Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25919 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25919 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Napoli nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME nata a Casoria il 16/04/1970 avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 09/12/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 dicembre 2024, il Tribunale di Napoli ha accolto l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione di cui ai procedimenti R.E.S.A. n. 66/2005 e n. 648/2007, presentata da NOME NOME, divenuta proprietaria di una delle unità immobiliari, compresa di box auto, di un immobile sito in Casoria, composto da otto piani e realizzato in assenza di permesso a ‘costruire. Per la realizzazione abusiva dell’immobile era stato condannato COGNOME NOME, in veste di proprietario.
L’intero manufatto è stato oggetto di 14 istanze di condono, in numero di 2 unità immobiliari per ciascuna istanza, depositate in data 10 febbraio 1995. Le suddette istanze venivano presentate da soggetti estranei all’abuso in qualità di promittenti acquirenti, eccezion fatta per le unità poste al piano terra e al primo piano, le cui istanze venivano presentate dal committente e proprietario del terreno COGNOME. Tra il 1996 e il 1997, tutti i promittenti acquirenti rinunciavano all’acquisto e COGNOME Luca subentrava nella titolarità delle istanze di condono pendenti.
In questo contesto, COGNOME NOME, che ha presentato l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione accolta dal Tribunale di Napoli, è divenuta proprietaria di un’unità immobiliare a seguito dell’acquisto da COGNOME NOME, che, a sua volta, la aveva acquistata da COGNOME NOME. La suddetta unità abitativa veniva commercializzata sulla base di una delle già menzionate istanze di condono presentate da promissari acquirenti estranei al reato. Per tale particella, in virtù dell’istanza di sanatoria presentata, il Comune di Casoria, in data 22 aprile 2016, rilasciava il permesso a costruire in sanatoria n. 116 per i sub. 21 e 22. Per l’intero sesto piano, venivano rilasciati due permessi a costruire in sanatoria, il n. 116 del 22 aprile 2016 (sub. 23 e 24 a Pilato e Angerami per una volumetria dichiarata di 743 mc) e il n. 233 del 17 ottobre 2017 con riferimento ad altre due unità immobiliari.
Con ordinanza del 9 dicembre 2024, il giudice dell’esecuzione revocava l’ordine di demolizione di cui al procedimento n. 66/2005.
Avverso l’anzidetta ordinanza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
Si sostiene, in primo luogo, che l’ordinanza impugnata contrasterebbe con l’ordinanza di rigetto SIGE n. 1838 del 2023, con la quale il giudice adito aveva dichiarato l’illegittimità dei permessi a costruire in sanatoria n. 115 e 116 del 2016 per le unità immobiliari n. 5, 6, 23 e 24, ovvero anche quello riguardante l’unità immobiliare della ricorrente COGNOME. Inoltre, tale ordinanza si porrebbe in contrasto con almeno altre tre delle ordinanze emesse dal Tribunale di Napoli e con una quarta ordinanza SIGE n. 1841 del 2023, per la quale la Corte di Cassazione aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso di parte, con la conseguenza che, per otto unità immobiliari, il permesso di costruire in sanatoria era stato ritenuto illegittimo e disapplicato, e l’ordine di demolizione immediatamente eseguibile. Inoltre, il suddetto permesso a costruire risulterebbe illegittimo perché non presentato da soggetto legittimato ma, nel caso di specie, da un semplice promissario acquirente privo di interesse: legittimati alla presentazione dell’istanza di condono sarebbero il solo proprietario, il committente delle opere, il titolare della concessione edilizia,
il costruttore e il direttore dei lavori, posto che la legittimazione a presentare l’istanza andrebbe correlata solamente al momento di presentazione della stessa.
Secondo la prospettazione del Pubblico Ministero, il permesso di costruire n. 116 risulterebbe altresì illegittimo anche: perché emesso per due sole unità immobiliari sulle 24 che compongono l’intero cespite; perché emesso in carenza dell’istanza di condono per gli spazi comuni e per l’intero piano interrato, nel quale insistono i box auto; perché emesso in carenza dei permessi rilasciati per l’intero quarto piano, le cui istanze sarebbero carenti della documentazione integrativa.
