Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31776 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31776 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 09/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 10/10/1977
avverso la sentenza del 13/06/2025 della CORT “)APPELLO di MILANO sz udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
vaLA. udito il difensore, l’avvocato COGNOME del foro di Monza, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME del foro di Bari, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha parzialmente accolto la richiesta di estradizione presentata dalla Repubblica di Albania nei confronti di NOME Aleks sulla base del mandato di arresto internazionale emesso il 3/8/2023 dalla Procura Speciale contro la corruzione e la criminalità organizzata di Tirana per i reati di “fornitura delle condizioni e mezzi materiali per commettere omicidio” e “gruppo criminale strutturale”, commessi in Albania tra il 2020 ed il 2021, dichiarando sussistenti le condizioni per la consegna del Deda all’autorità, limitatamente al primo dei predetti reati.
La Corte territoriale ha deciso in sede di rinvio disposto dalla Sesta sezione di questa Corte di Cassazione che, con sentenza in data 8/1/2025, aveva annullato la precedente sentenza della Corte di appello di Milano in data 10/10/2024 – che già allora aveva dichiarato sussistenti le condizioni per la consegna all’autorità albanese del Deda – ravvisando in questa vizi motivazionali da colmare in ordine al pericolo di vita o dell’incolumità personale dell’estradando, con riferimento alle garanzie offerte dal Paese richiedente circa la condizione carceraria alla quale lo stesso sarebbe destinato in caso di estradizione.
Rilevava, infatti, la sesta sezione di questa Corte che “il ricorrente ha collaborato con la giustizia albanese nell’ambito di un’importante indagine sul crimine organizzato che aveva portato, proprio grazie alle sue dichiarazioni, all’applicazione della misura cautelare della custodia cautelare nei confronti di 50 persone, alcune di particolare rilievo delinquenziale, tanto da essere stato vittima di quattro tentativi di omicidio e, qui di, sottoposto a regime di protezione disposizione delle Autorità albanesi”. Rilevava ancor entenza rescindente che, con la sentenza del 10/10/2024 p la Corte di appello di Milano, pur avendo ritenuto documentate la collaborazione dell’ estradando e la sua successiva protezione a causa di subìti attentati, aveva escluso che NOME potesse correre un pericolo effettivo nelle carceri del Paese richiedente in quanto l’ultimo attentato ai suoi danni era avvenuto il 6 marzo 2022; il mandante era stato sottoposto a custodia cautelare in carcere e le autorità penitenziarie albanesi avevano “adottato delle misure per fronteggiare il rischio derivante dal non autorizzato sorvolo da parte di droni non identificati (pag. 4 sentenza)
Tanto premesso, la Corte di cassazione riteneva la motivazione in quella sede adottata dalla Corte di Appello “contraddittoria e, comunque, lacunosa” in ordine al pericolo di vita o dell’incolumità personale dell’estradando, con riferimento alle garanzie offerte dal Paese richiedente circa la condizione carceraria alla quale lo stesso sarebbe destinato in caso di estradizione
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, ha premesso di aver inteso verificare “se il destinatario della richiesta di estradizione, dato pe
acquisito il suo ruolo di collaboratore dì giustizia, non corra un effettivo e concreto pericolo essere messo in pericolo di vita una volta rinchiuso nelle strutture carcerarie albanesi”, e dì aver pertanto formulato richiesta di informazioni alla Procura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata (SPAK), venendo così da questa informato, con risposta del 26/5/2025, che il Deda è stato vittima di due attentati omicidiari, nel 2020 e nel 2022, oggetto d procedimenti penali originariamente distinti e poi riuniti e definiti con sentenza n. 49 de 15/5/2024, che ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di quattro persone, ritenute responsabili del primo attentato, misura ancora non eseguita, mentre non risultano ancora identificati gli autori del secondo episodio. L’ Autorità Albanese ha anche precisato, però, che il Deda “non è mai stato posto sotto protezione quale testimone o collaboratore di giustizia”.
Quanto alla richiesta di informazioni circa l’eventuale tutela del Deda da azioni di vendetta, nella struttura carceraria nella quale dovesse essere assegnato, la risposta della Direzione Generale delle Carceri presso il Ministero della Giustizia della Repubblica di Albania è giunta alla Corte di appello di Milano il giorno successivo all’udienza, ed assicurava “la sistemazione” dell’estradando presso istituti volti a garantire i diritti e le libertà dell’uomo previst legislazione europea nonché “la tutela e la salvaguardia della vita e dell’integrità fisica d cittadino all’interno dì strutture adeguate”.
