Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46992 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46992 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a Roma il 12 marzo 1967; RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 20 maggio 2024 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; letta la memoria depositata il 7 novembre 2024 dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse dei ricorrenti, con la quale, anche in replica alle conclusioni rassegnate dalla Procura generale, si insite per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 20 maggio 2024, la Sezione specializzata – Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma rigettava le opposizioni proposte da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento con cui era stato formato e dichiarato esecutivo lo stato passivo nel procedimento di prevenzione
promosso nei confronti di NOME COGNOME confermando l’esclusione dei crediti vantati dai ricorrenti.
Il Tribunale ha ritenuto che tali crediti (che trovavano il loro titolo i prestazioni professionali connesse a contratti di consulenza e assistenza legale stipulati con la Roma Mercato ’87, società ricondudbile al proposto), non fossero certi né nell’an, né nel quantum; e ciò nonostante fossero stati oggetto di decreti ingiuntivi divenuti definitivamente esecutivi (ai sensi dell’art. 647 cod. proc. civ.) e sfociati in conseguenti atti di precetto e connesse procedure esecutive presso terzi. I decreti ingiuntivi (non opposti), validi per le successive azioni esecutive in sede civile, non spiegherebbero piena efficacia probatoria in sede di ammissione del credito all’interno del procedimento di prevenzione (caratterizzato da autonoma delibazione incidentale con rito sommario) e, nel valutare i rapporti sostanziali fonti del credito vantato: a) i contratti di consulenza sarebbero privi di data certa e, comunque, sottoscritti dal presidente del consiglio di amministrazione senza alcuna autorizzazione dell’organo consiliare e senza una delega a tal fine; b) priva di prova certa, alla luce della contabilità della società committente, l’esistenza del credito, l’effettività del rapporto professionale e la relativa durata. In ogni caso non sarebbe dimostrata la buona fede in considerazione dei rapporti personali intrattenuti dall’avv. COGNOME con l’amministratore della sodetà committente, a sua volta legato al proposto e del del lungo tempo trascorso tra l’emissione del decreto ingiuntivo (ottobre 2010), la successiva la notifica del precetto (marzo 2012, giugno 2013 e luglio 2014, all’esito delle precedenti estinzioni delle relative procedure esecutive introdotte), il pignoramento (luglio 2016) e la relativa trascrizione (maggio 2018).
Avverso il decreto di rigetto dell’opposizione, propongono ricorso per cassazione entrambi i creditori, articolando un unico motivo d’impugnazione formulato in termini di violazione di legge (in relazione agli artt. 52, 57, 58 e 59 d. Igs. n 159 del 2011) e connesso vizio di motivazione.
2.1. Sostengono le difese che i crediti fatti valere dai ricorrenti, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice delegato prima e dal Tribunale poi, non si fonderebbero su semplici fatture, ma su autonomi decreti ingiuntivi, divenuti definitivamente esecutivi, e, in quanto tali, di per sé prova intangibile dei crediti fatti valere. In ogni caso, anche a voler valutare il rapporto sottostante al titolo giudiziale: a) l’attività stragiudiziale di consulenza e assistenza svolta dai ricorrenti non potrebbe che essere riferita alla Romamercato ’87, in quanto i contratti sono stati sottoscritti dal legale rappresentante della società, titolare, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, dei relativi poteri di sottoscrizione, (tanto più alla luce dello spontaneo pagamento di alcune delle fatture emesse in
ragione delle plurime prestazioni effettuate); b) la durata del rapporto sarebbe pacifica e l’effettività e la consistenza dell’attività professionale svolta ampiamente dimostrata attraverso la relativa produzione documentale; c) la quantificazione del relativo compenso sarebbe stata effettuata alla luce delle previsioni negoziali cristallizzate nei contratti di consulenza.
