Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2902 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2902 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/11/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Palermo confermava la sentenza con cui il tribunale di Palermo, in data 4.12.2018, aveva condanNOME COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex artt. 624, 625, co. 1, n. 2) e n. 7), c.p., in rubrica ascrittogli, per essersi impossessato, al fine di trarne profitto, di un quantitativo di energia elettrica, pari a euro 6281,40, sottraendola alla società erogatrice del servizio, “RAGIONE_SOCIALE, commettendo il fatto con violenza sulle cose, consistita nell’avere realizzato un allaccio abusivo alla rete elettrica, e su cose destinate a pubblico servizio.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando violazione di legge, in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante, di cui all’art. 625, co. 1, n. 7), c.p., non potendosi ritenere configurabile la destinazione a pubblico servizio del bene oggetto della contestata condotta illecita.
Con requisitoria scritta del 14.7.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, essendo sorretto da motivi manifestamente infondati.
Dominante, infatti, nella giurisprudenza di legittimità è l’orientamento, condiviso dal Collegio, secondo cui la cosa destinata al pubblico servizio di cui tratta l’art. 625 n. 7 c.p. è quella la cui destinazione è per un servizio fruibile dal pubblico (cfr. Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013, Rv. 257773), sussistendo tale aggravante quando la cosa sottratta sia oggettivamente caratterizzata da un nesso funzionale all’erogazione di un pubblico servizio, quale l’erogazione di energia elettrica, che soddisfa una prevalente esigenza di pubblico interesse.
Ne consegue che, in tema di furto di energia elettrica, è configurabile l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, c.p., in caso di sottrazione mediante allacciamento abusivo ai terminali collocati in una proprietà privata, rilevando, non già l’esposizione alla pubblica fede
dell’energia mentre transita nella rete, bensì la destinazione finale della stessa a un pubblico servizio dal quale viene distolta, destinazione che comunque permane anche nella ipotesi di una tale condotta.
Sicché la circostanza aggravante di cui si discute, che, giova ricordare, rende perseguibile d’ufficio il delitto di furto anche dopo l’intervento della “Riforma Cartabia”, è configurabile in caso di sottrazione di energia elettrica mediante allacciamento abusivo e diretto alla rete esterna, indipendentemente dal fatto che tale condotta abbia arrecato effettivo nocumento alla fornitura di energia di altri utenti (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 1094 del 03/11/2021, Rv. Rv. 282543; Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, Rv. 266229).
Risulta, pertanto, ormai da tempo superato il contrario orientamento citato dall’imputato, risalente agli anni ’60 del secolo scorso (cfr. Sez. 2, n. 1393 del 15 ottobre 1965-3 gennaio 1966).
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22.9.2023.