Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14435 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14435 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Empoli il 10/05/1975 COGNOME NOMECOGNOME nato a Cerreto Guidi (FI) il 24/03/1966 NOMECOGNOME nato a Casablanca il 19/02/1981 COGNOME NOMECOGNOME nato ad Empoli il 13/09/1976
avverso la sentenza del 08/06/2023 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta con la quale ha chiesto l’inammissibilit dei ricorsi.
udito il difensore, avv.to COGNOME che si riporta ai ricorsi e ne chiede l’accoglimento. L’avvocato COGNOME si riporta ai motivi insistendo sull’annullamento della sentenza in ragione della prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 8 giugno 2023 la Corte di appello di Firenze in parziale riforma della pronuncia del 17 maggio 2022 del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Firenze – che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati di cui agli artt. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo a), 110 cod. pen., 8 d.lgs n. 74 del 2000 (capo b); NOME COGNOME, NOME COGNOME (limitatamente agli anni d’imposta 2014 e 2015) e NOME COGNOME colpevoli del reato ad ognuno ascritto al capo b) e, ritenuta per il primo la continuazione, concesse agli altri tre l circostanze attenuanti generiche, operata la riduzione per il rito abbreviato prescelto, aveva condannato il COGNOME alla pena di anni tre di reclusione e gli altri tre imputati alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione, oltre a pagamento delle spese processuali, delle pene accessorie, ordinando altresì la confisca – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in riferimento alle fatture di cui al capo b) emesse da RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE fino al 24 maggio 2013 e nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in riferimento a tutte le fatture emesse fino a tale data, perché estinti per prescrizione, rideterminando la pena inflitta a NOME COGNOME in anni due, mesi otto di reclusione con revoca della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici; quella inflitta a NOME COGNOME e NOME COGNOME in anni uno, mesi due di reclusione, confermando nel resto la pronuncia.
Hanno proposto ricorso per cassazione i quattro imputati indicati in epigrafe.
2.1 Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME, hanno affidato il ricorso proposto ad un unico composito motivo, con il quale deducono erronea applicazione degli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché mancanza, illogicità della motivazione e motivazione apparente in relazione alle deduzioni difensive contenute nell’atto di appello e alla memoria difensiva depositata il 19 maggio 2023.
Si afferma che tanto la sentenza di primo grado, quanto quella di appello hanno fatto propri gli esiti della Guardia di Finanza e quelli del perito, e che l pronuncia impugnata, partendo da una indebita sovrapposizione tra la ritenuta mancanza di autonomia tra il consorzio RAGIONE_SOCIALE, legalmente rappresentata dal COGNOME e le società cooperative, di cui il predetto sarebbe stato secondo l’imputazione amministratore di fatto, ed omettendo di confrontarsi con le specifiche doglianze difensive, è incentrata tutta sulla dimostrazione della
mancanza di autonomia gestionale delle cooperative rientranti nel consorzio, da ciò facendo discendere l’inesistenza soggettiva delle prestazioni emesse dalle seconde nei confronti del primo, nonostante il legame tra le une e l’altro fosse definibile in termini non di subappalto ma di affidamento, senza la necessità di specifiche negoziazioni delle condizioni economiche di volta in volta assegnate, bastando il richiamo al contratto di appalto che il consorzio stringeva con i vari committenti.
Si deduce che manca nella sentenza della Corte di appello qualsiasi elemento che vada oltre il dato della presunta eterodirezione, non rinvenendosi né che le operazioni documentate in fattura non fossero state effettuate, né che siano state effettuate da un soggetto diverso e si conclude affermando che le deduzioni difensive, ignorate dalla Corte di appello avrebbero consentito di dimostrare l’esistenza e l’operatività delle consorziate, e così l’esistenza delle prestazion oggetto delle fatture imputate.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME, ha affidato il ricorso proposto a tre motivi.