Ancora, sebbene i sedicenti promittenti acquirenti avessero un interesse giuridicamente rilevante alla presentazione della domanda di sanatoria, la loro posizione non potrebbe che ritenersi coincidente con quella del Fusco, considerato che il terreno sul quale il fabbricato era stato realizzato era di sua proprietà e sua era la committenza. Ebbene, dato il regime giuridico al quale il bene doveva ritenersi assoggettato, non essendo stata operata alcuna divisione né rinvenendosi un distinto diritto di proprietà su una porzione del fabbricato, le diverse domande avrebbero dovuto tutte essere imputabili ad un unico soggetto, con conseguente esclusione dell’artifizioso frazionamento effettuato mediante le plurime istanze di condono. Pertanto, si sarebbe dovuto procedere a valutare tali istanze complessivamente, con l’emissione di un singolo provvedimento di condono o, al più, di tanti provvedimenti emessi contestualmente per singola unità immobiliare.
Quanto all’applicazione del principio di proporzionalità, il Pubblico Ministero evidenzia come l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasti con il diritto al rispetto della vita privata e familiare nonché del domicilio posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine di demolizione non violerebbe in astratto alcun diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma affermerebbe in concreto il diritto della comunità a ripristinare il decoro urbanistico.
La difesa di NOME NOME ha depositato memoria, con cui insiste sul riconoscimento della buona fede della ricorrente, la quale avrebbe proceduto all’acquisto in ottemperanza alla normativa vigente, ottenendo regolare permesso di costruire. Inoltre, secondo la prospettazione difensiva, non vi sarebbe più alcun interesse pubblico alla demolizione dell’immdbile, dal momento che il Piano Urbanistico Comunale del 2020 aveva cambiato la destinazione d’uso dell’area limitrofa, rendendo la zona residenziale. Infine, la difesa eccepisce l’illegittimità dell’atto di demolizione, atteso che alla Pilato non risulta essere mai stato notificato alcun avviso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Preliminarmente, è necessario chiarire quale sia la perimetrazione dei poteri del giudice penale rispetto al titolo abitativo illegittimo, dovendosi precisare che, anche con riferimento al permesso in sanatoria, è da riconoscersi al giudice un potere-dovere di valutazione finalizzato, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non tanto ad una valutazione di legittimità prodromica all’eventuale disapplicazione, quanto piuttosto, e precipuamente, ad una verifica della sussistenza effettiva dei presupposti, di fatto e di diritto, dai qual dipende l’estinzione del reato. Il giudice esercita in tale modo un doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipic penale (ex multis, Sez. 3, n. 47909 del 10/11/2023, Rv. 285538 – 02). Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve rammentarsi, quale presupposto indispensabile per il rilascio della sanatoria la necessità che l’opera sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati, e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento in cui l’opera è stata realizzata sia in quello in cui la domanda è stata presentata.
Il legislatore non pone alcun divieto al frazionamento ovvero accorpamento di unità immobiliari, nel rispetto della normativa edilizia relativa. Tuttavia, tal operazioni possono configurare ipotesi elusive. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, edificio deve intendersi come un complesso unitario facente capo ad un unico soggetto legittimato, e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite ad una unica concessione in sanatoria, la quale dovrà riguardare lo stesso nella sua totalità. Ciò al fine di non consentire l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera richiesto per la concedibilità della sanatoria. È quindi illecita la presentazione di più domande facenti riferimento a plurime opere le quali risultino artificiosamente non collegate tra di loro sebbene, de facto, siano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto ed allo stesso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (ex multis, Sez. 3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 25/01/2022, Rv. 282887; Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, Rv. 277668). Pertanto, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, non è ammessa la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli art. 6 e 38, comma 5, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dall’art. 39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, quando si tratti di un unico immobile e non siano individuati distinti titoli in relazione a un frazionamento reale del cespite. Il frazionamento dei permessi a costruire in sanatoria per eludere il limite dei 750 mc è illegittimo e determina la
disapplicazione degli atti amministrativi (Sez. 3, n. 38815 del 25/09/2024, non mass.; Sez. 3, n. 30455 del 02/08/2022, non mass.; n. 2253 del 04/07/2023, non mass.; n. 37047 del 03/07/2023, non mass.; n. 27977 del 04/04/2019, Rv. 276084-01; Sez. 4, n. 10017 del 03/03/2021, Rv. 280700; si veda altresì, Sez.3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 2022, Rv. 282887 – 01, che ha ribadito lo stesso principio per il condono del d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326). L’orientamento in esame trova il proprio fondamento nell’interpretazione adottata dalla Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 302 del 1996, ha chiarito che, in materia di nuove costruzioni, è ammessa – in via derogatoria e dunque di stretta interpretazione – la possibilità di calcolare la volumetria ai fini della sanatoria edilizia per singola istanza di concessione, anche qualora riferita ad un unico edificio. Tale possibilità è subordinata alla presenza di una pluralità di soggetti legittimati, in virtù della suddivisione materiale della costruzione ovvero della limitazione quantitativa del titolo abilitativo. Tale condizione si realizza, ad esempio, nei casi di trasferimento della proprietà di singole porzioni dell’immobile oggetto di sanatoria (art. 31, comma 1, della legge 28 febbraio 1985, n. 47), ovvero di titolarità di diritti reali limitati, quali l’usufr o il diritto di abitazione, anche se riferiti a una sola porzione dell’immobile, o ancora di diritti personali di godimento, nei limiti in cui la legge o il contratto autorizzi l’esecuzione delle opere (art. 31, comma 3, della medesima legge, in relazione all’art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10).
