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Frode fiscale e truffa: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30538/2025, ha rigettato il ricorso di un Pubblico Ministero, confermando l’annullamento di un sequestro preventivo. Il caso riguardava una presunta truffa ai danni dello Stato tramite una dichiarazione dei redditi infedele. La Corte ha stabilito che, in assenza di artifici e raggiri ulteriori rispetto alla mera presentazione della dichiarazione non veritiera, si applica la normativa speciale sulla frode fiscale e non quella generale sulla truffa. Poiché l’importo evaso era inferiore alla soglia di punibilità prevista per il reato tributario, il sequestro è stato ritenuto illegittimo.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Frode Fiscale e Truffa Aggravata: i Confini secondo la Cassazione

La distinzione tra frode fiscale e truffa aggravata ai danni dello Stato è una questione complessa che spesso impegna le aule di giustizia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 30538 del 2025, offre un importante chiarimento, ribadendo il cosiddetto ‘principio di specialità’ che regola il rapporto tra queste due fattispecie di reato. La pronuncia analizza il caso di un’indebita percezione di un rimborso fiscale ottenuto tramite una dichiarazione dei redditi non veritiera, inserita in un contesto criminale più ampio.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’indagine su una vasta rete criminale dedita all’ottenimento di indebiti rimborsi fiscali. Un contribuente, coinvolto in tale rete, aveva presentato un modello 730 per l’anno d’imposta 2017, indicando un credito d’imposta inesistente per spese sanitarie, ottenendo così un rimborso di circa 2.345 euro. Il Giudice per le Indagini Preliminari, ritenendo configurato il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, aveva disposto il sequestro preventivo della somma.

Successivamente, il Tribunale del Riesame, adito dalla difesa, aveva annullato il provvedimento. I giudici avevano riqualificato il fatto non come truffa, ma come ‘dichiarazione infedele’ (art. 4, D.Lgs. 74/2000). Poiché l’importo in questione era al di sotto delle soglie di punibilità previste dalla legge per tale reato tributario, il Tribunale aveva concluso per l’insussistenza del fumus delicti, ovvero della parvenza di reato, facendo venir meno il presupposto per il sequestro.

Contro questa decisione, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso in Cassazione.

Il Ricorso del PM e il confine con la frode fiscale

Il Pubblico Ministero ha contestato la decisione del Tribunale del Riesame su due fronti:

1. Errata qualificazione giuridica: Secondo l’accusa, il Tribunale aveva valutato la condotta del singolo in modo isolato, senza considerare il contesto associativo e organizzato. La creazione di profili falsi presso i CAF, l’uso di identità digitali fittizie e di credenziali di terzi costituivano, a detta del PM, quegli ‘artifici e raggiri’ ulteriori rispetto alla mera dichiarazione mendace, idonei a configurare il più grave reato di truffa.
2. Vizio di motivazione: Il ricorrente lamentava che il Tribunale non avesse considerato il profitto complessivo dell’intera organizzazione criminale (oltre 400.000 euro), limitandosi a valutare il modesto importo ottenuto dal singolo indagato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Il ragionamento dei giudici supremi si fonda sul consolidato principio di specialità, già sancito dalle Sezioni Unite (sent. ‘Giordano’ n. 1235/2011).

Secondo questo principio, le norme penali tributarie, che puniscono specificamente le condotte fraudolente finalizzate all’evasione fiscale, sono speciali e quindi prevalgono sulla norma generale che punisce la truffa aggravata ai danni dello Stato.

La Cassazione ha chiarito che qualsiasi condotta fraudolenta diretta all’evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno della normativa tributaria speciale. Si può configurare il concorso con la truffa solo se dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto alla mera evasione fiscale, come ad esempio l’ottenimento di pubbliche erogazioni non collegate a un rimborso d’imposta.

Nel caso di specie, la Corte ha osservato che tutte le attività illecite descritte dal PM (creazione di false sedi CAF, uso di credenziali altrui, etc.) erano puramente strumentali e finalizzate a un unico obiettivo: presentare una dichiarazione dei redditi infedele per ottenere un indebito rimborso. Non è stato ravvisato alcun profitto aggiuntivo o diverso dal risparmio d’imposta. Pertanto, la condotta rientra a pieno titolo nell’ambito dei reati tributari e non in quello della truffa.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un punto fondamentale: la presentazione di una dichiarazione fiscale non veritiera, anche se supportata da un’organizzazione complessa, integra di norma un reato tributario e non una truffa. Affinché si configuri quest’ultimo, più grave reato, è necessario che l’autore ponga in essere una condotta ingannatoria ulteriore, distinta dalla semplice menzogna dichiarativa e finalizzata a ottenere un vantaggio patrimoniale che non sia un mero risparmio fiscale o un indebito rimborso. Questa pronuncia fornisce quindi un criterio chiaro per distinguere i confini tra la frode fiscale e la truffa, garantendo la corretta applicazione del principio di specialità.

Quando una dichiarazione dei redditi falsa integra il reato di truffa aggravata invece di un reato tributario?
Secondo la Corte di Cassazione, si configura la truffa aggravata solo quando la condotta fraudolenta produce un profitto ulteriore e diverso rispetto al mero risparmio d’imposta o all’indebito rimborso. La sola presentazione di una dichiarazione falsa, anche se supportata da artifici, rientra nei reati tributari speciali.

Cosa stabilisce il principio di specialità tra reati tributari e truffa?
Il principio di specialità stabilisce che le norme specifiche sui reati tributari (come la dichiarazione fraudolenta o infedele) prevalgono sulla norma generale della truffa ai danni dello Stato, quando la condotta è finalizzata esclusivamente a evadere le imposte.

Perché nel caso esaminato è stato annullato il sequestro preventivo?
Il sequestro è stato annullato perché il Tribunale ha riqualificato il fatto da truffa a ‘dichiarazione infedele’. Poiché l’importo del presunto profitto (l’indebito rimborso) era inferiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge per quel reato tributario, è venuto meno il fumus delicti, cioè il presupposto legale per mantenere la misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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