3.1 Con il primo motivo lamenta contraddittorietà, carenza ed erroneità della motivazione nella parte in cui afferma l’inesistenza soggettiva delle fatture emesse, in particolare, dalla RAGIONE_SOCIALE, fino al 12 marzo 2016, senza confrontarsi con gli elementi oggettivi attestanti l’esistenza materiale (oltre che meramente giuridica) dell’indicata cooperativa, con violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Nel rilevare che la Corte territoriale ha ritenuto la inesistenza soggettiva delle fatture, nonostante avesse affermato l’esistenza giuridica dell’ente, si censura la decisione per non aver preso in considerazione quanto dedotto nel primo motivo di gravame, ossia la sussistenza di numerosi elementi oggettivi, confermati dalla perizia del Prof. COGNOME da cui emergeva una presenza materiale e non solo giuridica o meramente formale delle cooperative, nella realtà commerciale ed imprenditoriale, espressione di una struttura organizzativa idonea ad operare sul mercato, dotata, soprattutto, di autonoma operatività.
Quanto all’omesso versamento dell’IVA, si deduce che le due cooperative RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno versato gran parte dell’IVA dovuta.
3.2 Con il secondo motivo lamenta contraddittorietà, carenza ed erroneità della motivazione nella parte in cui afferma la consapevolezza del ricorrente rispetto al programma criminoso del COGNOME, e pertanto la sussistenza del dolo specifico richiesto dalla norma con violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Si deduce che l’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 non è integrato dalla mera e vaga consapevolezza della potenziale e generica illegittimità della condotta
dell’amministratore di fatto, ma richiede il dolo specifico, consistente nella finalit di evasione delle imposte e si lamenta che sul punto la sentenza taccia del tutto, limitandosi ad affermare la sussistenza del dolo generico e laddove evidenzia elementi asseritamente idonei a ritenere integrato il dolo specifico, essi avrebbero valenza neutra.
3.3 Con il terzo composito motivo, si lamenta contraddittorietà, carenza ed erroneità della motivazione nella parte in cui respinge il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen, con violazione e falsa applicazione della menzionata disposizione, nonchè nella parte in cui respinge la richiesta di sospensione condizionale della pena, con svolgimento di attività non retribuita in favore della collettività, così violando ed applicando erroneamente gli artt. 164 e 165 cod. pen.; infine, nella parte in cui non concede la sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di NOME COGNOME hanno affidato il loro ricorso a due motivi.
4.1 Con il primo motivo, deducono violazione di legge e mancanza parziale e contraddittorietà della motivazione in relazione agli artt. 192 cod. pen e art. 125 cod. proc. pen. per mancata valutazione delle prove decisive assunte e non vagliate.
Si osserva che la Corte non ha esplicitato l’iter argomentativo in base al quale ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 7 del 2000, nonostante l’esistenza di una serie di elementi incompatibili con l’adesione al piano criminoso dell’amministratore di fatto (l’incessante richiesta di nuovi appalti e lavori per ripianare le perdite; il contrasto aperto con il COGNOME non appena scoperti gli appalti in scadenza con la Az Total; la richiesta di trovare e gestire nuovi clienti; il trasferimento della società; la sostituzione d commercialista).
Questi elementi ritenuti rilevanti per escludere la responsabilità dello COGNOME per l’annualità del 2016 avrebbero dovuto essere valutati come indici di estraneità e di inconsapevolezza dei propositi criminosi del COGNOME.
Si contesta che il dolo del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 possa ritenersi, come sembra fare la Corte di appello, in re ipsa essendo necessaria la finalità di evasione e la prova di essa (si cita Sez. 4, n. 16465 del 06/04/2011).
4.2 Con il secondo motivo, si deduce la manifesta illogicità della motivazione rispetto ai dati probatori processuali decisivi raccolti e disponibili.
Si premette che lo COGNOME è stato l’unico dei quattro amministratori di diritto che sin dalla fase delle indagini preliminari, ed in particolare nell’interrogatori reso, non ha sminuito o contestato il suo ruolo di amministratore, ed ha preteso di gestire autonomamente la cooperativa, come sopra indicato, pur se in un
momento successivo a quello iniziale in cui ingenuamente aveva abdicato ai suoi poteri gestori.
L’Avvocato NOME COGNOME ha presentato autonomo ricorso per Nabil COGNOME che riprende sostanzialmente quello proposto per il coimputato COGNOME.
