Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6776 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6776 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
FE . 2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Castronuovo di Sant’Andrea il 16/01/1956
avverso la sentenza emessa il 12/01/2024 dalla Corte d’Appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/01/2024, la Corte d’Appello di Firenze ha parzialmente riformato (dichiarando estinto per intervenuta prescrizione il reato concernente la dichiarazione ai fini IVA del 28/02/2013, rideterminando il trattamento sanzionatorio per il residuo reato previa concessione di attenuanti generiche, applicando la sospensione condizionale della pena, e confermando nel resto) la
sentenza emessa dal Tribunale di Firenze, in data 13/02/2023, con la quale NOME COGNOME NOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, limitatamente alle dichiarazioni ai fini IVA d 28/02/2013 e del 28/02/2014, a lui ascritto nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (il Tribunale aveva invece assolto il NOME COGNOME dalle residue imputazioni di dichiarazione fraudolenta contestate, con riferimento ai medesimi anni di imposta, quanto alle dichiarazioni ai fini IRES).
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta inesistenza della duplice operazione di cessione delle autorizzazioni al commercio di specialità medicinali (d’ora in avanti: AIC), oggetto delle fatture, senza tener conto dei contratti di vendita stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE e poi da quest’ultima alla RAGIONE_SOCIALE
In particolare, si censura la sentenza per avere la Corte disatteso il motivo imperniato sulla non necessità dell’iscrizione all’AIFA, qualora il cessionario delle autorizzazioni non intenda dedicarsi in proprio alla messa in commercio o provvedere alla commercializzazione diretta dei medicinali, ma solo alla compravendita dei titoli abilitativi (come avvenuto nella specie con la INFOGEST).
Si lamenta inoltre la mancata considerazione dell’ipotesi alternativa a quella accusatoria, secondo la quale la RAGIONE_SOCIALE – lungi dal risultare un mero schermo interpostosi tra le altre due società – aveva effettivamente acquistato le RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE (che non aveva più interesse a tenerle nel portafoglio), e le aveva poi rivendute alla RAGIONE_SOCIALE – realizzando un profitto – ad un prezzo maggiore ma corrispondente al valore di mercato, mentre la RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato licenze funzionali alla propria attività di commercializzazione dei relativi farmaci. Sul punto, si deduce che i giudici di merito erano incorsi nel medesimo travisamento, non avendo considerato il contratto ad effetti reali intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non potendosi quindi ritenere l’operazione complessiva soggettivamente inesistente, in quanto la RAGIONE_SOCIALE aveva realmente acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE quanto poi rivenduto alla RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Violazione di legge con riferimento agli artt. 1372 e 1376 cod. civ., applicabili alle operazioni negoziali intercorse tra i soggetti indicati.
2.3. Vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità per la dichiarazione del 28/02/2014. Si ribadiscono le censure al percorso argomentativo adottato per ritenere le operazioni soggettivamente inesistenti (RAGIONE_SOCIALE priva di dipendenti e di sedi secondarie; mancanza di utenze presso la sede principale; bilanci e dichiarazioni fiscali mai depositate; legale rappresentante mai presentatosi alle convocazioni in sede di verifica fiscale,
ecc.), e si lamenta il carattere meramente congetturale della motivazione adottata per spiegare la necessità di evitare operazioni dirette tra società dello stesso gruppo, per essere certi della detraibilità dell’IVA. Si censura altresì la mancata considerazione della spiegazione alternativa data dal COGNOME (stando al quale la RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato particolare interesse all’acquisito delle AIC, ma le sue successive intenzioni di rivenderle a società concorrenti – le quali avrebbero rivenduto i medicinali con prezzo ribassato, con conseguenti danni economici e di immagine a società del gruppo – aveva indotto la RAGIONE_SOCIALE al riacquisto corrispondendo un plusvalore a RAGIONE_SOCIALE).
