Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4539 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4539 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MARSALA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/11/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Marsala del 9 febbraio 2021, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui NOME era stato condannato alla pena complessiva, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione ed euro seicentocinquanta di multa in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 624 bis cod. pen..
Il NOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione di legge, deducendo di non essersi introdotto in un luogo di privata dimora con conseguente necessità di riqualificare il reato contestato in quello di cui all’art. 624 cod. pen., da ritenere non procedibile per difetto di querela.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso, va premesso che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076) e delle successive sentenze che hanno seguito tale indirizzo (Sez. 5, n. 34475 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273633; Sez. 4, n. 32245 del 20/6/2018, COGNOME, Rv. 273458), ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.
In particolare, per poter sussumere il fatto nell’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 624 bis cod. pen., devono concorrere indefettibilmente tre elementi: a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare (Sez. 4, n. 1782 del 18/12/2018, dep. 2019, COGNOME, non massimata sul punto; Sez. U, n. 31345 del 2017, cit.).
Si è altresì precisato che integra il reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen. la condotta di chi si impossessa di un ciclomotore introducendosi nel locale adibito al suo deposito, in quanto detto luogo, benché disabitato, costituisce pertinenza di una privata dimora (Sez. 5, n. 35764 del 27/03/2018, C., Rv. 273597).
Peraltro, deve intendersi “pertinenza di luogo destinato a privata dimora” ogni bene idoneo ad arrecare una diretta utilità economica all’immobile principale o, comunque, funzionalmente ad esso asservi0 e destinato al suo servizio od ornamento in modo durevole, non necessitando un rapporto di contiguità fisica tra i beni (Sez. 4, n. 50105 del 05/12/2023, Santin, Rv. 285470, relativo a fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto natura pertinenziale a un garage, al servizio dell’abitazione principale, seppur ubicato in un diverso complesso condominiale, nell’ambito del medesimo territorio comunale).
Ciò posto sui principi operanti in materia, la Corte territoriale, con motivazione lineare e coerente, ha sottolineato la correttezza della qualificazione giuridica del reato contestato, richiamando lo stato dei luoghi quale emergente dalle risultanze istruttorie e sottolineando che anche il garage costituisce luogo di svolgimento della vita privata, cui è limitato l’accesso agli estranei.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.