5.1 Con il primo motivo lamenta contraddittorietà, carenza ed erroneità della motivazione nella parte in cui afferma l’inesistenza soggettiva delle fatture emesse, in particolare, dalla RAGIONE_SOCIALE fino al 25 agosto 2014, senza confrontarsi con gli elementi oggettivi attestanti l’esistenza materiale (oltre che meramente giuridica) delle indicate cooperative, con violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Come nel ricorso presentato nell’interesse di COGNOME, si sottolinea l’esistenza di una autonoma operatività delle cooperative sul mercato; la sussistenza di fatture e l’erroneità del ragionamento operato in sentenza; si deduce che le due cooperative – RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno versato gran parte dell’IVA dovuta, circostanza, questa, incompatibile con la ritenuta mera apparenza delle cooperative.
5.2 Con il secondo motivo lamenta contraddittorietà, carenza ed erroneità della motivazione nella parte in cui afferma la consapevolezza del ricorrente rispetto al programma criminoso del COGNOME, e pertanto la sussistenza del dolo specifico richiesto dalla norma con violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Si deduce che l’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 richiede il dolo specifico dell’evasione, i cui elementi non vengono analizzati dalla Corte di appello.
5.3 Con il terzo composito motivo, si lamenta contraddittorietà, carenza ed erroneità della motivazione nella parte in cui respinge il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen, con violazione e falsa applicazione della menzionata disposizione.
Si deduce, quanto all’art. 114 cod. pen., che il ruolo del ricorrente, al pari degli altri amministratori di diritto, fosse completamente subordinato al volere ed all’autorità del COGNOME, unico ideatore ed attuatore del sistema contestato, e sia durato un tempo limitato, avendo il COGNOME ricoperto la carica di legale rappresentante della Valdelsa dal febbraio 2013 al settembre 2014.
Con requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso del COGNOME, al primo motivo di ricorso del COGNOME e del COGNOME e al secondo motivo di ricorso dello COGNOME la Procura generale evidenzia che i giudici di merito si sono allineati ai principi espressi da questa Corte, avendo ampiamente illustrato le plurime ragioni della ritenuta insussistenza delle operazioni sottese ai rapporti tra il Consorzio MC
RAGIONE_SOCIALE, della quale il COGNOME era il legale rappresentante, e le varie società cooperative, desunte da una serie di elementi frutto di un impianto probatorio ben più ampio ed articolato di quello prospettato dalla difesa, concretizzatosi in documenti, dichiarazioni testimoniali ed intercettazioni.
Si sostiene, in particolare, che le difese si confrontano in misura molto ridotta con il percorso motivazionale dei giudici di merito e non forniscono elementi idonei a contrastare i plurimi fattori indicativi dell’inesistenza delle cooperative conseguentemente, delle fatture da loro emesse, né comprovano l’effettività delle prestazioni che le cooperative avrebbero svolto
Quanto al secondo motivo di ricorso del COGNOME e del COGNOME e al primo motivo di ricorso dello COGNOME si rammenta che il dolo generico del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 consiste nella coscienza e nella volontà dell’emissione o del rilascio di documentazione falsa con la consapevolezza che l’operazione in essa rappresentata è inesistente; si aggiunge che l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (si cita Sez. F, n 31142 del 11/08/2022, COGNOME, Rv. 283708).
Nel caso di specie, si afferma che il dolo è stato correttamente configurato alla luce della disponibilità del Taj e del COGNOME a prestare il ruolo lor assegnato dal COGNOME dietro compenso mensile, partecipando attivamente all’ideazione e all’attuazione del programma criminoso, del quale conoscevano il meccanismo, come emergeva dal contenuto delle conversazioni intercettate, inerenti alle modalità di fatturazione sul fabbisogno, sulla nomina di fittizi legal rappresentanti e di liquidatori compiacenti. Essi eseguivano ogni ordine operativo, gestionale e finanziario finalizzati all’univoco progetto di non pagare VIVA. Il mutamento di intenti dello Zaccardo avvenuto solo in una fase successiva, è stato anch’esso, a sua volta, correttamente ritenuto irrilevante, apparendo invece la sua posizione identica a quella delle altre teste di legno sotto i profili oggettivo soggettivo.
Con riferimento al terzo motivo del ricorso del Taj si evidenzia che la Corte distrettuale, con motivazione esaustiva ed esente da vizi logici, ha ritenuto non concedibile l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., evidenziando la lunga durata dell’assoggettamento del Taj alle trame illecite del COGNOME nonostante la possibilità di sottrarvisi.
Quanto al terzo motivo del ricorso del COGNOME si rileva che la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti sono inammissibili per le ragioni di seguito esplicitate.
