette, mesi sei, giorni dieci di reclusione, a fronte del calcolo corretto, che avrebbe dovuto condurre alla pena di anni diciassette, giorni dieci di reclusione: siccome la pena computata nel provvedimento di esecuzione concretava una pena illegale, il giudice dell’esecuzione aveva titolo, in via eccezionale, a sindacare e a ricondurre a legalità la pena stessa, trattandosi di una valvola di sicurezza del sistema, a cospetto dell’atto abnorme che aveva esitato la pena erronea.
Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità del ricorso, giacché il provvedimento impugnato ha correttamente rilevato la riproposizione di un’ulteriore istanza connotata dal medesimo oggetto di quella che aveva innescato il procedimento esecutivo già definito, mentre, con riferimento alla differenza di pena rilevata dal ricorrente, per essa, secondo l’Autorità requirente, il condannato difettava di interesse e, in ogni caso, agitava una questione che avrebbe dovuto dedurre nella sede del merito cognitorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta aspecifico e manifestamente infondato in ordine alla questione di inammissibilità della reiterazione dell’istanza di modificazione del provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti, rispetto alla precedente istanza, già proposta dal condannato e scrutinata dal giudice dell’esecuzione.
L’esame degli atti, a cui la Corte ha doveroso accesso in ragione della natura processuale della doglianza, fa emergere quanto segue.
2.1. L’istanza introduttiva del primo procedimento aveva dedotto – a fronte
del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano il 26 ottobre 2021 che la pena complessiva indicata nella sentenza della Corte di appello di Milano, all’esito del giudizio di rinvio, era quella di anni diciassette, giorni diec reclusione, posto che la motivazione di quella sentenza aveva omesso di svolgere tutti i passaggi (aumento anche per l’altra aggravante e riduzione per il rito abbreviato) fino a determinare la pena corretta in aumento, pari ad anni due di reclusione, sicché quest’ultimo era quello che avrebbe dovuto essere computato al fine del calcolo della pena finale: pena da ritenersi correttamente indicata in dispositivo in anni diciassette, giorni dieci di reclusione.
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione del 12 maggio 2022, depositato il 10 luglio 2022, aveva rigettato l’istanza osservando che: la Corte di appello aveva determinato la pena complessiva quantificando in anni due, mesi tre di reclusione l’aumento per la continuazione su quella di anni quindici, mesi tre, giorni dieci di reclusione ed euro 16.600,00 di multa, di cui alla sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano del 26 giugno 2015, confermata dalla sentenza della Corte di appello di Milano del 19 luglio 2016, irrevocabile il 29 settembre 2017; tale quantificazione era stata esposta in dispositivo, anche se sempre in dispositivo era stata indicata la pena complessiva di anni diciassette, giorni dieci di reclusione.
Per il giudice dell’esecuzione, l’errore materiale era stato compiuto proprio nell’indicazione, in dispositivo, della pena complessiva, poiché alla precedente pena, di anni quindici, mesi tre di reclusione ed euro 16.600,00 di multa, se anche si aggiungevano i soli due anni di reclusione dedotti dalla difesa, si perveniva alla pena detentiva di anni diciassette, mesi tre, giorni dieci, nemmeno corrispondente a quella di anni diciassette, giorni dieci di reclusione indicata – per errore materiale – in dispositivo: pertanto, l’aumento per la continuazione sulla precedente pena, fissato – sia nello stesso dispositivo e sia in motivazione – di anni due, mesi tre di reclusione, non poteva essere considerato l’esito di errore materiale, con l’effetto che, se r2porla sua entità non fosse stato condivisa, la sua quantificazione avrebbe dovuto formare oggetto di impugnazione.
2.2. Circa la nuova istanza – su cui è stato portato l’esame da parte del giudice dell’esecuzione nel presente procedimento – il ricorrente ha sostenuto che l’oggetto della stessa e del conseguente ricorso proposto in questa sede era ed è diverso, in guisa tale che essa non poteva essere dichiarata inammissibile de plano, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
Tale deduzione non è confortata dalla verifica del contenuto del corrispondente atto processuale e del relativo corso procedimentale.
