Furto Aggravato di Beni Pubblici: Irrilevante lo Stato di Disuso
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: il furto aggravato beni pubblici. Con la recente ordinanza n. 45040/2024, i giudici hanno chiarito che la sottrazione di beni appartenenti a un ente pubblico costituisce furto aggravato anche qualora tali beni siano in disuso o temporaneamente non utilizzati. La decisione sottolinea un principio fondamentale a tutela del patrimonio dello Stato e degli enti pubblici.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un furto di materiale informatico avvenuto all’interno di un istituto scolastico. L’imputato, insieme ad altri complici, si era introdotto nella scuola dopo aver danneggiato la recinzione e si era impossessato di vari beni. A seguito delle sentenze di merito, l’uomo veniva condannato per furto, con il riconoscimento delle aggravanti di cui all’art. 625, n. 2 (violenza sulle cose) e n. 7 (cose destinate a pubblica utilità o a pubblico servizio) del Codice Penale.
Il Ricorso in Cassazione: la Tesi della Difesa
La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione contestando specificamente l’applicazione dell’aggravante relativa alla destinazione dei beni a pubblico servizio. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero errato nel considerarla sussistente, poiché il materiale informatico sottratto era in disuso e di fatto abbandonato dalla scuola. Di conseguenza, a suo dire, non poteva più considerarsi destinato a una funzione pubblica.
L’Analisi della Cassazione sul Furto Aggravato Beni Pubblici
La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, definendo il motivo di ricorso come ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno ribadito un orientamento consolidato, secondo cui l’aggravante del furto aggravato beni pubblici sussiste anche quando i beni di un ente pubblico sono in disuso, a patto che non siano stati ufficialmente dismessi secondo le procedure previste dalla legge.
Il Valore dell’Inventario Pubblico
Un elemento decisivo nella valutazione della Corte è stato il fatto che i beni sottratti, come emerso nel corso del processo e confermato dalla testimonianza del dirigente scolastico, erano ancora regolarmente iscritti nell’inventario della scuola. Questo dettaglio non è meramente formale: la registrazione in un inventario pubblico attesta che il bene fa ancora parte del patrimonio dell’ente e, potenzialmente, è ancora suscettibile di essere utilizzato o riassegnato a un servizio pubblico.
Il Principio Giuridico Applicato
La Corte ha spiegato che un bene di proprietà pubblica mantiene la sua destinazione originaria fino a quando un atto formale dell’amministrazione competente non ne sancisce la dismissione. Fino a quel momento, la semplice circostanza che il bene non sia correntemente utilizzato non ne fa venir meno la natura pubblica né la tutela rafforzata prevista dal legislatore penale.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione richiamando il principio secondo cui la destinazione a pubblica utilità di un bene non cessa per il solo fatto del suo mancato utilizzo. Per escludere l’aggravante, è necessario un atto formale di dismissione da parte dell’ente proprietario, che ne modifichi lo status giuridico. Nel caso di specie, i beni erano ancora ‘in carico’ alla scuola, come dimostrato dalla loro presenza nell’inventario. Pertanto, la loro sottrazione integra pienamente la fattispecie di furto aggravato. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile per carenza d’interesse il motivo relativo a un presunto difetto di motivazione della sentenza d’appello, poiché l’infondatezza manifesta del motivo principale rendeva inutile l’analisi di tale censura, non potendo portare alcun beneficio all’imputato.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un importante baluardo a protezione del patrimonio pubblico. Il messaggio è chiaro: non è possibile appropriarsi di beni appartenenti a enti pubblici (scuole, comuni, ospedali, ecc.) giustificandosi con il loro apparente stato di abbandono o disuso. Finché un bene è inventariato e non formalmente radiato dal patrimonio dell’ente, esso resta destinato a un fine pubblico. La decisione serve da monito, sottolineando che la legge offre una tutela rafforzata ai beni della collettività, indipendentemente dal loro stato di conservazione o utilizzo momentaneo.
È possibile commettere un furto aggravato per beni pubblici che non sono più utilizzati?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’aggravante del furto su cose destinate a pubblico servizio si applica anche se i beni sono in disuso, a meno che non siano stati ufficialmente dismessi dall’ente pubblico proprietario secondo le procedure di legge.
Cosa dimostra che un bene pubblico, anche se non usato, non è stato abbandonato?
Un elemento di prova fondamentale è la sua presenza nell’inventario ufficiale dell’ente pubblico. Finché un bene risulta ‘in carico’ all’ente, esso è considerato parte del patrimonio pubblico e destinato a un pubblico servizio, anche se non immediatamente utilizzato.
Perché un motivo di ricorso può essere dichiarato inammissibile per ‘carenza d’interesse’?
Un motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile per carenza d’interesse quando il suo eventuale accoglimento non porterebbe alcun vantaggio concreto al ricorrente. Nel caso specifico, siccome il motivo principale era palesemente infondato, l’analisi di una presunta carenza di motivazione non avrebbe comunque potuto modificare l’esito finale del giudizio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45040 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45040 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TORINO il 22/01/1999
avverso la sentenza del 29/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto da NOME COGNOME COGNOME ritenuto responsabile nelle conformi sentenze di merito del reato di cui agli artt. 624, 625 n. 2 e 7 cod. pen. perchè, in concorso con altri, si impossessava di vario materiale informatico esistente all’interno di un istituto scolastico dopo essersi ivi introdotto danneggiando la recinzione di protezione.
Rilevato che la difesa ha articolato i seguenti motivi di doglianza: violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen., per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto che il furto fosse stato commesso su beni destinati a pubblica utilità o a pubblico servizio, trattandosi di beni in disuso e abbandonati; carenza di motivazione sul punto.
Ritenuto che il motivo di ricorso è manifestamente infondato: invero, l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. ricorre anche quando i beni appartenenti ad un ente pubblico o incaricato di pubblico servizio siano in disuso fino a quando non siano disnnessi nelle forme di legge (cfr. Sez. 4, n. 8178 del 09/01/2002 Rv. 220985 – 01:”Integra il reato di furto aggravato dall’esposizione della cosa alla pubblica fede la condotta di chi si appropria di una linea ferrata in disuso, atteso che il bene resta di proprietà dello Stato indipendentemente dalla sua utilizzazione – fino a che non venga dismesso nelle forme di legge”). Nel caso di specie, si legge nella sentenza di primo grado, i beni erano inventariati e risultavano in carico alla scuola (cfr. pag. 5 sent. Tribunale); tale circostanza risulta confermata anche dal Preside dell’istituto scolastico nel corso della sua deposizione (come si evince dalla lettura del verbale, allegato al ricorso, contenente la testimonianza del Preside, il quale ha precisato, a pag. 5, che il materiale sottratto era “ancora inventariato”).
Considerato che la censura riguardante la carenza di motivazione della sentenza impugnata sul punto è inammissibile per carenza d’interesse, non potendo l’accoglimento del ricorso sortire effetti positivi per l’imputato, stante la manifesta infondatezza del rilievo proposto (Cfr. Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Rv. 263157 – 01:”In tema di impugnazioni è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che non abbia preso in considerazione un motivo di appello, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio”).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Pr;esidene