A tale ultimo proposito, la difesa evidenzia che spiegazione del COGNOME era stata accolta – quanto meno come ipotesi alternativa non superata dalle prove acquisite dall’accusa – in altro processo definito dal Tribunale di Pistoia, che aveva ad oggetto la vendita dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE. Sotto altro profilo, si censura la sentenza per aver ritenuto fittizia l’interposizione della RAGIONE_SOCIALE (dato che senza di essa la RAGIONE_SOCIALE avrebbe pagato alla RAGIONE_SOCIALE un prezzo inferiore), essendo tale assunto in contrasto con la ritenuta congruità del prezzo pagato dalla CIPROS: valutazione che aveva determinato l’assoluzione quanto alla dichiarazione presentata ai fini IRES).
2.4. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo specifico. Si censura il richiamo ad un precedente giurisprudenziale in realtà inconferente, perché la RAGIONE_SOCIALE aveva regolarmente fatturato la vendita a RAGIONE_SOCIALE e versato la relativa IVA, mentre nel caso di specie era la RAGIONE_SOCIALE l’unico soggetto cui poter ascrivere la condotta evasiva, dato che, secondo l’impostazione accusatoria, non aveva in realtà effettuato la prestazione: si evidenzia peraltro che, su di essa, il COGNOME non aveva alcun potere di controllo. In tale prospettiva, si censura come inconferente il richiamo all’abbattimento dell’imponibile da parte della CIPROS, e si sottolinea che – alla luce del volume di affari dichiarato da tale società per l’anno 2013, ben superiore a Euro 1.200.000,00 – il dolo specifico non poteva essere desunto dall’importo (sostanzialmente irrilevante) dell’IVA recuperata dall’Agenzia delle Entrate (Euro 75.180,00).
2.5. Vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta consapevolezza, in capo al ricorrente, del mancato versamento dell’IVA da parte di RAGIONE_SOCIALE. Si censura il travisamento in cui i giudici di merito erano incorsi, avendo RAGIONE_SOCIALE fatto riferimento alla visura della camera di commercio e ai rapporti già in essere con il padre del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, e avendo il ricorrente fornito una propria ricostruzione all’Agenzia delle Entrate nel senso già precisato: documenti non considerati dal giudice di appello.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per il carattere reiterativo dell doglianze formulate in presenza di una “doppia conforme” congruamente motivata, ed in assenza di travisamenti del rilievo denunciabile in caso di conformi decisioni di condanna.
Con memoria tempestivamente trasmessa, il difensore replica al P.G. richiamando le considerazioni svolte e producendo la sentenza del Tribunale di Pistoia richiamata nei motivi di ricorso, munita dell’attestazione di irrevocabilità.
Con altra memoria, il difensore evidenzia l’infondatezza delle eccezioni di inammissibilità del ricorso, evidenziando l’effettività del travisamento denunciato, l’omessa valutazione di atti ritenuti decisivi, l’illogicità della motivazione adottat in punto di elemento soggettivo. Si deduce conclusivamente, su tali basi, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Come già ricordato nell’esposizione che precede, la sentenza oggetto dell’odierno ricorso ha confermato la condanna del COGNOME in relazione al residuo delitto di dichiarazione fraudolenta ai fini IVA, per l’anno 2013, a lui ascritto quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE Tale reato era stato contestato con riferimento alle fatture, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, concernenti la rivendita alla RAGIONE_SOCIALE delle AIC che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva precedentemente acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE: fatture registrate nelle scritture CIPROS, e ritenute soggettivamente inesistenti.
Si è visto anche, nella precedente esposizione, che l’impianto accusatorio è stato censurato dalla difesa ricorrente sotto una pluralità di aspetti.
In particolare, la prospettazione dell’accusa, imperniata sul carattere fittizio della cessione delle autorizzazioni dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, è stata contestata ponendo in evidenza, con i vari motivi di ricorso: l’effettività sia di tale operazion (oggetto delle fatture per cui è causa) sia di quella, precedente, di vendita dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE; la conseguente violazione, da parte dei giudici di merito, della normativa civilistica in tema di trasferimento della proprietà; i mancato apprezzamento della spiegazione alternativa, del tutto fisiologica in ambito commerciale, fornita dal DI COGNOME in ordine al duplice passaggio delle autorizzazioni; la conseguente insussistenza del reato anche quanto alla necessaria configurabilità del dolo specifico di evasione; il riscontro offerto, all ricostruzione difensiva, dalla sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Pistoia nei confronti del DI COGNOME.
