Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26521 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26521 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Melito di Porto Salvo il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 10-07-2023 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 luglio 2023, la Corte di appello di Milano confermava la decisione emessa dal Tribunale di Milano il 15 luglio 2020, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 2 (capo 1) e (capo 2) del d. Igs. n. 74 del 2000, reati a lui contestati per avere, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, indicato nella dichiarazione relativa all’anno 2014, elementi passivi fittizi per l’ammontare di euro 485.000, con iva evasa pari a 106.700 euro, avvalendosi della fattura n. 4 del 23 aprile 2014 relativa a un’operazione soggettivamente inesistente (capo 1), indicando altresì ulteriori elementi passivi inesistenti, non risultanti dal registro iva d fatture di acquisto, per 4.510.434 euro, con Iva evasa pari a 681.782 euro; fatti commessi in Milano il 22 dicembre 2015.
Veniva altresì confermata la statuizione del primo giudice, con cui era stata disposta la confisca della somma di 788.482 euro, pari al profitto del reato.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, COGNOME, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto ai reati a lui ascritti, osservando che la Corte territoriale omesso di considerare gli elementi probatori di segno contrario, idonei a fornire una ricostruzione alternativa del fatto e a escludere il presupposto oggettivo RAGIONE_SOCIALE contestazioni, ovvero l’asserita non effettività della società RAGIONE_SOCIALE; in particolare, non sarebbe stato spiegato dai giudici di merito il motivo per cui le due fatture n. 3 del 23 aprile 2014 e n. 93 del 16 luglio 2014 non possono acquisire valore probatorio ai fini della dimostrazione della liceità RAGIONE_SOCIALE operazioni compiute, né sarebbe stato chiarito come i macchinari professionali alienati possano ritenersi estranei all’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE, quando è la stessa visura camerale a contemplare la possibilità della compagine di commercializzare anche macchinari di grosso taglio destinati appunto alla lavorazione dei materiali edili. Parimenti apodittici sono risultati poi i richiami al luogo di partenza della merce, alla mer coincidenza soggettiva tra il rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE, tale COGNOME, e la condizione del medesimo di socio della società austriaca RAGIONE_SOCIALE, oltre che alla mancata indicazione della ragione sociale della società sul citofono, non essendosi tenuto che la società gestita dall’imputato si era trasferita a Londra.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa innanzitutto del discostamento della pena dal minimo edittale, risultando improprio il richiamo della sentenza impugnata alla gravità del fatto, come desunta dallo schema triangolare adoperato, essendo tale schema insito nella natura dei delitti contestati, che implicano una pluralità di soggetti e
segmenti di azione tra loro combinati. Si contesta altresì il diniego RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche, non avendo tenuto conto la Corte territoriale non solo della condizione di incensurato di COGNOME, ma anche del suo corretto contegno collaborativo, atteso che l’imputato, pur rimasto assente nel processo, ha comunque contribuito alla ricostruzione dei fatti addebitatigli, fornendo, tramite un proprio delegato, l documentazione richiesta, il che avrebbe meritato un positivo apprezzamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato non presenta alcun vizio di legittimità.
Ed invero la Corte di appello, nel richiamare e nello sviluppare le considerazioni del primo giudice, ha richiamato gli accertamenti svoli dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Milano a seguito della segnalazione trasmessa nel dicembre 2014 dall’Amministrazione finanziaria austriaca, riguardante la vendita di due macchinari dalla società italiana RAGIONE_SOCIALE, di cui NOME COGNOME era legale rappresentante, alla società austriaca RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, gli Operanti chiedevano al soggetto delegato da COGNOME, NOME COGNOME, l’esibizione della documentazione relativa ai rapporti commerciali intrattenuti dalla RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE.
Il 20 febbraio 2015 veniva tuttavia prodotta solo una parte della documentazione richiesta, da cui si evinceva che le transazioni tra le due società erano riconducibili a un’unica operazione di compravendita di macchinari, avendo la RAGIONE_SOCIALE annotato sulla scheda contabile della RAGIONE_SOCIALE la cessione in data 16 luglio 2014, risultando al 31 dicembre 2014 una posizione creditoria per l’importo di 800.640 euro. Nelle schede contabili di entrambe le società, il credito e il debito figuravano interamente non pagati, non venendo prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE alcuna documentazione circa le concrete modalità di pagamento.
Peraltro, esaminando gli atti disponibili, gli accertatori verificavano che i ben oggetto della cessione erano confluiti in un’operazione triangolare che coinvolgeva anche una terza società, ossia la RAGIONE_SOCIALE, nel senso che vi erano state due operazioni di vendita, la prima, attestata dalla fattura n. 4 del 23 aprile 2014, tra RAGIONE_SOCIALE, alienante, e la RAGIONE_SOCIALE, acquirente, avente ad oggetto una macchina presagomatrice e una macchina da taglio marchio Ceasar, per un corrispettivo, al netto dell’iva, pari a 485.000 euro, e la seconda, rappresentata nella fattura n. 93 del 16 luglio 2014, con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva rivenduto i macchinari in questione, per un importo di 800.640 euro, alla società austriaca RAGIONE_SOCIALE, avendo l’operazione di acquisto da RAGIONE_SOCIALE prodotto
un’Iva a credito pari a 106.700 euro, mentre la correlativa vendita a RAGIONE_SOCIALE era esente da Iva, trattandosi di cessione intracomunitaria non imponibile.
