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Fine di profitto e software pirata: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un imprenditore per la detenzione di 845 programmi informatici duplicati abusivamente sui computer aziendali. La Corte ha chiarito che per configurare il reato non è necessario un guadagno economico diretto, ma è sufficiente il perseguimento di un ‘fine di profitto’, inteso come qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, come il risparmio di spesa sulle licenze che permette all’azienda di essere più competitiva sul mercato.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Fine di profitto e software illegale: la Cassazione amplia la responsabilità

L’uso di software senza licenza in ambito aziendale è una pratica rischiosa che può portare a gravi conseguenze penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3024/2024, torna a definire i contorni del reato previsto dall’art. 171-bis della legge sul diritto d’autore, soffermandosi sul concetto di fine di profitto. La Corte ha stabilito che non è necessario un guadagno diretto per essere condannati, ma è sufficiente che l’azienda ottenga un qualsiasi vantaggio competitivo, anche solo un risparmio sui costi.

I fatti del caso

Il legale rappresentante di una società di formazione è stato condannato in primo e secondo grado per aver abusivamente duplicato e detenuto 845 programmi informatici sui personal computer dell’azienda. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che mancasse il ‘fine di profitto’, elemento indispensabile per la configurabilità del reato. Secondo la tesi difensiva, la società non otteneva un incremento patrimoniale diretto dall’uso dei software, in quanto i suoi clienti erano agenzie per il lavoro che ricevevano fondi pubblici indipendentemente dal numero di utenti finali dei corsi.

La decisione della Corte sul fine di profitto

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito la distinzione fondamentale tra il vecchio concetto di ‘fine di lucro’ e quello, più ampio, di ‘fine di profitto’, introdotto dalla legge n. 248 del 2000. Mentre il primo implicava un guadagno economico diretto, il secondo include qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, perseguito dall’autore del reato. La Corte ha specificato che il fine di profitto va inteso come ‘qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale’.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che il fine di profitto non si esaurisce nel semplice risparmio di spesa derivante dal mancato acquisto delle licenze, che è una conseguenza naturale dell’illecito. Piuttosto, esso si concretizza nella possibilità per l’azienda di ‘stare sul mercato’ con una dotazione strutturale completa, continuando a beneficiare di finanziamenti e commesse. In pratica, risparmiare sui costi del software ha permesso alla società di essere più competitiva, offrendo i propri servizi a condizioni vantaggiose alle agenzie per il lavoro del proprio gruppo societario. Questo vantaggio strategico, che rafforza la posizione dell’azienda sul mercato, integra pienamente il dolo specifico richiesto dalla norma. La Corte ha sottolineato che l’attività, sebbene svolta con fondi pubblici, era comunque di natura imprenditoriale e operava secondo le logiche del diritto privato. L’interesse concreto era quello di rendere la società più conveniente per le agenzie clienti, consentendo a queste ultime di essere a loro volta più competitive nell’ottenimento dei fondi pubblici.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: per il reato di duplicazione abusiva di software a scopo commerciale o imprenditoriale, il fine di profitto ha un’accezione molto ampia. Le aziende devono essere consapevoli che anche il solo risparmio sui costi, se finalizzato a ottenere un vantaggio competitivo e a consolidare la propria presenza sul mercato, è sufficiente a integrare il reato. La decisione serve da monito per tutte le imprese, sottolineando che la regolarità delle licenze software non è solo una questione di compliance, ma un presupposto essenziale per evitare gravi responsabilità penali.

Per il reato di duplicazione abusiva di software è necessario un guadagno economico diretto?
No, secondo la sentenza non è necessario un guadagno patrimoniale diretto. È sufficiente il perseguimento di un ‘fine di profitto’, che può consistere in qualsiasi vantaggio, anche non economico.

Cosa si intende per ‘fine di profitto’ secondo la Corte di Cassazione?
Il ‘fine di profitto’ è un concetto ampio che include qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, perseguito dall’autore del reato. Nel caso specifico, è stato individuato nella possibilità per l’azienda di rimanere competitiva sul mercato grazie al risparmio sui costi delle licenze software.

Il risparmio di spesa per le licenze software costituisce di per sé il ‘fine di profitto’?
No, il semplice risparmio di spesa è una conseguenza connaturata all’illecito. Tuttavia, quando questo risparmio viene utilizzato strategicamente per rendere l’azienda più competitiva e garantirne la permanenza sul mercato, allora integra il ‘fine di profitto’ richiesto dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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