1. Va premesso che nel caso in esame ricorre la c.d. “doppia conforme” e la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda perfettamente con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale. (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 27721801; in termini conformi, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615-01;).
Va altresì evidenziato che nel caso in esame i giudici della Corte di appello di Firenze hanno esaminato le censure proposte dai singoli appellanti con criteri omogenei a quelli usati dal Tribunale di Firenze e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione, anche in ragione del fatto che i motivi di gravame, illustrati nella prima parte della decisione della corte territoriale, non hanno riguardato elementi nuovi emersi in grado di appello – con la sola eccezione relativa alla omessa valutazione della memoria avanzata dall’imputato COGNOME – ma hanno avuto ad oggetti elementi che già facevano parte del compendio probatorio, costituito da documentazione, da prove testimoniali, da consulenze, da intercettazioni e anche da dichiarazioni degli imputati (che si versi, in questa situazione, in un tipico caso di “doppia conforme” cfr. le già citate Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez.3, n.13926 del 01/12/2011, COGNOME, Ry.252615-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 Argentieri).
Tanto premesso, l’unico composito motivo di ricorso proposto da COGNOME può essere trattato congiuntamente al primo motivo dell’imputato COGNOME e al primo motivo dell’imputato COGNOME vertendo tutti, con argomentazioni che si sovrappongono, sulla inesistenza soggettiva delle fatture per operazioni inesistenti, che i ricorrenti contestano, tanto con riferimento alla condotta di utilizzazione delle stesse, contestata al capo a) al solo imputato COGNOME in qualità di legale rappresentante del Consorzio RAGIONE_SOCIALE; quanto con riferimento alla condotta di emissione delle menzionate fatture, contestata al capo b), al COGNOME, quale amministratore di fatto delle società cooperative, in concorso con gli amministratori di diritto – COGNOME e COGNOME – delle cooperative stesse.
2.1 Sul tema va premesso che, in base all’orientamento che questo Collegio condivide, il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’ar
8 del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, è configurabile anche in caso di emissione di fatture fra società facenti capo allo stesso soggetto, atteso che anche in tale ipotesi si delinea la intersoggettività richiesta per integrare la finalità di consentire a te l’evasione dall’imposta. (Sez. 3, Sentenza n. 13947 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233928 – 01) ed è configurabile anche nel caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, in cui l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e non vi sia, tuttavia, corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura o altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto, anche in tal caso, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Sez. 3, n. 16576 del 01/03/2023, COGNOME, Rv. 284494-01).
Parimenti, si è affermato che il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (contestato al solo COGNOME al capo a) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indica e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura (Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010, COGNOME, Rv. 246327 – 01).
Si è altresì detto, in tema di associazione a delinquere, che integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata alla commissione di reati di emissione e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti il costante e continuo ricorso alla copertura fiscale assicurata dal rilascio di fatture per operazioni inesistenti da parte di società cartiere costituite e organizzate da un’associazione per delinquere, la cui operatività sia finanziata dalle illecite provvigioni versat dagli apparenti acquirenti su ogni transazione, trattandosi di condotta che determina uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilità all’utilizzo del pianificato meccanismo fraudolento, mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole, che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso. (Sez. 3, n. 8472 del 17/01/2023, Latempa, Rv. 284201 – 01).
2.2 I giudici di merito hanno ritenuto che nel caso in esame si configurino i reati di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, analizzando e collegando una serie di indici sintomatici, da cui è emerso che il COGNOME, in qualità di legale rappresentante del RAGIONE_SOCIALE e di amministratore di fatto delle singole cooperative, solo formalmente riconducibili agli altri imputati, tutte “teste di legno” nominate amministratori di diritto, creato, avvalendosi dell’apporto di questi ultimi, un sistema finalizzato al cd “salto”
dell’IVA e ha ritenuto dimostrata, con motivazione priva di profili di illogicità l’inesistenza soggettiva delle fatture, con riferimento ai soggetti emittenti (le singole cooperative) tutti giuridicamente esistenti.
