Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2717 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2717 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale di Catanzaro nel procedimento nei confronti di COGNOME COGNOME nato a Soriano Calabro il 23/10/1992
Avverso l’ordinanza del 02/07/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata; uditi i difensori avvocato NOME COGNOME e NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo che il ricorso
sia rigettato
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale per il riesame di Catanzaro ha respinto l’appello proposto dal Procuratore generale avverso l’ordinanza del 07/12/2023 con cui la Corte di appello di Catanzaro ha dichiarato la perdita di efficacia della
misura cautelare della custodia in carcere applicata a NOME COGNOME per intervenuta decorrenza dei termini di fase.
La vicenda può essere così sinteticamente ricostruita:
il 30/03/2018 NOME COGNOME è stato attinto da ordinanza di custodia cautelare per i delitti di detenzione di armi e di stupefacenti nonché di estorsione;
è stato, poi, rinviato a giudizio e condannato, oltre che per una serie di reatifine, anche per il delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990;
il 25/06/2021, dopo la condanna, la Corte d’appello ha dichiarato decorsi i termini di fase per i reati satelliti e ha applicato la misura degli arresti domiciliari pe reato associativo, per il quale, in precedenza, non era stata emessa misura;
il Tribunale per il riesame, ritenendo integrata un’ipotesi di contestazione a catena, ha dichiarato l’inefficacia della misura;
in sede di rinvio, a seguito di annullamento della Corte di cassazione, con ordinanza del 16/12/2021, il Tribunale, dopo aver retrodatato l’ordinanza applicativa degli arresti domiciliari del 25/06/2021 al 30/03/2018, ha ricalcolato il termine della custodia di fase in anni due, in base al combinato disposto degli artt. 303, comma 1, lett. c), n. 2, e 304, comma 6, cod. proc. pen.. Ciò in quanto, il termine di fase di anni uno (ex art. dall’art. 303, lett. c), numero 2, cod. proc. pen.) era stato sospeso, ai sensi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. per particolare complessità del procedimento relativo a uno dei reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., con ordinanza in data 06/09/2021;
a seguito di ricorso del COGNOME, che chiedeva la declaratoria di cessazione degli effetti della misura, questa Sezione, con sentenza n. 25847/2023, ha rilevato che «è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, salvo che non sia diversamente disposto con un’apposita delimitazione soggettiva, la disposta sospensione dei termini di custodia cautelare prevista dall’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. ha natura oggettiva, afferendo ad una situazione processuale obiettivamente considerata, e spiega i suoi effetti anche nei confronti dell’imputato libero, che sia sottoposto solo in seguito ad una misura cautelare (in questi termini, tra le diverse, Sez. 2, n. 25498 del 04/04/2012, COGNOME, Rv. 253243; Sez. 6, n. 35767 del 01/03/2007, COGNOME, Rv. 237982), così come nei riguardi dell’imputato latitante che sia solamente successivamente catturato (in questo senso, tra le molte, Sez. 1, n. 28482 del 27/06/2003, COGNOME, Rv. 225276)»;
con sentenza n. 46380 del 03/10/2023 (Rv. 285529), pronunciata nei confronti del coimputato COGNOME questa Sezione ha mutato indirizzo, affermando che l’ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare per complessità, adottata ai sensi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., non spiega i suoi effetti nei confronti dell’imputato libero;
in applicazione di tale principio di diritto, rilevato che NOME COGNOME era libero nel momento era stata emessa l’ordinanza di sospensione, la Corte d’appello, con decisione confermata dal Tribunale per il riesame, ha dichiarato cessati gli effetti della misura per decorrenza dei termini.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello, che articola un unico motivo di ricorso per violazione di legge in relazione agli artt. 309, 310, 311, 649 cod. proc. pen.
Rileva il ricorrente che l’ordinanza impugnata ha dichiarato la sopravvenuta inefficacia della misura sulla base di un overruling giurisprudenziale.
Tuttavia, nel caso di specie, nessun effetto poteva produrre il mutato orientamento giurisprudenziale, essendosi formato il giudicato cautelare sul calcolo del termine di fase effettuato con ordinanza del Tribunale per il riesame del 16/12/2021, non impugnata. Richiama su punto le Sezioni unite Librato, che hanno escluso che possa valere a rimuovere l’effetto preclusivo del giudicato cautelare il mero sopravvenire di una sentenza della Corte di Cassazione che esprima un indirizzo giurisprudenziale diverso da quello seguito dall’ordinanza che ha deciso la questione controversa (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235908).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
Va, in primo luogo, rilevato che il Procuratore generale fonda il suo ricorso unicamente sull’efficacia preclusiva del giudicato cautelare, non contesta il mutamento del “diritto vivente” su cui si basa la decisione impugnata e, quindi, non si confronta con l’argomento decisivo dell’orientamento espresso con la sentenza Parrotta, ossia l’impossibilità, per l’imputato libero al momento dell’emissione dell’ordinanza di sospensione del termine, di impugnarla, per difetto di interesse.