Dalla lettura degli atti del fascicolo era emerso, infatti, che non risultava che il Deda avesse mai reso dichiarazioni accusatorie ad ampio raggio, ma soltanto dichiarazioni in ordine agli episodi di cui era rimasto vittima, sicché la Corte di appello ha ritenuto essere venuto meno il presupposto al quale la sentenza rescindente aveva condizionato la richiesta di informazioni in ordine ad eventuali rischi connessi al ruolo di collaboratore e, conseguentemente, non potersi riconoscere sussistenti i paventati pericoli vendetta che il Deda potrebbe subire una volta estradato, ed ha osservato che la generica possibilità che criminali albanesi possano aver accesso alle carceri per commettere atti violenti non può essere ritenuto elemento sufficiente a negare l’estradizione.
Il COGNOME ha affidato il ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte di appello a due motivi di impugnazione.
4.1. COGNOME Con il primo ha dedotto la violazione di legge, con riferimento agli artt. 627 comma 3 cod. proc. pen., 704 comma 2 cod. proc. pen., 698 comma 1 e 705 comma 2 lett. c) cod. proc. pen., nonché mancanza e contraddittorietà di motivazione.
Ricordando che la Corte dì appello di Milano con ordinanza del 18/3/2025 aveva chiesto informazioni al Ministero della Giustizia Albanese ponendo cinque quesiti, ha evidenziato che a tre di questi non è stata data risposta (“3. La denominazione del carcere in cui la persona richiesta sarà detenuta in caso di consegna. 4. L’eventuale presenza di soggetti che il Deda ha contribuito con la sua collaborazione a far arrestare o persone ad esse vicine. 5. Le misure di sicurezza volte a eliminare il rischio che il COGNOME, quale detenuto, che possa subire delle vendette
private”), si duole il ricorrente che la Corte territoriale si sia trincerata dietro il ma inserimento del Deca nell’elenco dei collaboratori e testimoni di giustizia. Centrando attenzione su una tematica in alcun modo suggerita dalla sentenza rescindente, la territoriale ha omesso di accertare quale possa essere il carcere di destinazione del De estradato, al fine di escludere gli edifici penitenziari ove sono rinchiusi coloro che l assume avrebbe fatto arrestare.
La Corte territoriale, ad avviso del ricorrente, ha dato una risposta fuorviante ri delimitato e circoscritto campo di indagine fissato dalla sesta sezione della cassazione, resta il pericolo di compromìssione dei diritti fondamentali del Deda, in violazione dell’ comma 2 lett. c) cod. proc. pen., atteso anche che gli esecutori dell’attentato del 7 mar sono sfuggiti all’esecuzione dell’ordinanza nel proc. “Metamorfosi 2” emessa nei loro confr
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa ha dedotto la violazione dell’art. 111 4 della Costituzione e dell’art. 6 della Convenzione Edu per essersi utilizzate le informaz solo dopo l’udienza camerale la Corte di appello di Milano ha ricevuto dalla Direzione Gene delle Carceri presso il Ministero della Giustizia della Repubblica di Albania in ord “sistemazione” dell’estradando presso istituti che si assumono volti a garantire i diritti dell’uomo previsti dalla legislazione europea nonché “la tutela e la salvaguardia dell dell’integrità fisica del cittadino all’interno di strutture adeguate”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato e la sentenza deve essere annullata, per la viol del vincolo di rinvio ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per le ragion seguito si espongono.
Va preliminarmente rilevata, però, la manifesta infondatezza del secondo motivo ricorso, con il quale si prospetta la violazione del principio del contraddittorio con riferi mancata conoscenza da parte del ricorrente, con conseguente pregiudizio alle ragioni difen della nota della Direzione Generale delle Carceri presso il Ministero della Giustizi Repubblica di Albania, tenuta a riferire sulle condizioni di sicurezza da garantire all’es nell’ambiente carcerario.
