Furto in Privata Dimora: Anche un Immobile Disabitato è Tutelato?
La nozione di “privata dimora” è un concetto chiave nel diritto penale, specialmente quando si parla di reati contro il patrimonio come il furto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio fondamentale: per configurare il reato di furto in privata dimora, non è necessario che l’immobile sia abitato in modo continuativo. Questo caso specifico offre spunti essenziali per comprendere i confini della tutela domiciliare, anche in contesti apparentemente borderline.
I Fatti del Caso: Tentato Furto in un Immobile Conteso
Il caso ha origine dal ricorso di un imputato, condannato in primo e secondo grado per tentato furto aggravato. L’uomo aveva tentato di introdursi in un edificio che, a suo dire, non poteva essere considerato una “privata dimora” ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale.
La difesa sosteneva che l’immobile fosse di fatto in stato di abbandono, adducendo due prove principali: la dichiarazione di inagibilità dello stabile e il fatto che il proprietario avesse sbarrato porte e finestre con chiodi e tavole di legno. Secondo la tesi difensiva, queste circostanze avrebbero dovuto escludere la qualificazione del luogo come domicilio, degradando il reato a un’ipotesi di furto semplice.
La Nozione di Furto in Privata Dimora secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si allinea con un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che interpreta in modo estensivo il concetto di privata dimora. L’obiettivo della norma, infatti, non è solo proteggere la proprietà, ma soprattutto la sfera di intimità e libertà personale che si esplica in determinati luoghi.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si basano su alcuni punti cardine:
1. Irrilevanza dello stato di inagibilità: La dichiarazione di non agibilità di un immobile non è di per sé sufficiente a escluderlo dalla nozione di privata dimora. Ciò che conta è il rapporto effettivo che lega il titolare al luogo.
2. Il concetto di non abbandono: Un immobile non è considerato “abbandonato” se il proprietario mantiene con esso un legame stabile, manifestato attraverso atti che rientrano nella sua vita privata. Nel caso di specie, è emerso che il proprietario e i suoi familiari frequentavano quotidianamente la proprietà per curare il verde e gli animali domestici.
3. L’utilizzo stabilmente ricorrente: La Corte ha richiamato il principio secondo cui non è necessaria una permanenza continuativa nell’immobile. È sufficiente un suo utilizzo “stabilmente ricorrente” per lo svolgimento di attività private al riparo da intrusioni esterne. La cura di un giardino o di animali sono esempi perfetti di manifestazioni della vita privata che radicano la tutela domiciliare in quel luogo fisico.
In sostanza, la Corte ha stabilito che sigillare gli accessi non dimostra l’abbandono, ma al contrario, la volontà del proprietario di proteggere il bene e la sfera privata ad esso connessa da interferenze illecite.
Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ha conseguenze pratiche significative. Stabilisce chiaramente che la tutela penale rafforzata prevista per il furto in privata dimora si estende a tutti quei luoghi dove, anche in modo saltuario ma regolare, una persona svolge attività personali. Questo include seconde case, rustici, giardini o pertinenze, anche se non adibiti a residenza stabile. Per gli operatori del diritto e i cittadini, ciò significa che la protezione della privacy e della sicurezza personale prevale su una valutazione meramente formale dello stato dell’immobile. Un luogo frequentato per coltivare i propri hobby o interessi personali gode della stessa protezione di un’abitazione principale, perché rappresenta un’estensione della sfera privata dell’individuo.
Un immobile disabitato e dichiarato inagibile può essere considerato “privata dimora” ai fini del reato di furto?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, può essere considerato tale se non si trova in uno stato di effettivo abbandono. La qualifica di privata dimora dipende dal legame che il proprietario mantiene con il luogo, utilizzandolo per lo svolgimento di attività riconducibili alla sua vita privata, anche se non abitative.
Cosa si intende per utilizzo “stabilmente ricorrente” di un immobile?
Significa che non è necessaria la presenza continua e ininterrotta del proprietario. È sufficiente una frequentazione regolare e periodica del luogo per svolgere manifestazioni della vita privata, come la cura di un giardino, la manutenzione della proprietà o l’accudimento di animali domestici.
Il fatto che il proprietario abbia sbarrato porte e finestre di un immobile è una prova del suo abbandono?
No, al contrario. La Corte ha interpretato questa azione non come un segno di abbandono, ma come la volontà del proprietario di proteggere il bene da intrusioni esterne, rafforzando quindi l’idea che il luogo sia ancora legato alla sua sfera privata e meritevole di tutela.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3324 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3324 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a RECANATI il 21/06/1978
avverso la sentenza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RG 34890/2024 – Consigliere COGNOME – Ud. 18 dicembre 2024
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona che ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di cui agli artt. 56, 624- bis 625 n.2 cod. pen.;
Rilevato che l’unico motivo di ricorso – che deduce violazione di legge e vizi d motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto – è manifestamente infondat perché in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità in materia;
rilevato che la Corte territoriale ha adeguatamente motivato in merito all’affermazione di responsabilità dell’imputato, evidenziando come la tesi secondo cui la condotta posta in essere dal ricorrente non rientrasse nella fattispecie di cui all’art. 624b1s cod. pen. sia frutto d generica istanza difensiva, sconfessata anche dalle più recenti pronunce di questa Corte.
Sul punto, va ribadito il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittim secondo cui, ai fini della configurabilità del reato previsto all’art. 624bis cod. pen., inte nozione di privata dimora l’immobile che, seppure non abitato, debba ritenersi non abbandonato (Sez. 4, n. 27678 del 23/06/2022, Russo, Rv. 283421),
Nel caso di specie, la dichiarazione di non agibilità dello stabile e la circostanza che la p avesse “sbarrato” tutte le porte e le persiane del piano terra con chiodi e tavole di legno (pa 6 del ricorso) non risultano sufficienti per dichiarare lo stato di abbandono dello stesso, conducono ad escludere la stabilità del rapporto che lega il luogo fisico con la vita privata d titolare del diritto ed il fatto che la dimora abbia una concreta connotazione che la riconduc alla personalità del titolare (Sez. 5, n. 17954 dell’11/06/2020, COGNOME, Rv. 279207, motivazione).
Neppur si può condividere l’ipotesi difensiva secondo cui l’immobile era disabitato in modo stabile (pag. 6 ricorso), in quanto dalla dichiarazione della p.o. si evince come lo stesso foss quotidianamente frequentato dal suddetto e dai suoi familiari (si veda pag. 5 della sentenza impugnata). All’uopo, occorre richiamare il consolidato principio di questa Corte secondo cui non è necessaria ad integrare la nozione di privata abitazione la permanenza continuativa nell’immobile dell’avente diritto, essendo sufficiente un suo utilizzo “stabilmente ricorrente” lo svolgimento di manifestazioni della vita privata al riparo da intrusioni esterne (Sez. 5, 37875 del 04/07/2019. Rv. 277637), quali sono la cura del verde e degli animali domestici.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 18 dicembre 2024
Il consigliere estensore
Precidante