Nel caso di specie, la costituzione da parte del COGNOME delle varie società cooperative, tutte legalmente rappresentate da fittizi amministratori; la sede legale ed operativa delle cooperative nel medesimo luogo in aveva sede legale il Consorzio; la scelta di soggetti nullatenenti o in avanzato stato di età, spesso già dipendenti, quali legali rappresentanti delle cooperative; la retribuzione per la carica assunta e la mancanza di potere decisionale in capo agli amministratori di diritto, che erano eterodiretti dal COGNOME; la consapevolezza da parte degli amministratori di essere “teste di legno”, emergente dalle intercettazioni tra gli imputati, oltre che dalle dichiarazioni rese da ex dipendenti del consorzio; le sommarie informazioni raccolte da cui emergeva che il COGNOME dava istruzioni agli amministratori delle cooperative, definite “scatole cinesi”, che provvedevano poi a versare a quest’ultimo i pagamenti effettuati; la mancanza di contrattazione tra il Consorzio e le cooperative sia per quanto concerne i loro reciproci rapporti, sia per quanto riguarda, più in generale, l’esecuzione delle attività e gli aspetti economici; la qualificazione come soci delle cooperative di meri lavoratori dipendenti della RAGIONE_SOCIALE; la consistente quota di dipendenti transitati da una cooperativa all’altra, in particolar modo quando venivano poste in liquidazione; la breve vita delle cooperative, poste in liquidazione in coincidenza con le annualità delle operazioni soggettivamente inesistenti, con nomina di liquidatori compiacenti, sono tutti elementi valutati dai giudici di merito, con una motivazione immune da censure, perché congrua, giuridicamente corretta e priva di salti logici, come indicativi sia dell’esistenza solo formalmente giuridica delle cooperative, non anche della loro operatività concreta, sia della creazione delle indicate cooperative al solo scopo di fare emettere dalle stesse fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, utilizzate dal Consorzio, che in tal modo indicava nelle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi, al fine di evadere l imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo la ricostruzione operata secondo criteri logici e coerenti dai giudici di merito, il Consorzio, legalmente rappresentato dal COGNOME, stipulava con i clienti committenti le varie commesse ma affidava poi la formale esecuzione delle varie prestazioni (tra cui facchinaggio trasporto merci pulizie ed altro), alle cooperative, create artificiosamente con il meccanismo sopra descritto ed aventi le caratteristiche sopra indicate, il tutto senza stipulare con esse alcun tipo di contrattazione; le fatture venivano quindi formalmente emesse dalle cooperative in favore del Consorzio, ma la prestazione era di fatto materialmente eseguita dai dipendenti del consorzio, che figuravano come soci della cooperativa stessa.
Attraverso questo meccanismo, il consorzio riusciva a stipulare commesse a prezzi concorrenziali (resi possibili per il sistematico omesso versamento delle imposte per lo più dell’iva e talvolta anche dei contributi previdenziali da parte dell imprese consorziate che materialmente rendono i servizi mediante il proprio personale) facendo apparire le prestazioni come eseguite dalle cooperative, mentre in realtà esse venivano effettuate dallo stesso personale del consorzio e non già dalle consorziate.
Per i giudici di merito le fatture emesse formalmente dalle cooperative sono relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto la prestazione veniva concretamente eseguita dal consorzio, attraverso i suoi dipendenti, e tale valutazione, a parere di questo collegio, può ritenersi giuridicamente corretta, ponendosi in linea con l’orientamento espresso da questa Corte in tema di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e con il principio di diritto espresso da Sez. 3, n. 8472 del 17/01/2023, Latempa, cit., che pur se riferito nello specifico ad una associazione, può tuttavia trovare applicazione anche in questa fattispecie, nella quale viene in rilievo un “sistema”, quale quello del COGNOME, caratterizzato dal coinvolgimento sistematico di una serie di persone fidate, con il ruolo di amministratori di diritto “teste di legno” delle cooperative, disposte a sottostare agli ordini del COGNOME e da questi regolarmente retribuite, che era stato creato al fine di far emettere da cooperative solo giuridicamente esistenti fatture relative ad operazioni concretamente e materialmente eseguite dal Consorzio, attraverso suoi dipendenti che figurano soci delle cooperative, e ciò al fine specifico di evadere RAGIONE_SOCIALE.
