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Favoreggiamento immigrazione: finta assunzione è reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12748/2019, ha confermato la condanna per il reato di favoreggiamento immigrazione nei confronti di due soggetti che creavano finti rapporti di lavoro per consentire a cittadini extracomunitari di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. La Corte ha stabilito che il compenso ricevuto per tale attività illecita costituisce sempre ‘profitto ingiusto’, in quanto la prestazione è illegale e sfrutta la condizione di irregolarità dello straniero, rendendo irrilevante la congruità della somma pagata.

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Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Favoreggiamento immigrazione: la Cassazione chiarisce quando la finta assunzione è reato

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 12748 del 2019, è intervenuta su un tema tanto delicato quanto attuale: il favoreggiamento immigrazione realizzato attraverso la creazione di finti rapporti di lavoro. La pronuncia stabilisce un principio cardine: qualsiasi compenso ricevuto per una prestazione illecita, come la creazione di documentazione falsa per ottenere un permesso di soggiorno, costituisce di per sé un ‘profitto ingiusto’, integrando così tutti gli elementi del reato previsto dall’art. 12, comma 5, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione).

I fatti del caso: un’associazione per delinquere ben organizzata

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava due individui condannati per aver partecipato a un’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento immigrazione clandestina e alla commissione di reati di falso. Gli imputati, agendo come amministratori di società fittizie o non operative, creavano false assunzioni per cittadini extracomunitari. In concreto, producevano contratti di lavoro, buste paga e altra documentazione fittizia, inserendo i dati nel sistema informativo pubblico UNILAV. Lo scopo era quello di far apparire i cittadini stranieri come regolarmente assunti, permettendo loro di ottenere il rinnovo o il rilascio del permesso di soggiorno. Per ogni pratica, gli imputati percepivano un compenso in denaro, quantificato in circa 300 euro.

La difesa degli imputati e la questione del ‘profitto ingiusto’

La difesa degli imputati, nel ricorso per Cassazione, sosteneva che la condotta non potesse essere qualificata come favoreggiamento immigrazione ai sensi dell’art. 12, comma 5, del Testo Unico. Secondo i ricorrenti, mancava il requisito del ‘profitto ingiusto’. Essi argomentavano che la somma di 300 euro rappresentava semplicemente il giusto compenso per un’ ‘opera professionale’ svolta, e non un guadagno sproporzionato ottenuto sfruttando la condizione di irregolarità dello straniero. In altre parole, si tentava di far passare una palese attività illecita per una sorta di consulenza, la cui retribuzione non poteva considerarsi ‘ingiusta’.

L’analisi della Cassazione sul favoreggiamento immigrazione

La Corte di Cassazione ha respinto con fermezza questa linea difensiva, definendo le censure infondate. I giudici hanno ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato: integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale chiunque avvii una pratica di assunzione fittizia con l’unico scopo di trarre un profitto illecito dal conseguimento del permesso di soggiorno da parte dello straniero. Per la configurazione del reato, è irrilevante che la procedura di regolarizzazione abbia poi un esito positivo. L’attività criminale si perfeziona nel compiere atti che favoriscono la permanenza illegale.

Le motivazioni della Corte

La sentenza impugnata è stata ritenuta corretta nell’individuare la sussistenza di tutti gli elementi del reato. Le motivazioni della Suprema Corte si concentrano su due punti chiave:
1. L’ingiustizia del profitto: Il profitto è ‘ingiusto’ per sua stessa natura, in quanto costituisce il corrispettivo di una condotta illecita. Non è possibile parlare di ‘lecita valutazione economica’ o di ‘retribuzione’ per un’attività che consiste nel creare documentazione falsa per ingannare la Pubblica Amministrazione. L’illiceità della prestazione rende automaticamente ingiusto qualsiasi compenso ricevuto.
2. Lo sfruttamento della condizione di irregolarità: La Corte evidenzia come la condotta degli imputati si fondi proprio sull’approfittamento consapevole della condizione di vulnerabilità del cittadino straniero. Quest’ultimo, privo di un valido titolo di soggiorno e con la necessità di ottenerne uno, è indotto ad accettare la richiesta illecita. La sua condizione di ‘inferiorità’ e bisogno è l’elemento che consente agli autori del reato di trarre profitto dalla loro attività criminale. Si realizza così pienamente la fattispecie che la norma intende punire.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, condannando gli imputati al pagamento delle spese processuali. La sentenza riafferma con chiarezza che la creazione di rapporti di lavoro fittizi per agevolare la permanenza di cittadini stranieri integra il reato di favoreggiamento immigrazione quando compiuta a scopo di lucro. Il principio fondamentale è che non può esistere un ‘giusto prezzo’ per un’attività illegale; qualsiasi guadagno derivante da tale condotta è, per definizione, un profitto ingiusto. Questa pronuncia serve da monito per chiunque, sotto la veste di imprenditore o consulente, offra ‘scorciatoie’ illecite per le pratiche di soggiorno, confermando la severità dell’ordinamento verso chi specula sulla condizione di necessità degli immigrati irregolari.

Creare un contratto di lavoro fittizio per un cittadino extracomunitario al fine di fargli ottenere il permesso di soggiorno è reato?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che questa condotta integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, previsto dall’art. 12, comma 5, del D.Lgs. 286/1998, se compiuta al fine di trarre un profitto.

Il compenso ricevuto per una pratica di finta assunzione può essere considerato una legittima retribuzione per un’opera professionale?
No. La sentenza chiarisce che qualsiasi somma di denaro ricevuta come corrispettivo per un’attività illecita (come la creazione di documentazione falsa) costituisce di per sé un ‘profitto ingiusto’ e non può essere considerata una lecita retribuzione.

Perché si considera che chi crea finte assunzioni sfrutti la condizione dello straniero?
Perché, come afferma la Corte, il cittadino irregolare è indotto ad accettare la richiesta e a pagare una somma a causa della sua condizione di inferiorità, caratterizzata dall’assenza di un valido titolo di soggiorno e dalla necessità di ottenerlo. L’attività illecita si basa proprio sull’approfittamento di questa condizione di vulnerabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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