Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43418 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43418 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato a Sassari il DATA_NASCITA
avverso il provvedimento del 19/02/2024 della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza sopra indicata, la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, dichiarava inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma quater e 591, lett. c), cod. proc. pen., l’atto di appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza emessa nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. dal Tribunale di Sassari il 10 maggio 2023.
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Ha proposto ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal difensore, affidato ad un unico motivo con cui ha dedotto il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 581, comma 1-quater, e all’art. 591, lett. c), cod. proc. pen., per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che non fosse stato depositato così come prescritto dall’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. unitamente all’atto di appello il mandato ad impugnare, contenente la dichiarazione e/o elezione di domicilio.
Nello specifico, il difensore ha evidenziato di avere depositato presso la Cancelleria del Tribunale di Sassari il 19 maggio 2023, mediante invio per posta elettronica certificata in pari data, unitamente all’atto di appello anche il fil denominato “mandato appello COGNOME” in formato “pdf.p7m”. A supporto di quanto dedotto ha allegato al ricorso la relativa documentazione tra cui anche un attestato a firma del funzionario di Cancelleria.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il preliminare vaglio di ammissibilità perché manifestamente infondato.
1.1. A tenore dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., applicabile ratione temporis in considerazione della data della presentazione dell’impugnazione (v. Sez. U, n.r.g. 6578/24, COGNOME, notizia di decisione) l’atto di appello, nel caso di processo in absentia, è inammissibile se non sia contestualmente depositato in cancelleria il mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o elezione di domicilio.
1.2. Nel caso di specie, dagli atti allegati al ricorso, consultabili i considerazione della natura processuale della questione, risulta che l’atto di appello e l’atto ad esso allegato – denominato “mandato appello COGNOME NOME“- furono presentati a mezzo PEC e con l’utilizzo di file avente estensione “.p7m”: formato questo che presuppone l’avvenuta sottoscrizione con firma digitale “CAdES” (Sez. 6, n. 19273 del 20/04/2022, Sun Lianzhou, Rv. 283160) .
Purtuttavia, sia il documento cartaceo allegato – che dovrebbe rappresentare la copia di detto file “aperto e stampato” – sia lo stesso atto di appello non recano la firma elettronica digitale, elemento necessario a garantire la conformità all’originale dell’atto e la conseguente legittimazione a proporre impugnazione.
1.3. E’ bene precisare come la proposizione del mezzo di impugnazione mediante posta elettronica certificata richieda il rispetto di specifici requisiti fine precipuo di garantire la certezza e regolarità degli atti inoltrati per v telematica. Nel caso in esame, il quadro di riferimento normativo si rinviene nella disciplina emergenziale, non essendo ancora vigente, al momento della presentazione dell’atto di appello, l’art. 111-bis cod. proc. pen. introdotto dal d.lgs. del 10 ottobre 2022, n. 150.
L’art. 24 del d.l. 29 ottobre 2020 n 137, così come modificato in sede di conversione dalla legge 28 dicembre 2020, n. 176, al comma 6 -bis prevede che «l’atto in forma di documento informatico è sottoscritto digitalmente e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all’originale»; il successivo comma 6 -sexies, lett. b), precisa ulteriormente che l’impugnazione è inammissibile «quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6 -bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all’originale».
La giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6 n 37703 dell’11/07/2022, COGNOME, non mass.) che si è pronunciata in ordine alla portata di tale norma, in un’ottica garantista e al fine di scongiurare inutili formalismi, ha chiarito ch la mancata firma digitale di atti autonomi e indipendenti rispetto all’atto di impugnazione non è causa di inammissibilità di esso; ne consegue in via logica che la mancata sottoscrizione digitale è di contro causa di inammissibilità dell’impugnazione se essa riguarda l’atto di impugnazione stessa e gli atti che devono ritenersi essenziali ai fini della completezza e del perfezionamento della impugnazione proposta.
Sicuramente questa è l’ipotesi del caso di specie, laddove sia l’atto di appello sia il mandato ad impugnare, presupposto necessario per l’ammissibilità dell’atto di impugnazione, difettano di sottoscrizione digitale.
Corretta appare dunque la dichiarazione di inammissibilità cui è prevenuta la Corte distrettuale.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento gellé spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte cost., sent. n 186 del 2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/10/2024