Tali articolate censure appaiono, ad avviso di questo Collegio, suscettibili di una trattazione congiunta, essendo accomunate da un difetto di specificità rispetto alla “doppia conforme” di condanna.
Deve infatti osservarsi che la difesa ricorrente, nel contestare il carattere fittizio del doppio passaggio – la vendita delle AIC dalla COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE era stata seguita, a distanza di poco più di due settimane, dalla rivendita delle medesime autorizzazioni alla RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva corrisposto alla RAGIONE_SOCIALE un prezzo maggiorato di circa 86.000 Euro – evita di confrontarsi con una serie di elementi cui i giudici di merito hanno attribuito, tutt’altro che illogicamente, una centrale ed anzi decisiva rilevanza.
Si allude, in primo luogo (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), al fatto che la RAGIONE_SOCIALE – risultata priva di dipendenti, sedi secondarie, utenze attive anche presso la sede principale – non aveva mai presentato bilanci né dichiarazioni fiscali, né aveva risposto alle convocazioni degli operanti in sede di verifica tributaria. Tali condizioni, peraltro, non avevano impedito alla RAGIONE_SOCIALE di emettere fatture nei confronti di varie società, ed in particolare, nel periodo di interesse per l’odierno procedimento (anni 2012 e 2013), nei confronti delle sole società facenti parte del “gruppo RAGIONE_SOCIALE“: la capogruppo RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (oltre ad una terza compagine sociale).
Inoltre, con riferimento a tali due società del gruppo, viene in rilievo non solo il fatto che la RAGIONE_SOCIALE, ovvero la cessionaria finale delle autorizzazioni, era partecipata al 60% dalla RAGIONE_SOCIALE (originaria cedente), ma anche – ed anzi soprattutto – il fatto che entrambe le società, al momento delle operazioni per cui è causa, erano amministrate dal DI SARIO (cfr. pag. 7, cit.).
Appare superfluo sottolineare il dirompente rilievo che tale ultima circostanza viene ad assumere nella prospettiva accusatoria, rendendo addirittura ovvia la conclusione della Corte territoriale, secondo cui “non si comprende (né l’appellante lo allega) quale sia stato il ruolo in concreto svolto dalla RAGIONE_SOCIALE, che le ha altresì consentito di conseguire, al momento della rivendita delle AIC, una maggiorazione rispetto al prezzo di acquisto, tanto più che detta società si è frapposta tra due società facenti parte del medesimo gruppo e che, dunque, evitando detta maggiorazione e comunque fissando un prezzo corrispondente all’effettiva utilità della controllata RAGIONE_SOCIALE, avrebbero potuto eseguire l’operazione senza tale dispendiosa interposizione e realizzando criteri di maggiore economicità” (cfr. pag. 7, cit.).
Non può in astratto escludersi che una doppia operazione, quale quella per cui è causa, possa rispondere ad una qualche logica imprenditoriale-commerciale: è certo però che la difesa ricorrente, nel lamentare il mancato apprezzamento di tale diversa ipotesi ricostruttiva nei termini precedentemente indicati, non poteva in alcun modo esimersi da un preliminare, adeguato confronto con le eclatanti anomalie che connotano la complessiva vicenda, in cui la RAGIONE_SOCIALE si è di fatto interposta tra una capogruppo e una controllata (amministrate entrambe da un
unico soggetto: il COGNOME): anomalie che fondano la concorde valutazione dei giudici di merito circa l’inesistenza soggettiva dell’operazione di rivendita dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, espressa all’esito di un percorso argomentativo del tutto immune da profili di contraddittorietà o illogicità qui deducibili.
Il ricorso si limita invece a prospettare la plausibilità sul piano commerciale della doppia operazione, lamentandone il mancato apprezzamento, fino a dedurre una violazione delle disposizioni civilistiche da parte delle sentenze di merito in tema di trasferimento della proprietà: peraltro, il mancato confronto con le anomalie “di partenza” impone di ritenere tali doglianze prive della indispensabile specificità.
