Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37149 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37149 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a SANT’AGATA DI MILITELLO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/12/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria depositata dall’AVV_NOTAIO, il quale, nell’interesse di NOME COGNOME, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 16 dicembre 2019, la Corte di appello di Messina, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza di applicazione della fungibilità ex art. 657 cod. proc. pen. proposta, nell’interesse di NOME COGNOME, in relazione al provvedimento di cumulo in data 4 ottobre 2019, con riferimento al quale il richiedente lamentava il mancato computo dei seguenti periodi di presofferto: 1) 11 mesi e 25 giorni, espiati dal 22 marzo 2007 al 17 marzo 2008 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 22 marzo 2007 nel procedimento c.d. “Montagna”; 2) 1 anno e 5 mesi, espiati dal 19 maggio 2008 al 27 luglio 2011 in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 19 maggio 2008 nel procedimento c.d. “Grifone”; 3) 2 anni e 6 mesi, espiati dal 15 gennaio 2008 al 27 ottobre 2010 in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 15 gennaio 2008 per un reato successivamente dichiarato estinto per prescrizione.
1.1. Con sentenza in data 3 marzo 2021, la Corte di cassazione aveva rilevato la violazione del principio del contraddittorio e aveva annullato con rinvio l’ordinanza in questione.
1.2. Con ordinanza del 24 novembre 2021, la Corte di appello di Messina, in sede di rinvio, aveva nuovamente rigettato l’istanza, affermando che, nel determinare la pena da eseguire, si era tenuto conto della carcerazione sofferta, pari a 3 anni, 5 mesi e 24 giorni, per i periodi trascorsi: dal 22 febbraio 2007 a 17 aprile 2010 in relazione al reato giudicato con sentenza del 27 aprile 2009;·dal 18 aprile 2010 al 27 luglio 2010, in regime di arresti domiciliari; dal 2 dicembre 2013 al 21 dicembre 2013, in regime di affidamento in prova; nonché del periodo di pena inflitta in esito al cd. procedimento “Montagna”, a partire dal 18 gennaio 2019, facendo decorrere da tale data la pena residua da espiare, determinata in 5 anni, 3 mesi e 24 giorni di reclusione.
1.3. Con sentenza del 15 settembre 2022, la Corte di cassazione annullò con rinvio l’ordinanza impugnata rilevando che essa non consentiva di stabilire se il giudice dell’esecuzione avesse verificato che la pena espianda si riferiva a un reato commesso in epoca anteriore alla precedente carcerazione. L’ordinanza, infatti, dopo aver indicato i tre periodi ai quali la richiesta difensiva era riferita (dal marzo 2007 al 17 marzo 2008, dal 19 maggio 2008 al 27 luglio 2011 e dal 15 gennaio 2008 al 27 ottobre 2010), aveva indicato, in parte narrativa, altri periodi, sicché non era possibile stabilire se la domanda fosse stata integralmente valutata.
1.4. Con ordinanza in data 11 dicembre 2023, la Corte di appello di Messina, in sede di ulteriore rinvio, ha ulteriormente rigettato l’istanza, argomentando che: i periodi di presofferto e fungibilità decorrenti dal 22 marzo 2007 al 27 luglio 2010 erano stati già interamente computati, in parte – dal 22 febbraio 2007 al 17 aprile
2010 ai fini dell’espiazione della pena per il reato di cui alla sentenza dell di appello di Messina del 27 aprile 2009, irrevocabile il 17 marzo 2010 e, in -dal 18 aprile 2010 al 27 luglio 2010 – ai fini dell’espiazione della pena inflitta pe il reato di cui alla sentenza della Corte di appello di Messina del 9 maggio 2011, irrevocabile il 19 giugno 2012. E già nel provvedimento di cumulo del 29 marzo 2019 si dava atto che il periodo dal 15 gennaio 2008 al 27 luglio 2010, pari a 2 anni e 6 mesi di reclusione espiati sine titulo a seguito dell’estinzione del reato per prescrizione, e il periodo di 9 mesi di reclusione, a seguito della rideterminazione della pena per esclusione dell’aggravante, erano stati interamente computati dal 22 febbraio 2007 al 17 aprile 2010 (per 3 anni, 1 mese e 24 giorni) per la sentenza del 27 aprile 2009, e dal 18 aprile 2010 al 27 luglio 2010 (per 3 mesi e 10 giorni) per la sentenza del 19 aprile 2010. Inoltre, si è osservato che NOME è stato detenuto a diverso titolo, sia in espiazione di pena definitiva, sia in esecuzione di misura cautelare per fatti per i quali non ha riportato condanna definitiva; e che la computabilità degli stati detentivi sofferti per più titoli può rilevare ai soli del computo della durata massima della custodia cautelare e non anche ai fini della espiazione della pena. In caso contrario, infatti, lo stesso periodo di custodia cautelare sofferto in forza di diverse ordinanze sarebbe imputato a più titoli definitivi.