Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30538 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30538 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA nei confronti di:
NOME nato a REGGIO CALABRIA il 15/03/1986 avverso l’ordinanza del 15/04/2025 del TRIBU A LE. GLYPH di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio; tetre. ~cm of GLYPH ve. 44P’. t’tétuys., GLYPH cLA. — GLYPH , GLYPH(tt), Z-/oc /2s-IAL ‘. c410 1 125,
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari reali, ha annullato il decreto emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 13 febbraio 2025, che aveva disposto il sequestro preventivo in via diretta della somma di euro 2345,40 ritenuta profitto del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (ed, in particolare, dell’Agenz delle Entrate), commesso attraverso, come si legge nella contestazione, artifici e raggiri consistiti nell’inserimento di dichiarazioni fiscali mod. 730 con indicazione di elementi
fittizi e inveritieri quali crediti parzialmente o totalmente inesistenti, ritenute inesistenti e redditi inesistenti o incoerenti.
In particolare, con riferimento all’indagato, si era trattato della presentazione di modello Persone Fisiche relativo all’anno di imposta 2017 nel quale risultava un inesistente credito di imposta per spese sanitarie di euro 3909,00 indebitamente rimborsato (capo 180 della imputazione provvisoria).
La condotta specifica, secondo l’ipotesi accusatoria, si inseriva all’interno di una ampia vicenda illecita gestita in forma organizzata e tendente ad ottenere dalla Agenzia delle Entrate, attraverso centinaia di dichiarazioni fraudolente singolarmente al di sotto di euro 4000 al fine di evitare controlli, indebiti rimborsi o detrazioni per diverse centinaia migliaia di euro complessivi.
Il Tribunale ha qualificato il fatto ai sensi dell’art. 4 d.lgs. 74/2000 (dichiaraz infedele), ritenendo che la condotta fosse consistita “nell’indicare fittiziamente element attivi o passivi non sussistenti o nell’indicare falsamente i presupposti per accedere a detrazioni fiscali non spettanti” (fg. 4 del provvedimento impugnato).
E’ stata esclusa la riconducibilità del fatto al reato di truffa aggravata in quanto non so stati ravvisati ulteriori artifici o raggiri diversi dalle indicazioni non veritiere co nella dichiarazione dei redditi, né rimborsi o altri emolumenti non dovuti indipendenti da quanto discendente dalla dichiarazione infedele.
A supporto delle sue conclusioni, il Tribunale ha citato la giurisprudenza di legittimità ch ha ritenuto sussistente un rapporto di specialità tra il reato tributario in materia di fr fiscale e quello di truffa aggravata ai danni dello Stato, precisando che, nelle rilevat condizioni, in ogni caso, la condotta, quand’anche ritenuta fraudolenta, configurerebbe il reato di cui all’art. 3 d.lgs. 74/2000.
L’annullamento del sequestro e la conseguente restituzione dei beni, infine, è stata giustificata dal fatto che la violazione fiscale commessa dall’indagato si era attestata valori sotto la soglia di legge, prevista sia dall’art. 4 che dall’art. 3 d.lgs. 74/2000 conseguente venir meno del fumus del reato contestato, considerazione assorbente rispetto al vizio motivazionale del provvedimento genetico, pure rilevato dal Tribunale, per quanto inerente al periculum in mora.
Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, deducendo:
1) violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto.
Pur mostrando di condividere il medesimo principio di diritto richiamato dal Tribunale a proposito del rapporto di specialità tra gli artt. 3 e 4 del d.lgs. 74/2000 ed il reato di t il ricorrente censura il provvedimento impugnato, da un lato, per non avere valutato tutte le condotte ulteriori, costituenti artifici e raggiri idonei a configurare la truffa, dive quelle relative alla sola dichiarazione infedele o fraudolenta; dall’altro, per non ave
valorizzato la circostanza che parte del profitto ottenuto dall’indagato doveva essere versato alla struttura associativa illecita, che lo stesso Tribunale aveva evidenziato i sintonia con l’imputazione provvisoria, così non potendosi ritenere che il fine della condotta fosse soltanto quello della evasione fiscale e non anche quello di arricchire il sodalizio criminale, che così conseguiva profitti ulteriori e di gran lunga superiori alle sogl previste dai reati tributari.
