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Frode in commercio: data di scadenza alterata basta?

Un amministratore di un’azienda alimentare è stato condannato per tentata frode in commercio per aver detenuto riso con una doppia data di scadenza, una originale scaduta e una italiana successiva. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, chiarendo che, sebbene la mera detenzione in magazzino non sia reato, in questo caso le dichiarazioni contraddittorie dell’imputato e altri elementi oggettivi dimostravano in modo inequivocabile l’intenzione di vendere la merce avariata.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Frode in Commercio: Quando la Sola Detenzione di Merce Scaduta è Reato?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 46542 del 2024, offre un’importante lezione sulla frode in commercio, specificando i confini tra la semplice detenzione di merce in magazzino e il tentativo penalmente rilevante. Il caso riguarda un amministratore di una società di importazione di generi alimentari, condannato per aver alterato la data di scadenza su centinaia di confezioni di riso. La decisione chiarisce che non è la mera presenza del prodotto a contare, ma il complesso degli indizi che ne rivelano la destinazione alla vendita.

I Fatti del Caso

Durante un controllo presso una società di commercio all’ingrosso di alimenti, venivano rinvenute centinaia di confezioni di riso stoccate in una cella frigorifera. La particolarità risiedeva nella doppia etichettatura: ogni confezione riportava la data di scadenza originale in inglese, già passata da oltre un anno (Giugno 2016), e una nuova etichetta in italiano con una data di scadenza futura (Marzo 2018).

L’amministratore della società forniva due versioni dei fatti del tutto contrastanti. In un primo momento, sosteneva si trattasse di un mero errore di etichettatura, innocuo poiché l’etichetta originale in inglese era ancora visibile. Successivamente, cambiava versione, affermando che la merce era destinata allo smaltimento proprio perché scaduta e che avrebbe dovuto trovarsi su un bancale con un cartello “Merce scaduta”, cartello mai rinvenuto dagli inquirenti.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Milano lo condannavano per tentata frode in commercio al pagamento di una multa.

La Decisione della Corte sulla Frode in Commercio

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato, confermando la condanna. Il punto centrale della difesa era che la semplice detenzione in magazzino, senza un’esposizione al pubblico, non potesse configurare il tentativo di reato, come stabilito in passato anche dalle Sezioni Unite.

Tuttavia, i giudici hanno chiarito che il caso in esame presentava elementi che andavano ben oltre la “mera presenza della merce all’interno del deposito”. La decisione si è fondata su un complesso di elementi oggettivi che, letti insieme, hanno dimostrato in modo inequivocabile l’intenzione di destinare i prodotti alla vendita.

Il Principio delle Sezioni Unite e la sua Applicazione

La Corte ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite (n. 28/2000), secondo cui il tentativo di frode è configurabile quando l’esercente espone o offre al pubblico prodotti con etichette alterate. Al contrario, il tentativo non sussiste se i prodotti sono semplicemente detenuti in un deposito, perché manca l’univocità degli atti diretti alla vendita. In questo caso, però, la Corte ha ritenuto che tale univocità fosse stata provata attraverso altri elementi.

Le Motivazioni: Oltre la Semplice Detenzione

La motivazione della sentenza è cruciale per comprendere la decisione. I giudici hanno sottolineato come la responsabilità non si fondasse sulla sola giacenza del riso in magazzino, ma su un insieme di prove logiche e fattuali:

1. Contraddittorietà delle Dichiarazioni: L’imputato ha fornito due giustificazioni inconciliabili. La prima (errore di etichettatura) implicava una possibile destinazione alla vendita; la seconda (merce da smaltire) la escludeva. Questa palese contraddizione ha minato la credibilità della difesa.
2. Inverosimiglianza della Versione dello Smaltimento: La tesi della merce destinata alla distruzione è stata ritenuta illogica. Perché conservare per oltre un anno prodotti scaduti? Inoltre, l’assenza del cartello “Merce scaduta”, che secondo l’imputato era “volato via”, è apparsa come un debole tentativo di giustificazione.
3. Idoneità all’Inganno: La Corte ha respinto l’idea che la doppia etichetta non potesse ingannare nessuno. Operando in Italia, era del tutto verosimile che il prodotto venisse offerto sul mercato nazionale, dove i consumatori avrebbero fatto affidamento sull’etichetta in lingua italiana, ignorando quella in inglese.

Questi elementi, considerati nel loro insieme, hanno permesso alla Corte di concludere che la merce era effettivamente destinata alla vendita e che l’alterazione dell’etichetta costituiva un atto idoneo e diretto in modo non equivoco a commettere una frode.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Operatori Commerciali

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per tutti gli operatori del settore alimentare e commerciale: la gestione dei prodotti scaduti deve essere trasparente e inequivocabile. Non è sufficiente accantonare la merce in un angolo del magazzino; è necessario adottare procedure chiare e documentabili per lo smaltimento, al fine di evitare che una situazione ambigua possa essere interpretata come un tentativo di frode. Le dichiarazioni rese in fase di controllo possono avere un peso determinante: la coerenza e la verosimiglianza delle proprie giustificazioni sono essenziali per dimostrare la propria buona fede.

La semplice detenzione in magazzino di prodotti con data di scadenza alterata costituisce tentativo di frode in commercio?
No, la semplice detenzione non è sufficiente. Secondo la sentenza, che richiama un principio delle Sezioni Unite, il reato di tentativo di frode in commercio non è configurabile se i prodotti sono semplicemente detenuti in un deposito senza essere esposti o offerti al pubblico, poiché manca il requisito dell’univocità degli atti diretti alla vendita.

Cosa ha reso, in questo caso specifico, la condotta un tentativo di reato punibile?
La condanna si è basata su un complesso di elementi oggettivi che, uniti, hanno dimostrato l’intenzione di vendere la merce. In particolare, le dichiarazioni contraddittorie dell’imputato (che prima ha parlato di un errore di etichettatura e poi di merce da smaltire) e l’inverosimiglianza della versione dello smaltimento (data la lunga giacenza della merce scaduta e l’assenza di prove come un cartello “merce scaduta”).

Le dichiarazioni contraddittorie dell’imputato possono essere usate come prova contro di lui?
Sì. Nel caso esaminato, la Corte ha considerato l’inconciliabilità delle due versioni fornite dall’imputato (prima, un errore che non avrebbe ingannato nessuno; poi, merce destinata allo smaltimento) come un elemento chiave per accreditare, al contrario, la destinazione alla vendita e quindi l’intenzione fraudolenta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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