Dunque, la fattura n. 4 del 23 maggio 2014, emessa da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima annotata in contabilità ai fini RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali, è risultata relativa a un’operazione inesistente che aveva generato un indebito vantaggio fiscale per la RAGIONE_SOCIALE, consentendole di detrarre l’Iva sull’acquisto dei macchinari in conseguenza della non imponibilità della cessione intracomunitaria, per cui l’RAGIONE_SOCIALE ha disconosciuto la gran parte dell’importo indicato dalla RAGIONE_SOCIALE nella dichiarazione Iva 2015 per l’imposta 2014 quale Iva detraibile per acquisti e importazioni, per complessivi euro 1.146.576, in ragione dell’omessa documentazione dei presupposti per la detrazione ex art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972. Sottraendo da tale importo le somme lecitamente indicate in detrazione, e quelle già iscritte a ruolo a seguito di controllo automatizzato, si accertava un’evasione Iva per l’importo di euro 681.782, ritenendosi così integrati i reati ex art. 2 e 4 del d. Igs. n. 74 del 2000 relazione alla falsa e infedele dichiarazione fiscale relativa all’anno 2014.
Nel confrontarsi con le òbiezioni difensive, la Corte territoriale ha poi evidenziato che non è emersa la presenza di altri dipendenti della RAGIONE_SOCIALE a parte COGNOME, essendo del resto significativo che i funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE, recatisi presso la sede della società, hanno rinvenuto unicamente uno studio associato, senza che fosse presente il nominativo della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sul citofono, non essendo stata prospettata o documentata dall’imputato, nel corso del procedimento prima amministrativo e poi penale, l’esistenza di differenti sedi operative; allo stesso modo, è stata ritenuta altresì pregnante, ai fini della valutazione sulla fittizietà degli elementi passivi indicati da COGNOME nel dichiarazione fiscale, la circostanza che nella lettera di vettura del 7 luglio 2014 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE per la consegna della merce per conto della società austriaca RAGIONE_SOCIALE si indicava come luogo di partenza la località Bianco, in Provincia di Reggio Calabria, dove aveva sede la RAGIONE_SOCIALE, ciò a riprova del fatto che la merce non era mai entrata nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, ma era oggetto di un’unica cessione dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE.
Altrettando significativa, al di là del dato, pur non irrilevante sul piano indiziar circa la riconducibilità della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE ai medesimi soggetti, è risultata la circostanza che, al momento dei fatti, la RAGIONE_SOCIALE esercitava attività di commercio di elettrodomestici, non occupandosi invece del commercio di macchinari attinenti alla lavorazione del cemento armato, come quelli venduti alla società RAGIONE_SOCIALE (macchina presagomatrice e macchina da taglio).
1.1. In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative acquisite, il giudizio RAGIONE_SOCIALE due conformi sentenze di merito sulla configurabilità dei reati ascritti al ricorrente resiste alle censure difensive, c
le quali si sollecita, peraltro in termini non adeguatamente specifici, rivelando i ricorso palesi limiti di autosufficienza nel richiamo a fonti di prova il cui contenu non è stato allegato o riportato, una lettura alternativa del materiale probatorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi richiamare la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimi la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Non sono infatti deducibili innanzi a questa Corte censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua contraddittorietà e dalla sua illogicità ove non manifesta su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, de credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. in termini Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747).
Di qui l’infondatezza RAGIONE_SOCIALE censure in punto di responsabilità.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo.
Nel condividere il discostamento dal minimo edittale da parte del primo giudice, la Corte territoriale ha innanzitutto evidenziato come la condotta dell’imputato fosse connotata da particolare insidiosità, nel senso che non solo veniva realizzato un apposito schema triangolare, nel quale la società RAGIONE_SOCIALE risultava fittiziamente interposta al fine di originare un indebito credito Iva, ma nel contempo veniva creata documentazione non veritiera, poi consegnata all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in modo da occultare il complesso sistema criminoso, tanto è vero che gli accertamenti tributari avevano origine solo a seguito della segnalazione dell’Amministrazione finanziaria austriaca, a ciò aggiungendosi anche il richiamo alla non trascurabile entità dell’imposta evasa, atteso che la condotta contestata al capo 1 ha determinato un’evasione di Iva per euro 106.700, mentre quella di al capo 2 ha provocato un’evasione di imposta pari all’importo di 681.782 euro.
In presenza di un apparato argomentativo non irrazionale, non vi è dunque spazio per l’accoglimento RAGIONE_SOCIALE obiezioni difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
Parimenti immune da censure è il diniego RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche, rispetto al quale, premessa la non decisività della condizione di incensurato, non appare illogica la sottolineatura da parte dei giudici di appello, in senso negativo, del mancato apporto collaborativo dell’imputato, rimasto assente nel corso dell’intero procedimento, essendosi COGNOME limitato a delegare alla consegna della documentazione richiesta solo NOME COGNOME, il quale ha tuttavia prodotto solo parte della stessa, senza onorare gli ulteriori impegni presi nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE quanto al deposito della documentazione mancante.
In tal senso l’impostazione della Corte territoriale appare coerente con l’affermazione della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Rv. 270339, secondo cui la condotta processuale dell’imputato che mantenga un atteggiamento “non collaborativo” può giustificare il mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche, posto che se l’esercizio del diritto di difesa non comporta affatto il compimento di scelte collaborative, essendo anzi non penalmente perseguibili le dichiarazione false rese a sua difesa dall’imputato, ciò tuttavia non equivale a rendere questo tipo di pur legittime iniziative difensive del tutto irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all’art. 133 cod. pen.
Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse d COGNOME deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso il 20/03/2024