Tali ulteriori condotte decettive organizzate, costituenti il presupposto della condotta de singolo indagato, atomisticamente considerata dal Tribunale, sono state elencate dal ricorrente ai fgg. 6 e 7 del ricorso (creazione di profili falsi di operatori accreditati p i CAF con caricamento nei sistemi informatici di dati non veritieri, creazione di false sed di CAF e false identità digitali, utilizzo non autorizzato di credenziali di soggetti terzi e 2) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del periculum in mora.
Il Tribunale avrebbe errato nel non rapportarsi al profitto complessivo ottenuto in relazione alla posizione di 125 indagati, pari ad oltre 400 mila euro, adottando una motivazione rapportata al sequestro impeditivo e non a quello in esame siccome finalizzato alla confisca e travisando il contenuto del provvedimento genetico che, invece, conteneva ampia e tutt’altro che apparente motivazione al riguardo, volta a valorizzare l’ampio e duraturo contesto illecito nel quale la singola condotta di ciascun indagato, costituente uno o più reati-fine rispetto a quello associativo, andava ad inserirsi, ferm restando che, ad avviso del ricorrente, il decreto del primo giudice aveva anche individualizzato la portata dell’esigenza cautelare in relazione ad ogni singolo indagato, secondo quanto riprodotto ai fgg. 11 e segg. del ricorso, trasfondendo parti del provvedimento genetico ritenute di interesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
Le Sezioni unite, seppur con riguardo alle differenti fattispecie di cui agli artt. 2 e 8 d n. 74 del 2000, hanno ritenuto esistente un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici tributarie e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato «in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’otteniment pubbliche erogazioni” (Sez. U, n. n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865-01).
Si tratta di un principio che sancisce una linea di demarcazione tra l’ambito applicativo delle fattispecie a connotazione truffaldina e le norme incriminatrici di carattere fiscale
Il profitto avuto di mira e conseguito dall’indagato coincide, infatti, con quello fisc costituito, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett.
d)
d.lgs n. 74 del 2000, anche dal fine di
ottenere un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta, il cui perseguimento è posto come scopo della condotta tipica.
Né vale, in questa sede, al fine di superare l’obiezione costituita dall’assenza di un autonomo disvalore dell’ipotizzata truffa, fare riferimento all’ottenimento di un profit
ulteriore quale “prezzo del servizio illecito” reso, in quanto, al di là del rilievo che si di profilo di merito che appare dotato di novità e non sottoposto alla cognizione del
Tribunale per il riesame, tale “vantaggio” nulla aggiungerebbe all’indebito rimborso, trattandosi di una ripartizione
pro-quota tra i concorrenti di quell’unico profitto ricavato
dalla condotta decettiva eziologicamente riferibile al reato tributario.
Analogamente può osservarsi a proposito della riconducibilità alla struttura associativa degli illeciti profitti derivanti dai reati fiscali, in quanto fattispecie di reato che non
fondante la domanda cautelare, posto che la somma sequestrata è specificamente riferita al profitto illecito della contestata truffa di cui al capo 180) della rubrica provvisoria.
Infine, va osservato come le modalità della condotta truffaldina, per come indicate nell’imputazione provvisoria, nulla aggiungano a quella decettiva, in quanto si richiamano quelle strumentali all’indicazione nelle dichiarazioni annuali degli elementi passiv inesistenti in forza dei quali si mira ad ottenere l’indebito rimborso da parte dell’Erario.
Alla luce delle considerazioni svolte, va rigettato il ricorso del Pubblico ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso, il 15 luglio 2025.