E’ fuor di dubbio che, in tema di estradizione per l’estero, l’acquisizione di informa ordine alle condizioni detentive avvenuta al di fuori del contraddittorio determina l’inutil delle stesse e la nullità della decisione favorevole alla consegna dell’estradando s fondata, qualificabile a regime intermedio ai sensi degli artt. 178, lett. c) e 180 cod. (Sez. 6, n. 30884 del 18/09/2020, Lula, Rv. 279851 – 01), ed è stata la stessa se impugnata a riferire che la nota di cui si tratta è pervenuta solo il giorno successivo ri celebrazione dell’udienza del 12/6/2025, ma si tratta di comunicazione effettuata dalla
territoriale a meri fini di correttezza e completezza dell’esposizione, tanto che di tale nota so tra parentesi ne veniva comunicato il contenuto, estremamente generico e tale da non fornire alcuna specifica indicazione in ordine alle garanzie di sicurezza da assicurare all’estradando.
Le informazioni così ricevute, però, non risultano poste in alcun modo a fondamento del percorso argomentativo della sentenza che, invece, si fonda unicamente sull’asserita insussistenza della “necessità di richiesta di informazioni in ordine ad eventuali rischi connessi al suddetto ruolo di collaboratore” già attribuito al Deda (pag. 3 della sentenza impugnata), sicché nessuna violazione del principio del contraddittorio può riconoscersi nella motivazione della sentenza, in quanto in alcun modo fondata su informazioni sulle quali la difesa non abbia avuto la possibilità di interloquire.
E’ fondato, invece, il primo motivo di ricorso, con riferimento alla violazione dell’art. 62 comma 3, cod. proc. pen. e del vincolo di rinvio imposto dalla sentenza di annullamento.
La Sesta sezione di questa Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza dell’8/1/2025 aveva riconosciuto che “il ricorrente ha collaborato con la giustizia albanese nell’ambito d un’importante indagine sul crimine organizzato che aveva portato, proprio grazie alle sue dichiarazioni, all’applicazione della misura cautelare della custodia cautelare nei confronti di 50 persone, alcune di particolare rilievo delinquenziale, tanto da essere stato vittima di quattro tentativi di omicidio e, quindi, sottoposto a regime di protezione su disposizione delle Autorità albanesi”.
Sulla base di tali elementi, questa Corte di cassazione aveva demandato alla Corte territoriale di colmare le lacune motivazionali in ordine all’assenza di pericoli per l’incolumi dell’estradando, anche in considerazione della “mancata conoscenza di quale sia il suo carcere di destinazione e la certezza che sia quantomeno diverso da quello in cui sono detenuti coloro che il ricorrente ha consentito di individuare quali responsabili dell’associazione criminale”.
Tali approfondimenti non emergono in alcun modo dalla sentenza impugnata che, invece, ha richiamato le informazioni rese dall’Autorità Albanese in data 26/5/2025, che hanno riferito il Deda “è stato vittima di due attentati omicidiari, uno il 1/12/2020 e l’altro il 7/3/2022”, ogget di due distinti procedimenti, poi riuniti in un unico procedimento nell’ambito del quale è stata disposta la custodia cautelare nei confronti di quattro cittadini albanesi, riconosciuti autori d primo attentato, “ma la misura custodiale non è stata ancora eseguita” mentre “gli autori del successivo episodio non risultano ancora identificati e le indagini sono ancora in corso”.
Tanto premesso, però, la Corte territoriale non ha in alcun modo affrontato il tema delle garanzie di sicurezza dell’estradando, devolutogli dalla Corte di cassazione, valorizzando unicamente le informazioni rese dall’Autorità Albanese laddove questa ha precisato che “il cittadino NOME non è mai stato posto sotto protezione quale testimone o collaboratore di giustizia”.
Tale informazione, però, non giustifica l’elusione del vincolo di rinvio posto dalla sentenza della Sesta Sezione di questa Corte – nonostante la comunicazione ricevuta in ordine
all’imprecisione di questa sul fatto che il ricorrente sia “stato sottoposto a programma di protezione che, ad oggi, non risulta revocato” – non potendosi in alcun modo neutralizzare il dato, evidenziato dalla sentenza rescindente, della esposizione del Deda al pericolo di ritorsioni da collegare al contributo fornito per perseguire gravi delitti.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha costantemente evidenziato che Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza dì annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (Sez. 2, n. 45863 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277999 – 01; Sez. 5, n. 7567 del 24/09/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254830 – 01; Sez. 1, n. 7963 del 15/01/2007, P.g. in proc. COGNOME e altri, Rv. 236242 – 01).