Né tale ordinanza potrebbe essere impugnata successivamente, non trovando certamente applicazione la disciplina del termine di impugnazione prevista per il latitante dall’art. 309, comma 2, cui rinvia l’art. 310, comma 2, cod. proc. pen. che ammette la riapertura del termine subordinatamente alla prova dell’ignoranza del provvedimento genetico della misura. Di fatto, quindi, l’imputato in stato di libertà sarebbe di fatto privato del diritto di appellare l’ordinanza all’insorgere de suo interesse, per effetto dell’applicazione della misura custodiale
successivamente alla decorrenza del termine di impugnazione correlato alla notificazione dell’ordinanza di sospensione.
La questione di fondo che pone il ricorso è se il mutamento giurisprudenziale possa costituire elemento nuovo idoneo a superare il giudicato cautelare.
A sostegno della soluzione negativa il ricorrente richiama Sezioni unite Librato, che, pronunciandosi in tema di retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen., hanno rilevato che è principio consolidato attraverso reiterate pronunce delle Sezioni unite (sentenze 31 marzo 2004, n. 18339, COGNOME, rv. 227359; 25 giugno 1997, n. 8, COGNOME, rv. 208313; 8 luglio 1994, n. 11, COGNOME, rv. 198213; 12 ottobre 1993, n. 20, Durante, rv. 195354) che, rispetto alle ordinanze in materia cautelare, all’esito del procedimento di impugnazione, si forma una preclusione processuale, anche se di portata più modesta di quella relativa alla cosa giudicata, perché è limitata allo stato degli atti e copre solo le questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, divenendo rimuovibile solamente quando siano dedotti elementi nuovi o sopravvenuti. Di conseguenza una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa con efficacia preclusiva non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame. Ciò in quanto ogni questione sarebbe riproponibile un numero indefinito di volte e risulterebbe vanificata la previsione legislativa dei termini per impugnare i provvedimenti cautelari. Le Sezioni unite hanno precisato che non «può valere a rimuovere l’effetto preclusivo il mero sopravvenire di una sentenza della Corte di cassazione che esprime un indirizzo giurisprudenziale minoritario, diverso da quello seguito dall’ordinanza che ha già deciso la questione controversa». La stessa sentenza, però, esamina l’orientamento minoritario sopravvenuto, ritenendolo nel merito non condivisibile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’incidenza del mutamento giurisprudenziale sul giudicato cautelare è stata successivamente approfondita da altra pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, in proc. PG/COGNOME, Rv. 246651).
In essa si rileva che impropriamente si evoca in relazione ai provvedimenti adottati in sede cautelare, così come in sede esecutiva, il concetto di giudicato in quanto la circostanza che in tali procedimenti non ci sia mai un giudizio di merito sul fatto comporta necessariamente una diversa regolamentazione dell’efficacia preclusiva della decisione. Viene, poi, affrontato il problema del rapporto tra norma e interpretazione alla luce del principio di legalità di cui all’ad 7 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, osservando che quest’ultima ha inglobato nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale, riconoscendo al giudice un
ruolo fondamentale nella individuazione dell’esatta portata della norma penale, il cui significato è reso esplicito dalla combinazione di due dati: quello legislativo e quello interpretativo.
Per questo «l’obbligo di interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo impone di includere nel concetto di nuovo “elemento di diritto”, idoneo a superare la preclusione di cui al secondo comma dell’art 666 c.p.p., anche il mutamento giurisprudenziale che assume, specie a seguito di un intervento delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, carattere di stabilità e integra il diritto vivente”. Tale operazione ermeneutica si rende necessaria ed è doverosa nel caso in cui è funzionale a garantire il rispetto dei diritti fondamentali, riconosciuti anche da norme comunitarie o sovranazionali a carattere imperativo, di fronte ai quali la citata preclusione, che -come si è detto-ha natura e funzione diverse dal giudicato, non può che essere recessiva».
I principi affermati nella sentenza COGNOME assumono portata generale che trascende l’ambito del giudicato esecutivo per estendersi anche al giudicato cautelare, che del primo condivide la natura di mera preclusione.
Se la sentenza impone certamente di rimuovere la preclusione del giudicato nell’ipotesi di mutamento giurisprudenziale determinato dall’intervento delle Sezioni unite, non esclude che analoga rimozione possa e debba operare nel caso di un mutamento giurisprudenziale determinato dal normale esercizio della funzione nomofilattica attribuita al giudice di legittimità, come correttamente affermato nell’ordinanza impugnata, specie se funzionale a garantire il rispetto di diritti fondamentali.
Nel caso di specie il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi, anche alla luce del fatto che la sentenza COGNOME è stata emessa nei confronti di un coimputato nel medesimo procedimento, che ha visto dichiarata la perdita di efficacia della misura, evitando così una disparità di trattamento lesiva dell’art. 3 Cost. nei confronti dei coimputato COGNOME
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 05/12/2024.