Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35375 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35375 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nata il DATA_NASCITA a Napoli
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Giugliano in Campania
avverso la sentenza del 26/10/2023 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’AVV_NOTAIO, il quale ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli confermava la condanna per favoreggiamento personale (art. 378, comma 2, cod. pen.) di NOME COGNOME e NOME COGNOME per aver aiutato NOME COGNOME,
destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere in relazione alla partecipazione ad associazione di stampo camorristico (art. 416-bis cod. pen.), a sottrarsi alle ricerche e ad eludere le investigazioni dell’autorità, fornendogl assistenza logistica e materiale.
Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, un unico motivo di ricorso in cui deducono violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione all’applicazione della circostanza di cui all’art. 378, comma 2, cod. pen.
In appello era stata dedotta l’insussistenza di elementi probatori, precedenti alla cattura del latitante, da cui desumere la conoscenza, in capo agli imputati, del fatto che il COGNOME fosse ricercato per il reato di associazione ex art. 416-bis cod. pen.
Premesso altresì che la sentenza di primo grado era giunta a tale conclusione sulla base delle captazioni in essa richiamate, la Corte d’appello ha respinto l’eccezione difensiva sulla base dei seguenti argomenti: la riservatezza e la prudenza nelle conversazioni, che lascerebbero intendere che gli imputati fossero consapevoli dell’appartenenza del ricercato ad un sodalizio mafioso; la considerazione che il rapporto fiduciario alla base dell’affidamento del ricercato postuli la conoscenza dei trascorsi del COGNOME; la natura oggettiva dell’aggravante di cui all’art. 378, comma 2, cod. pen., a differenza dell’attuale art. 416-bis.1, cod. pen.
Tuttavia, i primi due argomenti hanno natura meramente congetturale, posto che dal compendio probatorio emerge soltanto che il COGNOME era ricercato, ma non anche per quale titolo di reato. Mentre, la rilevata natura oggettiva della circostanza aggravante non consente di prescindere dalla necessità di un qualunque coefficiente psicologico, come invece richiesto dall’art. 59 cod. pen.
La circostanza aggravante ha impatto diretto sulla pena, non essendo stato formulato un giudizio di bilanciamento con alcuna attenuante.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorrenti eccepiscono come, ferma la responsabilità per il delitto di favoreggiamento, dal compendio probatorio su cui è basata la condanna, essenzialmente composto di captazioni, non emergessero elementi da cui desumere che NOME COGNOME, a vantaggio del quale è stato commesso il reato, fosse ricercato per il delitto di associazione di stampo camorristico (art. 416 cod. pen.), sicché agli imputati – che avevano procurato al latitante un alloggio e provveduto alle sue esigenze quotidiane, garantendogli anche i contatti telefonici con la consorte attraverso la messa a disposizione di nuove schede telefoniche non avrebbe dovuto essere applicata la circostanza di cui all’art. 378, comma 2, cod. pen., che prevede un aggravamento della pena per il caso in cui il delitto commesso dalla persona aiutata sia, appunto, il reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen.
2. I ricorsi sono infondati.
2.1. Nonostante la contraria affermazione di principio, i ricorrenti non valutano adeguatamente come l’art. 59, comma 1, cod. pen., nel delineare il criterio di imputazione delle circostanze aggravanti conformandolo al principio di colpevolezza, abbia ormai da tempo accostato a quello doloso (fondato sulla rappresentazione degli elementi fattuali) un paradigma di stampo colposo che consta, invece, della mera conoscibilità della circostanza ovvero della sua ignoranza «per errore determinato da colpa».
Di conseguenza, ai fini dell’ascrizione dell’ipotesi circostanziata del favoreggiamento, non occorre che gli agenti si rappresentino che la persona cui prestano assistenza sia ricercata per il delitto associativo, essendo sufficiente che dispongano di elementi alla cui stregua tale eventualità appaia dal loro punto di vista concreta.
2.2. Se è così, i Giudici dell’appello hanno fatto corretta applicazione della legge penale.
Sulla falsariga di quanto peraltro già osservato da quelli di primo grado, hanno, infatti, valorizzato i seguenti dati: la messa a disposizione del ricercato di un appartamento ubicato nello stesso corpo immobiliare in cui si trovava l’abitazione degli imputati; la circospezione adottata dalla COGNOME nel condurre la COGNOME, compagna del ricercato, presso l’abitazione ove soggiornava RAGIONE_SOCIALEdestinamente quest’ultimo; le cautele e le esigenze di segretezza condivise dagli imputati nei colloqui con altre persone; il linguaggio criptico usato dai colloquianti.
Tali elementi – precisano i Giudici di merito – lasciano intravedere un rapporto di assoluta ed incondizionata fiducia tra le parti.
Ed è appunto la sussistenza di un tale stretto rapporto – più che gli elementi poc’anzi indicati, di per sé presi – a rendere logicamente fondato l’argomento che i ricorrenti conoscessero la specifica caratura criminale del loro assistito: che, con altre parole, avessero piena ragione di sospettare che il COGNOME fosse ricercato per il delitto associativo, se non, addirittura, che ne fossero a conoscenza.
In tal senso, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della legge penale, la motivazione risultando inoltre esente da vizi sindacabili in sede di legittimità.
In proposito, peraltro, è opportuna una precisazione.
2.3. Sulla logicità e non contraddittorietà della motivazione non incide la digressione sul carattere oggettivo, piuttosto che soggettivo, della circostanza di cui all’art. 378, comma 2, cod. pen. (in effetti, come rilevato dalla difesa, non pertinente nell’economia del provvedimento impugnato) e tantomeno il fatto che la Corte d’appello abbia argomentato l’ascrivibilità della stessa ai ricorrenti anche a partire da un colloquio tra la COGNOME e un’altra persona, in cui la prima si rammaricava di non aver avuto la prontezza di agevolare la fuga del COGNOME al momento dell’arrivo dei militari o di non aver rinvenuto un altro alloggio idoneo ad ospitare il ricercato, aggiungendo che questi non era un «pesce piccolo», bensì un «boss».
Posto che, come si desume dal tenore delle captazioni – riportate in sentenza nei termini appena indicati – e rimarcato dal difensore in sede di discussione orale, l’intercettazione venne eseguita in data successiva (di due giorni) all’arresto del COGNOME, è vero che dalle parole della COGNOME non può evincersi con certezza che questa fosse già allora consapevole dell’appartenenza del COGNOME all’associazione criminale camorristica (specificamente, al c.d. RAGIONE_SOCIALE operante nel “quartiere Sanità” di Napoli), potendo averne avuto conoscenza successivamente, a seguito del clamore suscitato dall’arresto.
Tale constatazione non inficia, però, la tenuta logica della motivazione, fondata – come rilevato – sull’acclarata vicinanza dei ricorrenti al COGNOME.
Siffatta vicinanza non è opinabile, considerato il tenore delle captazioni riportate nella sentenza di primo grado (che con quella impugnata forma un unico corpo motivazionale, trattandosi di c.d. “doppia conforme”: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), da cui si desume, tra le altre cose, che, oltre a vedersi offerta ogni collaborazione (sul piano logistico, del vitto e dell comunicazioni), COGNOME e la moglie consumarono un pasto domenicale presso la dimora dei conviventi COGNOME e COGNOME i quali, dal canto loro, durante tutto il lasso di tempo del favoreggiamento, si mentennero in stretto contatto telefonico con i parenti del loro assistito, ad ulteriore dimostrazione della suddetta prossimità relazionale.
Per le ragioni esposte, i ricorsi devono essere rigettati.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti alle spese ex art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 03/07/2024