2.2. Quanto al profilo della buona fede: a) i rapporti tra l’amministratore della Romamercato ’87 e il ricorrenti sono sempre stati limitati alle ragioni professionali sottese ai contratti di consulenza; b) alla cessazione è stata trasmessa la diffida ad adempiere; c) la nomina che l’amministratore della Romamercato ’87 ha effettuato in favore dell’avvocato NOME COGNOME nulla proverebbe quanto alla pretesa continuazione dei rapporti tra le parti, poiché frutto di iniziativa unilaterale dell’amministratore (che, peraltro, non ha avuto alcun seguito alla luce della sostituzione del difensore); d) i rapporti tra l’amministratore della Romamercato ’87 e il signor COGNOME (proposto nella procedura di prevenzione) non potrebbero essere sovrapposti a quelli intercorsi tra lo stesso amministratore e i ricorrenti, e, quindi, il relativo argomento logico sarebbe privo di forza inferenziale rispetto all’accertamento della loro buona fede dei ricorrenti; e) la valutazione dei tempi di esecuzione del decreto ingiuntivo e di trascrizione del conseguente pignoramento sarebbe frutto di una errata valutazione dei dati documentali in quanto conseguenza delle difficoltà di notifica dei titoli esecutivi e del precetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati per le ragioni che saranno di seguito esposte.
Va premesso che i ricorrenti agiscono per il riconoscimento (e la conseguente insinuazione al passivo) di un credito vantato nei confronti della Romamercato ’87 (società riconducibile al proposto e, quindi, oggetto di confisca) a titolo di prestazioni professionali svolte in favore della predetta; credito cristallizzato in distinti decreti ingiuntivi dichiarati definitivamente esecutivi a sensi dell’art. 647 cod. proc. civ. in data anteriore all’apposizione del vincolo.
In linea di principio, ai sensi dell’art. 45 d. Igs. n. 159 del 2011, i beni oggetto di confisca di prevenzione sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi, con conseguente potenziale pregiudizio degli interessi dei terzi (titolari di pretese di natura obbligatoria o di diritti reali di garanzia costituiti sui beni oggetto di confisca), in qualche modo incolpevolmente coinvolti nell’applicazione della misura.
In questi termini, l’art. 52 del d. Igs. n. 159 del 2011, con l’obbiettivo di contemperare le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura con le
parallele esigenze di tutelare gli interessi dei terzi e al fine di evitare manovre collusive con il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione, potenzialmente idonee a vanificare l’effetto ablatorio, condiziona l’ammissione del credito (e la conseguente insinuazione all’interno del piano di riparto) alla verifica di alcune condizioni: a) l’esistenza di un concreto pregiudizio (e, quindi, che l’escussione del restante patrimonio sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo che questo non sia assistito da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati); b) l’esistenza dei presupposti sostanziali del credito azionato (e, quindi, nei casi di promessa di pagamento, ricognizione di debito e titolo di credito, la prova del rapporto fondamentale); c) l’anteriorità del credito azionato rispetto all’apposizione del vincolo; d) la non strumentalità del credito rispetto all’attività illecita (e, quindi, la buona fede del creditore e, con essa, l’incolpevole affidamento).
Ciò considerato, per come si è detto, i ricorrenti deducono, quale primo motivo di censura, che i crediti azionati nel procedimento di verifica si fonderebbero su autonomi decreti ingiuntivi, divenuti definitivamente esecutivi, e, in quanto tali, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, di per sé prova intangibile dei crediti fatti valere.
3.1. La prima questione sottoposta alla valutazione di questo Collegio attiene, quindi, alla delimitazione dei confini del potere di accertamento rimesso dal legislatore al giudice della confisca ove, come nel caso di specie, si sia in presenza di un giudicato (maturato in un parallelo giudizio civile) che riguardi l’an e il quantum del medesimo credito azionato in sede di verifica all’interno del procedimento di prevenzione.
Ebbene, in simili casi, come già ritenuto da questa Corte (Sez. 1, n. 4691 del 28/01/2020, Francia, Rv. 278189, in motivazione), in assenza di una disposizione di legge che estenda in modo generalizzato il suo ambito di intervento (come, ad esempio, l’art. 52, comma 2 -bis, del medesimo decreto per il calcolo degli interessi) e in considerazione della logica unitarietà dell’ordinamento, il giudice della confisca è vincolato agli esiti dell’accertamento definitivo intervenuto in sede civile.
Questo Collegio è consapevole dell’esistenza di altro simmetrico orientamento, espresso in un recente pronunciamento di questa Corte (Sez. 2, n. 24311 del 01/04/2022, Coscia, Rv. 283626), ma ritiene che l’indubitabile esclusività dell’accertamento del credito (all’interno del procedimento di prevenzione e secondo le forme del titolo IV, per come esplicitamente indicato nell’art. 45 d. Igs. n. 159 del 2011) e l’oggettiva (seppur limitata) peculiarità della disciplina non permettano di ritenere che l’accertamento del giudice della
prevenzione possa prescindere da un pregresso accertamento giudiziale del medesimo rapporto di credito tra il creditore istante ed il proposto (in bonis).