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 623, comma 1, lett. a), 627, comma 3 e 628 cod. proc. pen., per non avere la Corte di appello proceduto alla verifica richiesta dalla sentenza rescindente in ordine al fatto che l’espiazione della pena sine titulo, da detrarre dal cumulo, fosse avvenuta in data successiva alla commissione del reato per il quale doveva essere determinata la pena da eseguire; nonché la motivazione inesistente in relazione alle ragioni del rigetto della richiesta, pur essendo provato che, dal 15 gennaio 2008 al 27 luglio 2010, COGNOME sarebbe stato ristretto in carcere per il reato di cui agli artt. 110-611 cod. pen., dichiarato estinto per prescrizione e commesso successivamente al reato (dal 25 marzo 2003 al 22 marzo 2007) di cui alla sentenza n. 34/2017, irrevocabile il 17 gennaio 2019, in virtù della quale doveva essere determinata la pena espianda.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 657, comma 4, cod. proc. pen., a mente del quale sono computate soltanto la custodia
cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire. Tale condizione ricorrerebbe nel caso di specie, laddove il computo eseguito dalla Corte di appello ribadirebbe quello già effettuato, omettendo di valutare la detenzione in carcere sine titulo, pari a 2 anni e 6 mesi, eseguita in relazione al reato di cui agli artt. 110-611 cod. pen. (Op. Giglia), dichiarato estinto per prescrizione. L’assunto della Corte di appello sarebbe «ultroneo e inconducente», ai fini del presente giudizio, posto che esso troverebbe fondamento nell’art. 297 cod. proc. pen., mentre la richiesta di fungibilità rientrerebbe nell’alveo dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen.
In data 14 marzo 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
In data 23 aprile 2024 è pervenuta una memoria a firma dell’AVV_NOTAIO, quale difensore di fiducia di COGNOME, con la quale si deduce che anche la nuova ordinanza dei Giudice dell’esecuzione ometterebbe di verificare se la espiazione sine titulo della pena da parte del richiedente sia avvenuta in epoca successiva alla data di commissione del reato per il quale doveva essere determinata la pena da eseguire.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., la pena che, a seguito della emissione di determinati provvedimenti, risulti sofferta in eccesso, va detratta dalla pena che deve essere espiata in forza di una successiva esecuzione, a condizione che quest’ultima si riferisca a un reato commesso anteriormente all’inizio della precedente carcerazione.
Come evidenziato in sede rescindente, dunque, è necessario verificare, in sede di esecuzione, se la pena espianda si riferisca a un reato commesso in epoca anteriore alla precedente carcerazione. In caso positivo, si deve detrarre dalla pena in espiazione quella porzione di pena che risulti precedentemente espiata in eccesso; e solo nell’ipotesi di esito negativo della suddetta verifica, si deve, invece, negare la fungibilità delle pene.
Nel caso di specie, se è corretta la deduzione difensiva con la quale viene rilevata la mancata indicazione dell’epoca di commissione del reato, rilevante per verificare se fosse stato realizzato prima o dopo la carcerazione di cui si chiede la
deduzione, non può non rilevarsi che l’ordinanza impugnata ha, comunque, espressamente affermato che il periodo di detenzione indicato come sine titulo nella richiesta della difesa di COGNOME (dal 22 marzo 2007 al 27 luglio 2010) era stato integralmente computato al fine di stabilire la pena residua da espiare. Ciò anche in ragione del fatto che taluni periodi oggetto della richiesta si riferivano, realtà, a titoli detentivi che avevano trovato contemporanea esecuzione, sicché non poteva in ogni caso procedersi al reiterato computo, ai fini della fungibilità, d uno stesso periodo di custodia cautelare, che in quel modo sarebbe stato imputato a più titoli definitivi.
Tale assunto, chiaramente decisivo ai fini della valutazione sulla fondatezza della richiesta di riconoscimento della fungibilità, non è stato fatto oggetto d specifiche deduzioni contrarie, di tal che la pur corretta osservazione difensiva non riesce ad intaccare il nucleo della decisione, rimasto sostanzialmente incontestato; ciò che, conclusivamente, non consente di accedere alle censure dedotte con il ricorso.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 10 maggio 2024
Il Consigliere estensore
GLYPH Il Presidente