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Fatture soggettivamente inesistenti: reato anche per IRPEF

Un imprenditore ha utilizzato fatture emesse da una ditta individuale per mascherare un’illecita somministrazione di manodopera, deducendo i relativi costi ai fini delle imposte dirette. La Corte di Cassazione, confermando la condanna d’appello, ha stabilito che l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti integra il reato di dichiarazione fraudolenta anche se l’evasione riguarda solo l’IRPEF e non l’IVA. Il reato sussiste perché la fattura documenta un negozio giuridico apparente (appalto di servizi) diverso da quello reale (somministrazione di manodopera), rendendo l’operazione giuridicamente inesistente ai fini fiscali.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Fatture Soggettivamente Inesistenti: Quando il Costo è Reale ma il Reato Sussiste

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30370/2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale per il diritto penale tributario: l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti. La decisione chiarisce che tale condotta integra il reato di dichiarazione fraudolenta anche quando l’evasione riguarda esclusivamente le imposte dirette (IRPEF), e non l’IVA. Questo principio si applica in particolare ai casi in cui le fatture servono a mascherare un’illecita somministrazione di manodopera sotto le spoglie di un appalto di servizi.

Il Caso: Un Appalto di Servizi che Celava una Somministrazione di Lavoro

I fatti riguardano l’amministratore di una società che aveva inserito nella dichiarazione dei redditi del 2017 costi per oltre 124.000 euro, documentati da fatture emesse da una ditta individuale. Secondo l’accusa, tali fatture erano state utilizzate per un’operazione fraudolenta: la ditta emittente, priva di una reale struttura aziendale, era solo uno schermo per fornire manodopera alla società del ricorrente, configurando un’interposizione fittizia di manodopera. In pratica, la società utilizzava lavoratori che formalmente dipendevano da un’altra entità, ma che in realtà operavano alle sue dirette dipendenze, deducendo il costo come se si trattasse di un normale appalto di servizi.

Il Percorso Giudiziario: Dall’Assoluzione alla Condanna

Il percorso giudiziario del caso è stato altalenante. In primo grado, il Tribunale aveva assolto l’imprenditore. La motivazione si basava sulla distinzione tra inesistenza oggettiva (l’operazione non è mai avvenuta) e soggettiva (l’operazione è avvenuta ma tra soggetti diversi). Secondo il primo giudice, ai fini delle imposte dirette, solo l’inesistenza oggettiva poteva configurare il reato, poiché il costo, essendo stato effettivamente sostenuto, era deducibile.

La Corte d’appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione, condannando l’imputato. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’operazione fosse una simulazione: un illecito contratto di somministrazione di manodopera mascherato da appalto di servizi. Di conseguenza, le fatture erano mendaci e il loro utilizzo in dichiarazione integrava il reato.

Le Motivazioni della Cassazione e l’uso di fatture soggettivamente inesistenti

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’imprenditore, confermando la condanna. Le motivazioni della sentenza sono fondamentali per comprendere la portata del reato di dichiarazione fraudolenta. La Corte ha stabilito che, anche se un costo è stato effettivamente sostenuto, non è sufficiente per garantirne la deducibilità. Ciò che conta è la natura giuridica dell’operazione documentata.

Nel caso di specie, le fatture si riferivano formalmente a un contratto di appalto di servizi, ma la realtà sostanziale era un’illecita somministrazione di manodopera. Si tratta di due negozi giuridici profondamente diversi, con conseguenze fiscali e contributive differenti. Utilizzare una fattura che rappresenta un negozio giuridico apparente per nascondere quello reale, fiscalmente non vantaggioso o illecito, integra il delitto previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. La Cassazione ha sottolineato che si tratta di fatture relative a un’operazione “giuridicamente” inesistente, poiché quella documentata non è mai avvenuta, essendo stata sostituita da un’altra.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato e di grande rilevanza pratica per le imprese. L’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti per mascherare operazioni illecite, come la somministrazione irregolare di manodopera, costituisce reato di dichiarazione fraudolenta. Non rileva il fatto che i costi siano stati effettivamente sostenuti né che l’operazione non incida sull’IVA (come nei casi di reverse charge). La fraudolenza risiede nell’utilizzare documenti fiscali che rappresentano una realtà giuridica falsa per ottenere un indebito vantaggio fiscale sulle imposte dirette. Questa decisione rappresenta un monito per le aziende a prestare la massima attenzione alla natura sostanziale dei contratti con i propri fornitori, per evitare di incorrere in gravi conseguenze penali.

L’uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è reato anche se non si evade l’IVA?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2 D.Lgs. 74/2000) si configura anche se l’evasione riguarda solo le imposte dirette, come l’IRPEF, e non l’IVA, ad esempio quando si applica il meccanismo del reverse charge.

Se un’impresa sostiene un costo reale, può essere condannata per aver usato una fattura ‘falsa’?
Sì. Se la fattura descrive un negozio giuridico (es. appalto di servizi) diverso e apparente rispetto a quello realmente intercorso (es. illecita somministrazione di manodopera), l’operazione è considerata giuridicamente inesistente. L’uso di tale fattura in dichiarazione costituisce reato, anche se un costo è stato effettivamente sostenuto.

Cosa si intende per ‘interposizione fittizia di manodopera’ in questo contesto?
Si riferisce a una situazione in cui un’impresa utilizza lavoratori che sono formalmente dipendenti di un’altra società (spesso una ‘scatola vuota’), ma che in realtà operano sotto la sua direzione. L’intero schema è un artificio per mascherare un rapporto di lavoro diretto o una somministrazione illecita, al fine di eludere le norme fiscali, contributive e del lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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