Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31326 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31326 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Ucraina il 16/12/1970;
avverso la ordinanza del Tribunale di Trieste, in funzione di giudice dell’appello cautelare, del 25/02/2025;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria, rassegnata ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Trieste – investito, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., dell’appello proposto da NOME avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gorizia in data 31 gennaio 2025, che aveva respinto la richiesta di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta (dallo stesso Giudice per le indagini preliminari con ordinanza del 26 gennaio 2024, confermata in sede di riesame dal Tribunale di Trieste con provvedimento del 13 febbraio 2024) nei suoi confronti perché gravemente indiziato per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per il quale era stato arrestato in flagranza il giorno 23 gennaio 2024 – rigettava il gravame confermando, per l’effetto, la misura cautelare in atto.
1.1. Il Tribunale di Trieste, con la ordinanza sopra indicata, riteneva infondato il gravame sul presupposto della assenza di elementi nuovi che consentissero di ritenere attenuate le esigenze di natura cautelare, già valutate e confermate con il precedente provvedimento ormai coperto dal c.d. giudicato cautelare, evidenziando che nelle more NOME era stato condannato, in sede di giudizio abbreviato, con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gorizia pronunciata il giorno 21 gennaio 2025, alla pena di anni tre, mesi sei e giorni venti di reclusione (oltre alla multa), essendo stato riconosciuto responsabile del delitto contestatogli, con le aggravanti del numero dei soggetti trasportati e di aver agito a fini di profitto, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed esclusione dell’attenuante di cui all’art. 12, comma 3quinquies, d.lgs. 286/98, che era stata invocata dalla difesa.
Avverso la predetta ordinanza l’imputato, per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo pe suo annullamento.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione mancante ed illogica poiché, a suo dire, il Tribunale di Trieste ha respinto il gravame sull’errato presupposto della assenza di elementi di novità che vadano ad incidere sugli indizi di colpevolezza e sulle esigenze di natura cautelare. Al riguardo osserva che, in realtà, il decorso del
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tempo, l’assenza di precedenti penali ed il costante rispetto delle prescrizioni, nel corso degli arresti domiciliari, andavano valorizzati in senso positivo per disporre la revoca della misura cautelare in atto.
2.1. Con il secondo motivo NOME deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc., la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione mancante ed illogica rispetto alla valutazione, operata dal giudice dell’appello cautelare, della sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza da cui desumere il rischio di reiterazione del reato.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il procedimento si è svolto in modalità cartolare non essendo stata avanzata, nei termini di legge, richiesta di trattazione in presenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (i cui motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione) è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Come noto, in tema di c.d. giudicato cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne solo le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte; pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito. In altri termini, le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in GLYPH esame GLYPH (Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018, GLYPH Rv. 273648 GLYPH 01;
Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015, Rv. 265555 – 01). Inoltre, la sopravvenienza di una sentenza di condanna per gli stessi fatti per i quali è stata applicata una misura cautelare personale preclude al giudice dell’appello incidentale “de libertate” la rivalutazione della gravità indiziaria, in assenza di una diversa contestazione del fatto addebitato e di nuovi elementi di fatto (Sez. 2, n. 5988 del 23/01/2014, Rv. 258209 – 01).
Non va, infine, dimenticato che in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare. (Sez. 3, n. 43113 del 15/09/2015, Rv. 265652 – 01).
Chiarito quanto sopra, nel caso in esame il tema controverso attiene all’idoneità degli elementi di novità sopravvenuti alla formazione del giudicato cautelare ad incidere su entità e pregnanza delle esigenze cautelari. Orbene, il ragionamento svolto dal Tribunale di Trieste appare lineare e coerente, perché imperniato, a dispetto di quanto obiettato dal ricorrente, sulla ponderata complessiva considerazione di tutte le evidenze disponibili e, in particolare, della mancanza di significativi nuovi elementi di valutazione.
3.1. L’ordinanza impugnata muove, infatti, dalla considerazione che l’istanza ex art. 299 cod. proc. pen. presentata dall’odierno ricorrente e già respinta dal Giudice per le indagini preliminari, per quanto diretta al rinnovato apprezzamento della consistenza del quadro cautelare, in realtà riproponeva elementi che erano i medesimi già valutati in occasione della richiesta di riesame a suo tempo respinta.
3.2. Il Tribunale ha spiegato, in modo adeguato ed esente da vizi logici, che gli elementi sui quali l’odierno ricorrente appunta la propria attenzione non possiedono, di per sé, l’attitudine a contraddire il già formulato giudizio in ordine alla sussistenza delle condizioni legittimanti l’applicazione ed il mantenimento degli arresti domiciliari. Al cospetto di un percorso argomentativo privo di elementi contraddittori e rispettoso del dato processuale, l’odierno ricorrente ( oppone obiezioni che si basano su profili che il Tribunale del riesame ha
debitamente preso in considerazione, ritenendoli privi di attitudine a comprovare l’affievolimento del quadro cautelare e, segnatamente, del pericolo di recidiva.
3.3. Invero, l’ordinanza impugnata ha dettagliatamente esaminato i nova posti a sostegno della richiesta di sostituzione della custodia cautelare (il decorso del tempo, l’assenza di precedenti penali ed il rispetto delle prescrizioni), giungendo alla conclusione che le circostanze addotte non sono idonee a modificare il quadro sotteso alle precedenti ordinanze coperte dal giudicato cautelare.
3.4. In particolare, il provvedimento impugnato ha evidenziato che la sentenza di condanna aveva espressamente escluso l’invocata attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 12, comma 3-quinquies, d.lgs. 286/98 a conferma della assenza di una vera presa di distanza dall’ambiente in cui era maturato il reato, che la incensuratezza dell’imputato era stata già valutata al momento della emissione della ordinanza genetica e che le iniziali dichiarazioni del ricorrente erano state considerate, in sede di riesame, dallo stesso Tribunale di Trieste a giustificazione del giudizio negativo sulla sua personalità. Ha aggiunto che l’esclusione nel procedimento principale di una circostanza aggravante non ha ridimensionato in termini significativi la gravità del fatto di reato accertato, sanzionato con pena non modesta, nonostante la diminuente per il rito alternativo, e che le pratiche avviate per ottenere il rilascio di permesso di soggiorno non assumono rilevanza anche perché prive di riscontro documentale.
Il Tribunale ha, quindi, coerentemente concluso che dovevano ritenersi persistenti le esigenze cautelari poste a fondamento della misura in atto, ancora proporzionata e adeguata a contenere il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello in contestazione. Al riguardo giova evidenziare che il difetto di motivazione valutabile in cassazione può consistere solo in una mancanza o in una manifesta illogicità della motivazione stessa; il che significa che deve mancare del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice e che non può costituire vizio che comporti controllo di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente, più adeguata, valutazione delle risultanze procedimentali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto a emettere il provvedimento.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 17 luglio 2025.