1.1.1. Nel caso di specie, il frazionamento delle istanze di sanatoria edilizia non appare reale, risultando piuttosto strumentale all’elusione del limite volumetrico di 750 mc, dal momento che l’originario proprietario e committente dell’intervento edilizio è successivamente subentrato in tutte le domande, inizialmente presentate da promittenti acquirenti. In proposito, la Corte di cassazione ha altre à chiarito che in tema di condono edilizio, nel caso di bene immobile in comproprietà, per il quale non sia stata operata alcuna divisione né costituito un distinto diritto di proprietà su una porzione dello stesso, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli artt. 6 e 38, comma 5, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dall’art. 39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, costituisce un frazionamento artificioso della domanda, da imputare ad un unico centro sostanziale di interesse onde non consentire l’elusione del limite legale di volumetria dell’opera per la concedibilità della sanatoria. (Sez. 3, n. 27977 del 4 aprile 2019, Rv. 276084, fattispecie di presentazione di diverse istanze di condono, riferite ad altrettanti piani dell’immobile abusivo).
1.1.2. In ogni caso, l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e a cui questo Collegio intende dar seguito, ai fini della revoca dell’ordine di demolizione
di un immobile oggetto di istanza di condono edilizio, il giudice dell’esecuzione è tenuto a verificare la legittimità del provvedimento concessorio sopravvenuto, accertando in particolare: la normativa applicabile; la legittimazione del soggetto richiedente; la tempestività della presentazione della domanda; la sussistenza dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilità dell’opera; nonché, nel caso in cui l’immobile insista su area soggetta a vincolo, la natura del stesso e l’eventuale compatibilità volumetrica o di destinazione dell’intervento sanato (Cass., Sez. 3, n. 37470 del 22 maggio 2019, Rv. 277668 – 01).
1.1.3. Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente ha correttamente eccepito l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria rilasciato con riferimento a due distinte unità immobiliari, deducendo a fondamento di tale censura una pluralità di motivi, tra cui il fatto che il provvedimento di sanatoria concernesse unicamente due delle 24 unità immobiliari che compongono l’intero complesso edilizio e che non contemplasse gli spazi comuni né l’intero piano interrato, nel quale sono ubicati i box auto, nonostante tali beni costituiscano parte integrante dell’intervento edilizio e, come tali, debbano essere computati ai fini della determinazione della volumetria complessiva dell’edificio; inoltre, un intero livello dell’edificio, il quarto piano, risulterebbe escluso da qualsiasi istanza di condono.
1.2. Inoltre, risulta che la COGNOME ha acquistato una delle unità immobiliari “comprensiva di box auto di pertinenza”, in base a una proposta contrattuale fondata sulla presentazione di una domanda di sanatoria da parte del promittente acquirente relativa a due degli appartamenti collocati al sesto piano dell’immobile. Detta istanza non includeva tuttavia né le parti comuni, né i pertinenti box auto.
1.2.1. Con riferimento a quest’ultima circostanza, la giurisprudenza ha chiarito che l’avente causa dell’autore dell’abuso è tenuto, al momento dell’acquisto, a verificare la regolarità urbanistica delle opere eseguite, non potendo invocare, a propria discolpa, l’ignoranza colpevole circa l’esistenza di provvedimenti sanzionatori, né può fondatamente dedurre, a giustificazione della mancata reperibilità di una soluzione abitativa alternativa, l’asserita mancata conoscenza dell’ordine di demolizione. Parimenti, non può richiamare in proprio favore l’applicazione del principio di proporzionalità, come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale, le cui garanzie procedurali non si estendono al terzo estraneo al procedimento penale (Cass., Sez. 3, n. 3752 del 18 dicembre 2024, dep. 2025, Rv. 287393 – 01). Nel caso concreto, tuttavia, il Tribunale ha ritenuto di estendere le garanzie procedurali derivanti dal principio di proporzionalità alla ricorrente COGNOME COGNOME nonostante la sua estraneità formale al procedimento penale.