Anche se il Deda non è mai stato sottoposto ad un regime di protezione quale testimone o collaboratore di giustizia, pertanto, la Corte territoriale non poteva sottrarsi all’on motivazionale impostogli dalla sentenza dell’8/1/2025 che aveva imposto di verificare l’assenza di pericoli per l’incolumità dell’estradando, sul rilievo che questo aveva comunque collaborato con la giustizia albanese nell’ambito di un’importante indagine sul crimine organizzato che aveva portato, anche grazie alle sue dichiarazioni, all’emissione della misura cautelare della custodia cautelare nei confronti di una pluralità di persone.
Il giudice del rinvio, infatti, è tenuto ad uniformarsi non solo al principio di diritto anche alle premesse logico-giuridiche poste a base dell’annullamento, non potendo nuovamente valutare questioni che, anche se non esaminate nel giudizio rescindente, costituiscono i presupposti della pronuncia sui quali si è formato il giudicato implicito interno. (cfr. Sez. 6, 11641 del 20/02/2018, COGNOME, Rv. 272641 – 01).
Alla luce di tali principi va evidenziato che la sentenza rescindente aveva riconosciuto con chiarezza che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, “non possono integrare causa di rifiuto dell’estradizione, ai sensi dell’art. 705 cod. proc. pen., i rischi dell’estradando di s atti di privata vendetta ad opera di persone estranee agli apparati istituzionali, le quali agiscano di propria iniziativa per motivi privati dì vendetta o di altro genere, trattandosi di evenienze che con le opportune cautele, ben possono essere prevenute”, ma aveva anche avvertito che “è errato equiparare (…) le attività ritorsive che possono conseguire dalla condotta collaborativa dell’estradando con l’autorità giudiziaria dello Stato richiedente per perseguire gravi delitti (Sez 6, n. 6488 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 262344), con ragioni individuali e contingenze estranee a scelte istituzionali. Infatti, nella specie, l’estradando risulta avere già subìto gravi conseguenz proprio per avere consentito all’Autorità giudiziaria albanese di sgominare un’importante associazione dedita al crimine organizzato…”.
La sentenza impugnata non si è in alcun modo conformata alla prescrizione dì verificare l’assenza di pericoli per l’incolumità dell’estradando, verifica che era stata imposta dall
pronuncia di questa Corte di Cassazione, sul rilievo che il Deda aveva rilasciato dichiarazioni nell’ambito dì indagini sul crimine organizzato che avevano portato all’emissione di provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di una pluralità di persone, tanto da essere stato vittima di molteplici tentativi di omicidio: risulta, peraltro, indubbio o, quantomen incontestato, secondo quanto già rilevato dalla Corte di Appello di Milano nella prima sentenza del 10/10/2024 ed altresì evidenziato anche nella sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte di Cassazione, che le dichiarazioni del ricorrente sono confluite in due processi di criminalità organizzata, che egli ha rivestito la qualità di persona offesa in due attentati omicidia dell’1/12/2020 e del 7/3/2022, confluiti poi in unico giudizio penale e che, con riferimento all prima vicenda, non risultano essere ancora state eseguite le misure cautelari disposte nei confronti degli esecutori materiali, mentre gli esecutori del secondo episodio delittuoso non sono stati ancora identificati.
A fronte di ciò la Corte di Appello, ripetendo nella sostanza gli errori valutativi già segnalat dalla precedente sentenza di annullamento, ha, invece, ritenuto che l’affermazione della nota della SPAK secondo cui “il cittadino NOME non è mai stato posto sotto protezione quale testimone o collaboratore di giustizia”, con conseguente insussistenza della qualifica formale di collaboratore di giustizia o di quella, sostanziale, di “collaboratore di fatto”, potesse assumere rilievo dirimente in relazione al pericolo di ritorsioni che possano provenire da soggetti coinvolt nei delitti di criminalità organizzata, tanto da eludere quella verifica dell’assenza di pericoli l’incolumità dell’estradando, imposta invece dalla precedente pronuncia di questa Corte di Cassazione.
4. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, affinché vengano colmate le lacune motivazionali già evidenziate dalla sentenza della sesta sezione di questa Corte di cassazione in data 8/1/2025.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 dìsp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 9 settembre 2025
L’estensore GLYPH
Il Presid nte