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Frode commerciale: l’uso di ‘tipo Parma’ è reato

Un imprenditore è stato condannato per frode commerciale per aver venduto prosciutto descritto come “tipo Parma” pur non essendo l’autentico prodotto DOP. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, stabilendo che l’uso di tale locuzione ingannevole è sufficiente per configurare il reato, indipendentemente da una richiesta specifica del compratore, poiché lede la correttezza degli scambi commerciali e la fiducia dei consumatori. La sentenza è stata annullata con rinvio solo per una nuova valutazione sulle attenuanti generiche.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Frode Commerciale: Vendere “Tipo Parma” è Reato? La Cassazione Risponde

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: la frode commerciale legata alla vendita di prodotti alimentari con denominazioni che evocano marchi di qualità, come le DOP. Il caso specifico riguardava la commercializzazione di prosciutto crudo definito “tipo Parma” pur non possedendo le caratteristiche e la certificazione del noto prodotto a denominazione di origine protetta. La pronuncia chiarisce i confini del reato, sottolineando come la tutela penale si estenda alla lealtà del mercato e alla fiducia dei consumatori, prima ancora che all’accordo specifico tra venditore e acquirente.

I Fatti del Caso: La Vendita del Prosciutto Contestato

Un imprenditore veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di frode nell’esercizio del commercio (artt. 515 e 517 c.p.). L’accusa era di aver venduto del prosciutto crudo presentandolo come “tipo Parma”, consegnando di fatto ai clienti un bene di qualità diversa e inferiore rispetto a quello che la denominazione lasciava intendere, in violazione della normativa a tutela della DOP “prosciutto di Parma”. L’imprenditore, ritenendo ingiusta la condanna, decideva di ricorrere in Cassazione, affidandosi a diversi motivi di impugnazione.

La frode commerciale e i motivi del ricorso

La difesa dell’imputato si articolava su più punti critici. In primo luogo, si sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel considerare irrilevante l’effettivo contenuto della contrattazione con l’acquirente. Secondo il ricorrente, per configurare il reato sarebbe stato necessario provare che il cliente avesse specificamente richiesto il prodotto DOP.

Altri motivi di ricorso vertevano sulla presunta illogicità della motivazione, sulla mancata valutazione di prove che avrebbero dimostrato l’estraneità dell’imputato nella gestione degli ordini e sulla presunta esistenza di una prassi commerciale che utilizzava l’espressione “tipo Parma” in modo non ingannevole. Infine, la difesa contestava il diniego delle attenuanti generiche, sostenendo che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente motivato la sua decisione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili quasi tutti i motivi di ricorso, confermando la solidità dell’impianto accusatorio e la correttezza della decisione dei giudici di merito. L’unico punto accolto è stato quello relativo alla motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.

Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente a tale aspetto, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione. Per tutto il resto, il ricorso è stato respinto, con condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali della parte civile.

Le motivazioni

Il cuore della sentenza risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha respinto le argomentazioni difensive. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale in materia di frode commerciale: il bene giuridico protetto non è solo l’interesse patrimoniale del singolo acquirente, ma la lealtà e la correttezza degli scambi commerciali nel loro complesso.

La Tutela della Lealtà Commerciale

La Corte ha chiarito che l’articolo 515 c.p. sanziona pratiche commerciali ingannevoli che minano la fiducia dei consumatori e l’integrità del mercato. L’obiettivo della norma è garantire che le transazioni avvengano in modo onesto. In questo quadro, l’uso di una locuzione come “tipo Parma” è di per sé ingannevole, poiché evoca un prodotto con specifiche qualità garantite da un marchio DOP, inducendo in errore l’acquirente medio.

L’irrilevanza della Richiesta Specifica del Cliente

Coerentemente con la tutela della fede pubblica, la Cassazione ha affermato che, per la configurazione del reato, è irrilevante accertare se tra le parti fosse intervenuta una pattuizione specifica sulla vendita del prodotto DOP. L’inganno si realizza con la semplice messa in commercio di un prodotto con una denominazione fallace, a prescindere dalla richiesta esplicita del compratore. Questo perché la norma protegge un interesse pubblico e indisponibile, che non può essere vanificato dal consenso o dalla disattenzione del singolo.

La Questione delle Attenuanti Generiche

L’unico motivo accolto riguardava il diniego delle attenuanti generiche. La difesa aveva chiesto il riconoscimento di tali attenuanti evidenziando che l’imputato aveva ritirato la merce dal commercio subito dopo la contestazione dei fatti. La Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta con una motivazione definita dalla Cassazione “carente e apodittica”, in quanto basata sulla mera affermazione di assenza di elementi positivi, senza una reale specificazione. Su questo punto, sarà necessario un nuovo giudizio.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di frode commerciale e tutela delle denominazioni di origine. Per gli operatori del settore, il messaggio è chiaro: l’utilizzo di termini che evocano prodotti certificati, anche se accompagnati da specificazioni come “tipo” o “uso”, è una pratica ad alto rischio penale se il prodotto venduto non possiede le caratteristiche garantite dal marchio. La lealtà commerciale e la trasparenza verso il consumatore sono valori che l’ordinamento protegge con forza, sanzionando chiunque tenti di sfruttare la notorietà di marchi di qualità per vendere prodotti differenti.

Per commettere frode commerciale è necessario che il cliente chieda esplicitamente un prodotto con una specifica denominazione di origine (es. DOP)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il reato si configura a prescindere da una pattuizione specifica tra le parti. È sufficiente che il venditore consegni un prodotto diverso per qualità, origine o provenienza da quello dichiarato, poiché il bene tutelato è la lealtà degli scambi commerciali e la fiducia dei consumatori in generale.

L’uso di espressioni come “tipo Parma” per un prodotto che non ha la certificazione è considerato ingannevole?
Sì. La Corte ha stabilito che l’uso della locuzione “tipo Parma” costituisce un inganno decettivo nei confronti dell’acquirente, in quanto evoca le qualità di un prodotto a denominazione di origine protetta, inducendo il consumatore in errore sulla reale natura del bene acquistato.

Il ritiro della merce contestata dal commercio può influenzare la pena?
Sì, può essere un elemento rilevante per il riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza proprio perché i giudici d’appello non avevano motivato in modo adeguato il rigetto della richiesta di attenuanti basata sull’avvenuto ritiro della merce, ritenendo la loro decisione carente e apodittica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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