1.2.2. È stato comunque accertato che, pur non avendo partecipato direttamente alla realizzazione dell’opera abusiva, NOME NOME era consapevole dell’assenza del titolo abilitativo e ha, conseguentemente, accettato il rischio che
l’istanza di sanatoria potesse concludersi con esito negativo. E infatti, dagli atti risulta che l’acquisto dell’immobile risale al luglio 2008, mentre la sanatoria sarebbe sopraggiunta solo otto anni dopo, nel 2016. Non può, pertanto, ritenersi sussistente nel caso di specie la buona fede del soggetto titolare del bene, nei termini erroneamente prospettati dalla memoria difensiva ed erroneamente fatti propri dal provvedimento impugnato, a fronte di un frazionamento chiaramente artificioso e solo parziale.
1.3. Tale aspetto assume pregnanza, altresì, ai fini della valutazione della proporzionalità dell’ordine di demolizione, dal momento che risulta chiaramente rilevante la consapevolezza dell’interessato circa la violazione delle disposizioni urbanistiche, al fine di evitare che l’ordinamento incoraggi condotte illecite in contrasto con le esigenze di tutela ambientale (ex multis, Cass., Sez. 3, n. 423 del 14 dicembre 2020, dep. 2021, Rv. 280270).
1.3.1. Sul punto, è inoltre necessario evidenziare come l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasti di per sé con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel propri legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato (ex plurimis, Sez. 3, n. 24882 del 26/5/2018, Rv. 273368).
1.3.2. Ebbene, non emergono, dal provvedimento impugnato, elementi che consentano di ritenere la sussistenza di un pregiudizio diverso da quello di natura strettamente patrimoniale, né la ricorrente ha allegato o provato l’esistenza di condizioni di particolare vulnerabilità personale, sociale o economica. In particolare, non è stata dimostrata una situazione di indigenza tale da rendere l’ordine di demolizione lesivo del nucleo essenziale dei diritti fondamentali tutelati dall’art. 8 CEDU. Al contrario, l’elemento oggettivo rappresentato dall’accensione di un mutuo fondiario per l’acquisto dell’immobile costituisce indizio rilevante circa la capacità economica della ricorrente. Tale dato dimostra che la stessa dispone di un reddito stabile e di garanzie patrimoniali sufficienti, valutate positivamente dall’istituto mutuante, per far fronte non solo all’acquisto dell’immobile, ma anche – eventualmente – alla ricerca e al reperimento di una sistemazione alternativa, in caso di esecuzione dell’ordine di demolizione.
1.3.3. Ne consegue che non può ritenersi sproporzionata l’esecuzione della misura sanzionatoria, la quale, peraltro, risponde all’interesse pubblico alla tutela del territorio e al ripristino della legalità urbanistica, interesse che non può essere
recessivo rispetto a una mera aspettativa abitativa priva di adeguati fondamenti giuridici. In tale contesto, il principio di proporzionalità, pur rilevante in sed esecutiva, non può tradursi in una tutela assoluta del bene abusivo quando non vi siano circostanze concrete e documentate di particolare fragilità o di compromissione di diritti fondamentali eccedenti il solo interesse economico del proprietario.
1.4. L’ordinanza impugnata muove, in ogni caso, da una nozione dell’ordine di demolizione, quale sanzione penale, espressamente esclusa dalla giurisprudenza interna ed europea.
in rem e il suo mantenimento in caso di morte dell’autore o di estinzione del reato dopo la condanna, per motivi diversi dalla concessione di una sanatoria.
La demolizione non è quindi intesa quale sanzione da rivolgere all’autore del reato, ma come una misura necessaria per proteggere l’interesse pubblico, in particolare il rispetto delle norme edilizie e la tutela dell’ambiente. La sentenza della CEDU si allinea con le decisioni di questa Corte, che ha ripetutamente affermato la natura non sanzionatoria, ma ripristinatoria delle ordinanze di demolizione, sottolineando come la demolizione rappresenti uno strumento per ripristinare la legalità violata e non una punizione ulteriore per il responsabile della costruzione abusiva (ex plurimis, Sez. 3, n. 35052 del 10/03/2016).
Da quanto precede consegue che, in accoglimento del ricorso del Pubblico ministero, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Napoli, perché proceda a nuovo giudizio tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Napoli.
Così deciso il 30/04/2025