2.3 Sulla ricostruzione e più in generale su tutta la motivazione resa in punto di analisi delle fatture soggettivamente inesistente e di sussistenza delle fattispecie di reato in contestazione, operata dai giudici di merito, la difesa dei ricorrenti non risulta confrontarsi efficacemente, posto che nell’unico motivo di ricorso proposto dal COGNOME, gli indicati elementi vengono di fatto sostanzialmente obliterati dalla difesa che insiste sulla propria versione dei fatti, ossia che il consorzio rientra nell specifica categoria del cd Consorzio Stabile di cui all’art. 45, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016 e che il rapporto tra lo stesso e le cooperative non è di sub appalto e non di affidamento; che le cooperative non necessitavano di sedi legali e operative particolari; che esse erano pienamente operative; che le compensazioni con le quote sociali, come forma di pagamento del consorzio, non era un’operazione con finalità di evasione fiscale e che (solo) dalla eterodirezione da parte del Mugnaini1giudici di merito avrebbero desunto l’inesistenza soggettiva delle fatture emesse, non rinvenendosi né che le operazioni documentate in fattura non fossero state effettuate, né che siano state effettuate da un soggetto differente.
Parimenti, nel primo motivo di censura degli imputati COGNOME e COGNOME i descritti elementi vengono indicati come “neutri”, e si insiste sul fatto che le cooperative erano operative, tanto da aver versato anche RAGIONE_SOCIALE; che il consorzio, anche se era il principale cliente con il quale le cooperative lavoravano, non era comunque l’unico ed esclusivo, affermandosi che l’inesistenza di fatto di un ente giuridicamente costituito da cui discende l’inesistenza soggettiva delle fatture emesse dal medesimo o è assoluta o non può essere predicata per una parte dell’attività del medesimo e per una parte del suo fatturato.
2.4 Ritiene questo Collegio, quanto alla doglianza mossa dalla difesa del COGNOME nell’unico composito motivo di ricorso, che essa omette un confronto critico con le affermazioni della Corte di appello sia nella parte in cui la sentenza impugnata evidenzia, con riferimento alla mancanza di contrattazione, che anche nel caso del Consorzio RAGIONE_SOCIALE il rapporto deve essere di collaborazione, mentre nella specie era evidente la sostituzione del consorzio (rectius: del COGNOME) alle società cooperative consorziate, sia laddove osserva che la forma giuridica del RAGIONE_SOCIALE viene acquisita solo il 2 aprile 2014 e che in ogni caso gli organi deliberativi delle società cooperative non avevano alcuna autonoma gestione decisoria rispetto alla volontà dell’amministratore di fatto; sia laddove valorizza tutti gli indicati elementi ed analizza il sistema creato dal COGNOME nel suo complesso (e non, quindi, soltanto la eterodirezione del COGNOME, come invece si sostiene nel ricorso), pervenendo, con un percorso motivazionale che fa corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in tema, a ritenere le fatture emesse dalle singole cooperative ed annotate dal Consorzio come relative ad operazioni soggettivamente, nei termini sopraindicati, inesistenti, finalizzate nella specie al cd “salto” dell’IVA.
Quanto poi all’omessa valutazione da parte della Corte di appello della memoria difensiva depositata alla Corte di appello il 19 maggio 2024, nessuna censura può essere mossa ai giudici territoriali che richiamano in più punti della decisione la perizia, contenente anche l’analisi dei bilanci delle società, oggetto della memoria, così analizzando la questione oggetto della memoria, pur senza farne espressa menzione.
In conclusione, deve ritenersi inammissibile, per genericità, il ricorso proposto dal COGNOME, dovendosi ricordare, in punto di diritto, che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).
2.5 Quanto alle doglianze mosse rispettivamente nel primo motivo di ricorso dalla difesa di COGNOME e del COGNOME va evidenziato che esse omettono del tutto di
confrontarsi con ciò che è stato affermato dai giudici di merito e si risolvono pertanto in una critica meramente apparente alla Corte di appello che, diversamente da quanto sostenuto dalle difese degli imputati, ha chiarito, con motivazione congrua e lineare, che l’inesistenza soggettiva delle fatture, con riferimento al soggetto emittente, di per sé non postula l’inesistenza giuridica della cooperativa, la quale, proprio per poter operare, sia pure quale schermo, deve avere una propria identità giuridica.