Appare quindi ultroneo soffermarsi sia sulle incerte connotazioni dell’origine della prima cessione (a pag. 15 del ricorso si fa riferimento ad un interesse della RAGIONE_SOCIALE a privarsi di beni immateriali non più di interesse per il proprio portafoglio, mentre a pag. 18 si riporta quanto riferito dal COGNOME all’Agenzia delle Entrate, secondo cui la decisione della BENEDETTI di cedere le autorizzazioni alla RAGIONE_SOCIALE era stata determinata dal “particolare interesse all’acquisto” dimostrato da quest’ultima); sia anche sulla assoluta mancanza di riscontri documentali o testimoniali alla spiegazione fornita in quella sede dal COGNOME anch’essa riportata in ricorso (cfr. pag. 19) – circa la ratio della seconda cessione, stando alla quale la RAGIONE_SOCIALE aveva deciso il riacquisto delle autorizzazioni, a costo di corrispondere un plusvalore alla RAGIONE_SOCIALE, essendo venuta a conoscenza dell’intenzione di quest’ultima di cedere le autorizzazioni a società “genericiste” concorrenti, le quali avrebbero senz’altro proceduto ad una revisione al ribasso dei prezzi al pubblico.
5. La mancanza di adeguato confronto con le anomalie di fondo che connotano la duplice operazione, con particolare riguardo alla inconsistenza strutturale della RAGIONE_SOCIALE e alla concentrazione nel DI SARIO delle qualifiche di amministratore sia della capogruppo (originaria cedente), sia della controllata (cessionaria finale), impongono di pervenire ad analoghe conclusioni di inammissibilità anche per ciò che riguarda le censure formulate in punto di elemento psicologico.
Al di là della citazione giurisprudenziale effettuata, deve invero ritenersi immune da censure qui deducibili la valutazione – operata dalla Corte d’Appello proprio su quegli anomali quanto incontroversi presupposti – in ordine all’essersi il COGNOME consapevolmente avvalso a fini di evasione, nella dichiarazione presentata quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti: “tenuto conto dei frequenti rapporti tra le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (che, lo si ribadisce, negli anni 2012 e 2013 aveva emesso fatture solo nei riguardi delle tre società facenti parte del gruppo e per importi tutt’altro che irrisori), l’odierno appellante doveva essere anche a conoscenza delle caratteristiche della stessa (peraltro agevolmente verificabili data l’assenza di qualsivoglia struttura organizzativa, non avendo peraltro la RAGIONE_SOCIALE mai depositato bilanci né presentato dichiarazioni fiscali) e, dunque,
volontariamente si è avvalso di una ‘scatola vuota’ ai fini della predetta interposizione, realizzando in tal modo una evasione di IVA per importi in ogni caso apprezzabili” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
Occorre conclusivamente osservare che all’assoluzione del COGNOME da parte del Tribunale di Pistoia, con la sentenza ormai irrevocabile prodotta in allegato alla memoria conclusiva, non può in alcun modo attribuirsi il rilievo liberatorio – anche solo in una prospettiva di dubbio ragionevole – auspicato dalla difesa ricorrente, che su tali basi ha sollecitato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione anche del residuo reato ascritto al COGNOME.
È invero evidente, da un lato, che la mancanza di un adeguato confronto con le anomalie già più volte richiamate ha impedito la costituzione di un valido rapporto processuale, impedendo l’apprezzamento di una causa estintiva maturata dopo la pronuncia della sentenza di appello.
D’altro lato, è comunque opportuno evidenziare che, anche volendo in ipotesi prescindere da tale pur assorbente rilievo, emerge dalla sentenza del Tribunale di Pistoia che il COGNOME era stato tratto a giudizio per i delitti di cui gli agli art e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritti con esclusivo riferimento ad ulteriori rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE senza alcun riferimento alla duplice posizione di amministratore anche della RAGIONE_SOCIALE, che invece è risultata decisiva nella odierna sede. Deve pertanto ritenersi del tutto irrilevante, ai fini che qui specificamente interessano, il fatto che la spiegazione alternativa in ordine ai rapporti tra la COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, offerta dal COGNOME in quel procedimento (comunque relativo a vicende diverse da quella oggetto dell’odierna imputazione), sia stata ritenuta in quella sede meritevole di apprezzamento.
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del COGNOME al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, tenuto conto della causa di inammissibilità, appare equo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17 dicembre 2024
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Il Presidente