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Furto in sagrestia: è privata dimora? La Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, confermando che un furto in sagrestia integra il reato di furto in abitazione. La Corte chiarisce che la qualifica di ‘privata dimora’ ha natura oggettiva, legata al luogo e non al rapporto tra la vittima e il luogo stesso. Il caso riguardava la sottrazione di una carta bancomat dalla borsa di una volontaria all’interno della sagrestia di una chiesa.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Furto in Sagrestia: Quando si Configura il Reato di Furto in Abitazione?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16366 del 2025, ha affrontato un interessante caso di furto in sagrestia, stabilendo principi chiari sulla sua qualificazione come furto in privata dimora ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale. La decisione offre un’importante lezione sulla nozione giuridica di “privata dimora”, estendendola a luoghi che, pur non essendo abitazioni in senso stretto, sono protetti dalla legge in modo analogo. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.

I Fatti del Caso: Il Furto nella Sacrestia della Chiesa

Il caso ha origine da un episodio avvenuto nella sagrestia di una chiesa. Un’imputata è stata ritenuta responsabile di aver sottratto una carta bancomat dal borsellino di una volontaria, che aveva lasciato la propria borsa incustodita mentre svolgeva le sue attività. Successivamente, l’imputata ha utilizzato indebitamente la carta per effettuare prelievi di contante per 1.350 euro e un acquisto di 149 euro.
Inizialmente contestato come ricettazione, il reato è stato riqualificato dalla Corte d’Appello in furto aggravato in abitazione (art. 624-bis c.p.), con un conseguente aumento della pena. La difesa dell’imputata ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando tale qualificazione giuridica.

L’Appello e la Qualificazione del Furto in Sagrestia

Il principale motivo di ricorso si basava su un’erronea applicazione dell’art. 624-bis c.p. Secondo la difesa, la sagrestia non poteva essere considerata una “privata dimora” per la vittima, la quale si trovava lì solo come ospite per svolgere attività di volontariato. La nozione di privata dimora, a dire del ricorrente, poteva essere riferita unicamente al parroco, unico soggetto a detenere la piena disponibilità del luogo e il cosiddetto jus excludendi, ovvero il diritto di escludere terzi.
Di conseguenza, si sosteneva che il reato dovesse essere qualificato come furto semplice e non come la più grave fattispecie del furto in abitazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo le argomentazioni della difesa e confermando la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni si fondano su due pilastri fondamentali.

La Nozione Oggettiva di Privata Dimora

In primo luogo, i giudici hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la nozione di “privata dimora” ha una natura esclusivamente oggettiva. Ciò significa che la qualificazione dipende dalle caratteristiche del luogo stesso e non dal rapporto che la persona offesa ha con esso.
La sagrestia, essendo un luogo funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto e servente non solo all’edificio sacro ma anche alla casa canonica, rientra a pieno titolo nel concetto di privata dimora. L’accesso a tale luogo non è libero, ma è selezionato e consentito solo da chi ne ha la disponibilità. Questi elementi sono sufficienti a connotarla come luogo destinato, almeno in parte, ad atti della vita privata e, quindi, meritevole della tutela rafforzata prevista dall’art. 624-bis c.p.

L’Irrilevanza del Rapporto tra Vittima e Luogo

La Corte ha definito l’argomento della difesa un “evidente errore prospettico”. Per la configurazione del reato di furto in abitazione, non è necessario che la vittima del furto coincida con la persona che ha la disponibilità giuridica del luogo. L’aggravante si applica perché il reato è stato perpetrato all’interno di un luogo che oggettivamente si qualifica come privata dimora. Il fatto che alla vittima fosse stato concesso l’accesso non fa venir meno la natura protetta del luogo, né la qualificazione del reato.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un’interpretazione estensiva e oggettiva del concetto di privata dimora. Il principio chiave è che la tutela penale rafforzata non protegge solo la proprietà, ma la sicurezza e la privacy della persona all’interno di spazi riservati. Un furto in sagrestia, così come in altri luoghi annessi a un’abitazione o a un luogo di lavoro (come uffici, studi professionali, ecc.), viene quindi equiparato al furto in un’abitazione vera e propria, con pene significativamente più severe. Questa decisione serve come monito: la protezione della legge si estende a tutti quei luoghi in cui si svolge la vita privata, indipendentemente dal titolo di cui gode la vittima al loro interno.

Un furto commesso in una sagrestia è considerato furto in abitazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la sagrestia è qualificabile come “privata dimora” perché è un luogo funzionale ad attività private e complementari al culto, il cui accesso è selettivo e non aperto al pubblico, richiedendo il consenso di chi ne ha la disponibilità.

Perché il furto sia aggravato, è necessario che la vittima sia il proprietario del luogo?
No. La sentenza chiarisce che la nozione di privata dimora ha una natura oggettiva, che si riferisce unicamente alle caratteristiche del luogo fisico. Non è richiesto che la persona offesa dal furto coincida con il soggetto che ha la disponibilità del luogo. L’aggravante scatta perché il reato è stato commesso all’interno di quello specifico luogo protetto.

Quando il giudice può negare le circostanze attenuanti generiche senza una motivazione dettagliata?
Il giudice d’appello non è tenuto a fornire una motivazione specifica e dettagliata sul diniego delle attenuanti generiche quando l’imputato si limita a riproporre gli stessi argomenti già esaminati e respinti dal giudice di primo grado, oppure quando non adduce alcuna particolare ragione a sostegno della richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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