Non si ravvisa dunque alcuna contraddittorietà tra il ritenere l’esistenza giuridica di enti e l’inesistenza soggettiva delle operazioni effettuate, posto che le cooperative erano formalmente esistenti e nei primi tempi hanno anche provveduto al versamento dell’IVA e di quanto dovuto, salvo poi, in coincidenza con le annualità delle operazioni soggettivamente inesistenti, essere messe in liquidazione così da farsi carico dei costi relativi al personale e agli obblighi d versamento delle imposte e dei contributi, poi disattesi, con evidente manifesta infondatezza della prima doglianza mossa dai ricorrenti, laddove si evidenzia che tanto la RAGIONE_SOCIALE quanto la RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente formalmente amministrate dal COGNOME e dal COGNOME, risultavano aver pagato RAGIONE_SOCIALE
Premesso che i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti e disattesi nel precedente grado di giudizio – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato, mancando di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 21432 del 15/03/2023, Rv. 284718; Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112), il primo motivo di ricorso del COGNOME e del COGNOME devono considerarsi inammissibili, difettando l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato.
3. Inammissibili sono anche il secondo motivo del ricorso proposto dallo COGNOME, il secondo motivo del ricorso del Taj, nonché i due motivi del ricorso proposto dallo COGNOME, che possono essere trattati congiuntamente riguardando tutti l’elemento soggettivo del reato loro ascritto al capo b) dell’imputazione, ossia il delitto di emissione di fatture relative ad operazioni (soggettivamente) inesistenti, contestandosi la consapevolezza da parte dei ricorrenti del programma criminoso del COGNOME e dunque la sussistenza del dolo specifico richiesto dall’art. 8 d.igs. n. 74 del 2000
3.1 Premesso che tanto il COGNOME, quanto il COGNOME e lo COGNOME erano, come evidenziato in precedenza, “teste di legno”, nominate dal COGNOME amministratori di diritto delle cooperative, questo Collegio condivide il principio secondo cui la prova del dolo specifico dei reati tributari di cui agli artt. 5, 8 e 10 del d.lgs n. del 2000 in capo all’amministratore di diritto di una società, che funge da mero prestanome, può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018 (dep. 2019), COGNOME, Rv. 275830-01), posto che in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sussiste il dolo specifico, richiesto per la configurabilità del delitto, nel caso in cui l’emittente, perseguendo un proprio interesse, agisce nella consapevolezza che il destinatario intende utilizzare la fattura a fini di evasione fiscale (Sez. 3, n. 42819 del 01/10/2024, Giardino, Rv. 287093 – 01) e che l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento. (Sez. F, n. 31142 del 11/08/2022, COGNOME Rv. 283708 – 01).
3.2 Nessuna censura può essere mossa alla Corte di appello che, con motivazione che fa corretta applicazione dei menzionati principi di diritto, ha ritenuto non accoglibili i motivi di appello tesi ad escludere la responsabilità concorsuale degli amministratori di diritto, posto che gli stessi, sia pure esautorati dal loro potere decisionale e gestorio, risultavano essere perfettamente consapevoli del sistema creato dal COGNOME.
Tale consapevolezza, in particolare, è stata, correttamente, desunta, oltre che dalla retribuzione per il ruolo assunto, anche dalle stesse dichiarazioni degli imputati, i quali, pur riconoscendo il ruolo egemone del COGNOME, hanno riferito di essersi prestati volontariamente a svolgere l’attività (si indicano le conversazioni captate in ambientale all’interno dei locali del consorzio tra il COGNOME e un dipendente); risultavano essere a conoscenza delle manovre poste in essere dal COGNOME, della modalità di fatturazione, del fabbisogno, della nomina di fittizi legali rappresentanti e fittizi liquidatori, che per l’età “non rischiavano di andare i carcere”; omettevano, pur avendo una posizione di garanzia, qualunque vigilanza e controllo, che gli erano imposti per il ruolo assunto.
Quanto poi allo COGNOME, del quale si dà atto che tra i vari amministratori di diritto sin dalla fase delle indagini preliminari, ed in particolare nell’interrogato reso, è quello che non ha sminuito o contestato il suo ruolo di amministratore, e
che ha preteso di gestire autonomamente la cooperativa, la Corte, con motivazione immune da censure, evidenzia che non vale ad escludere la consapevole partecipazione al fine illecito dell’evasione dell’IVA, il comportamento successivamente messo in atto dall’imputato di riprendere in mano le sorti gestorie della cooperativa dall’anno 2016, e nessuna censura può muoversi ai giudici di merito che, senza incorrere in alcuna contraddizione, lo hanno assolto dai fatti successivi al 2016, ritenendolo responsabile per gli anni pregressi, quando operava come mera testa di legno.