L’esclusività dell’accertamento trova il suo fondamento, in termini analoghi a quanto avviene nella procedura di liquidazione giudiziale (dove non si è mai dubitato dell’efficacia preclusiva di un precedente giudicato opponibile) nel principio di universalità soggettiva e, quindi, nel divieto di azioni individuali esecutive o cautelari e nella soggezione dei creditori alle norme specifiche della formazione dello stato passivo, necessaria per garantire l’unità dell’esecuzione e la par condicio creditorum (artt. 51 e 52 I. fall. – 151 e 152 cci); la peculiarità della disciplina e, con essa, l’esistenza di poteri officiosi affidati al Tribunale in sede di verifica si giustificano con l’esigenza di tutelare l’interesse pubblicistico in precedenza indicato (evitare manovre collusive con il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione, potenzialmente idonee a vanificare l’effetto ablatorio). Un interesse, quest’ultimo, che non è pregiudicato dal precedente accertamento giudiziale (limitato, nel suo oggetto, al mero accertamento dell’an e del quantum del credito, che rimane identico anche nella verifica propria del procedimento di prevenzione), ma che, invece, può essere logicamente soddisfatto attraverso la possibilità (rectius: doverosità) di procedere al riscontro delle ulteriori specifiche condizioni di cui alla lett. b) del primo comma del citato art. 52 (non strumentalità del credito all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego e buona fede ed incolpevole affidamento del creditore).
In assenza di una contraria previsione, quindi, l’accertamento giudiziale (in ordine all’an e al quantum) assunto in altra sede, ove sia divenuto definitivo, nei limiti di tale accertamento, spiegherà i suoi effetti all’interno del procedimento di prevenzione. E da ciò l’intangibilità – nei limiti di quanto accertato nel precedente giudizio – delle ragioni creditorie azionate.
3.2. Residua il profilo della buona fede.
Per come si è detto, l’art. 52 d. Igs. n. 159 condiziona la tutela del terzo, titolare del diritto, all’accertamento che il credito azionato non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento.
Ebbene, in disparte i rapporti tra accertamento della strumentalità e buona fede del creditore, per quel che rileva in questa sede (alla luce della censura prospettata), l’onere incombente sul titolare del diritto azionato si risolve nella dimostrazione del suo affidamento incolpevole (principio che permea di sé ogni ambito dell’ordinamento giuridico: Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 1), ingenerato da una situazione di oggettiva apparenza che renda scusabile l’ignoranza (o il difetto di diligenza) dell’illiceità dell’attività svolta dal proprio debitore in termi
di mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attività illecita del proposto (Sez. 1, n. 2501 del 14/01/2009, San Paolo Imi S.p.a, Rv. 242817).
Ciò considerato, il Tribunale ha ritenuto che non sarebbe dimostrata la buona fede in considerazione a) dei rapporti personali intrattenuti dall’avv. COGNOMEnominato suo difensore in un giudizio suo proprio) con l’amministratore della società committente, a sua volta strettamente legato al proposto; b) del lungo tempo trascorso tra l’emissione del decreto ingiuntivo (ottobre 2010), la successiva la notifica del precetto (marzo 2012, giugno 2013 e luglio 2014, all’esito delle precedenti estinzioni delle relative procedure esecutive introdotte), il pignoramento (luglio 2016) e la relativa trascrizione (maggio 2018).
Ebbene, in sé, i dati considerate sono privi di forza inferenziale rispetto a quello oggetto dell’accertamento giudiziale. Da un canto, i rapporti personali intercorrenti tra il creditore e l’amministratore della società per la quale sono state eseguite le prestazioni professionali non solo non rappresentano un dato logico dal quale poter dedurre la piena consapevolezza dell’attività illecita svolta dal suo cliente, ma si sostanziano in un ordinario dato fattuale connesso con l’esercizio dell’attività di consulenza svolta. Parallelamente, nonostante la genericità delle allegazioni difensive (quanto alle ragioni dell’estinzione delle procedure esecutive incardinate), i tempi ben possono essere spiegati dagli stessi rapporti professionali intercorsi ed empiricamente giustificati proprio dall’esigenza di preservare i predetti rapporti.
In conclusione, il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Roma, in diversa composizione fisica, che si atterrà ai principi di diritto in precedenza evidenziati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Roma.
Così deciso 1’11 novembre 2024