Al riguardo, non è superfluo constatare che la prima ordinanza era stata
anche impugnata con ricorso per cassazione e, nel relativo atto, era stata dedotta l’illegalità della pena portata dal provvedimento esecutivo oggetto di contestazione: sennonché, all’esito del giudizio di legittimità, la decisione assunta (da Sez. 1, n. 14811 del 19/01/2023) aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione, esplicitamente ritenendo eccentrica anche la prospettazione di illegalità della pena.
Proponendo la nuova istanza, COGNOME si era concentrato sul fatto che il dispositivo della sentenza aveva indicato in anni diciassette, giorni dieci la pena detentiva, laddove il provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti aveva computato – in consonanza con le riflessioni che avrebbe poi svolto il giudice dell’esecuzione nel primo provvedimento – l’aumento per continuazione di anni due, mesi tre (pure espresso nella sentenza e ritenuto preminente sulla pena complessiva erroneamente indicata in dispositivo), da aggiungersi alla pena già oggetto della precedente sentenza di condanna, pari, quanto alla parte detentiva, ad anni quindici, mesi tre, giorni dieci.
Rifacendosi a tali dati, il giudice dell’esecuzione – ritenuto ormai acclarata all’esito del primo procedimento esecutivo la complessiva pena detentiva da espiare, coerentemente computato in anni diciassette, mesi sei, giorni dieci, senza alcuno spazio per la già esaminata e scartata tesi dell’illegalità della pena ha considerato che la nuova istanza si fosse esaurita nella riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, dichiarandola per tale ragione inammissibile.
2.3. La contestazione sollevata da COGNOME avverso tale provvedimento è imperniata sulla prospettazione secondo cui, nel secondo procedimento, quello attuale, si era dedotto – sul presupposto che il calcolo corretto avrebbe dovuto condurre alla pena di anni diciassette, giorni dieci di reclusione – che la pena computata nel provvedimento di esecuzione contestato costituiva una pena illegale, con corrispondente abnormità del provvedimento che l’aveva validata.
Come è evidente alla stregua della ricognizione operata, la deduzione difensiva veicolata con la nuova istanza – al dì là delle inflessioni nominalistiche si è senz’altro sovrapposta a quella identificante la base assertiva della prima domanda: il tema dell’illegalità della pena, quali che siano le modalità della corrispondenti prospettazioni, era stato già definito nel procedimento precedente.
Si è pertanto rilevata la sussistenza del limite alla reiterazione della medesima istanza, la cui proposizione è esclusa dalla preclusione processuale sovente definita come giudicato esecutivo.
La pronuncia del giudice dell’esecuzione di rigetto di una determinata istanza preclude la riproposizione della medesima domanda, che non sia fon,data su
elementi nuovi e diversi (ad esempio, in tema di continuazione, Sez. 1, n. 36337 del 16/03/2016, COGNOME, Rv. 268562 – 01; Sez. 1, n. 12823 del 03/03/2011, COGNOME, Rv. 249913 – 01).
Naturalmente, il concetto giuridico di giudicato esecutivo si sostanzia in una preclusione processuale rebus sic stantibus, di guisa che la sopravvenienza e anche la nuova deduzione, prima non effettuata, di un ulteriore elemento, di fatto o di diritto, idoneo a mutare il quadro valutativo costituiscono fatti idonei a superare la relativa barriera: sempe a titolo esemplificativo, si ribadisce che il mutamento di giurisprudenza intervenuto con decisione delle Sezioni Unite, adottata sulla base di un’interpretazione conforme a principi costituzionali o sovranazionali, integra un nuovo elemento di diritto idoneo a superare la preclusione integrante il giudicato esecutivo (Sez. 1, n. 30569 del 07/03/2019, COGNOME, Rv. 276604 – 01).
Nel caso in esame, la seconda istanza è risultata essere stata effettivamente l’esito di una mera reiterazione deduttiva, in assenza di elementi nuovi, di fatto o di diritto, idonei a far emergere un’apprezzabile diversità del thema decidendum oggetto del nuovo procedimento.
Pertanto, essa è stata correttamente dichiarata inammissibile con decreto reso inaudita altera parte, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
Il ricorso avverso il suddetto provvedimento, che ha sostenuto l’assunto contrario in modo aspecifico e infondato in modo manifesto, è da ritenersi, quindi, a sua volta, inammissibile.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione dell’insieme delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 settembre 2024
CORTE SUPREMA DI CAS3AZIONE