Alla luce di queste considerazioni devono ritenersi inammissibili sia il secondo motivo del ricorso del COGNOME, sia il secondo motivo del ricorso del Taj, sia i due motivi di cui si compone il ricorso dello COGNOME, dovendosi segnalare che alla Corte di cassazione sono precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, che l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrent come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
Inammissibili sono il terzo motivo del ricorso del COGNOME e il terzo motivo del ricorso del Taj.
4.1 Nessuna censura può essere mossa al provvedimento impugnato in relazione all’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. (motivo comune sia al COGNOME che al COGNOME) in ragione del continuativo apporto concorsuale nelle condotte contestate.
Va sul punto evidenziato che tale affermazione si pone in linea con l’orientamento costante di questa Corte, cui aderisce il collegio, secondo cui in tema di concorso di persone nel reato, l’attenuante della partecipazione di minima importanza non è configurabile nei confronti dell’amministratore formale della società che abbia omesso qualsiasi controllo sull’attività dell’amministratore di fatto poiché, in tal modo, non solo ha favorito la commissione di condotte criminose di quest’ultimo, ma ha fornito un contributo essenziale e indefettibile per la realizzazione dei reati fallimentari. (Sez. 5, n. 16109 del 06/02/2024, COGNOME, Rv. 286369-01; in termini conformi anche Sez. 5, n. 40092 del 06/07/2011, COGNOME, Rv. 251121-01).
4.2 Parimenti, quanto alla reiezione delle richieste di subordinazione della sospensione condizionale allo svolgimento di attività non retribuita in favore della collettività oggetto del terzo motivo di doglianza del solo ricorrente COGNOME la decisione assunta dalla Corte territoriale fa corretta applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, laddove ha ritenuto che la spregiudicatezza mostrata dal ricorrente nell’essersi per anni assoggettato all’agire
illecito del COGNOME non potesse consentire una prognosi futura favorevole di astensione da altre condotte illecite.
Premesso che è indubbio che la subordinazione della sospensione condizionale della pena è frutto di una valutazione discrezionale che il giudice compie, sempre vincolata alla sussistenza dei presupposti legittimanti la stessa, va evidenziato che il giudice, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione, quale, come nel caso in esame, la spregiudicatezza mostrata dal ricorrente per anni per essersi assoggettato all’agire illecito dell’amministratore di fatto.
4.3 In relazione alla richiesta di concessione della sostituzione della pena detentiva con la pena sostitutiva, oggetto del terzo motivo di doglianza del solo COGNOME la decisione assunta dalla Corte territoriale ha ritenuto che la genericità della richiesta di sostituzione non permettesse una effettiva valutazione da parte del giudice che in ogni caso non poteva formulare una prognosi positiva sulla finalità rieducazione, in considerazione della condotta osservata, del perdurante debito fiscale e del mancato pagamento di esso.
Anche con riferimento a tale richiesta la Corte ha fatto corretta applicazione, nel caso di specie, dei principi giurisprudenziali in tema, cui aderisce questo collegio, secondo cui il giudice, in caso di diniego della sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva, non può limitarsi a valutare la congruità della pena attraverso i criteri di gravità del fatto e di pericolosità del soggetto, ma è tenuto anche a motivare, in chiave prognostica, le ragioni per cui gli elementi considerati rendono la pena sostitutiva inidonea a raggiungere la finalità rieducativa. (Sez. 5, n. 39162 del 04/10/2024, F., Rv. 287062-01).
5 Manifestamente infondata è infine, la richiesta di annullamento per prescrizione, avanzata in sede di conclusioni scritte.
5.1 Le annualità per le quali è intervenuta condanna, al momento della pronuncia della sentenza di appello, non erano estinte per prescrizione e l’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266).
5.2 Secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, la proposizione di un ricorso inammissibile, come quello in esame, non consente la costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del giudicato sostanziale, con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, 12602 del 17/12/2015,
COGNOME, Rv. 266818; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164; Sez.
U, n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266; Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, Piepoli,
Rv. 213981; Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, COGNOME, Rv. 199903).
6. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere per i ricorrenti del pagamento delle spese del procedimento nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità”, quello del versamento della somma, in favore della
Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1
comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso,
considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/02/2025.