Fatture Soggettivamente False: La Cassazione Conferma il Reato
L’utilizzo di fatture soggettivamente false rappresenta una delle pratiche più insidiose nel panorama dei reati tributari. Anche se la prestazione è stata realmente eseguita, indicare un soggetto emittente diverso da quello effettivo può avere gravi conseguenze penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza questo principio, chiarendo che la sostanza dell’operazione non salva dalla responsabilità penale quando la forma è alterata per fini illeciti.
Il Caso in Esame: Identità Apparente tra Due Associazioni Sportive
Il caso ha origine dalla condanna di un imprenditore, legale rappresentante di una S.r.l., per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. L’imprenditore aveva utilizzato fatture emesse da un’associazione sportiva dilettantistica (ente A) per servizi che, secondo l’accusa, erano stati in realtà forniti da un’altra associazione calcistica (ente B).
La difesa dell’imputato, sia in appello che in Cassazione, si è basata su un’argomentazione principale: la sostanziale identità tra l’ente A e l’ente B. A suo dire, non vi era una reale diversità tra i due soggetti, rendendo quindi irrilevante quale dei due avesse formalmente emesso il documento fiscale. Tuttavia, i giudici di merito avevano già respinto questa tesi, evidenziando prove concrete della loro distinta identità giuridica e fiscale.
Le Prove della Distinzione tra gli Enti
Per smontare la tesi difensiva, la Corte d’Appello aveva valorizzato elementi inequivocabili, poi ripresi dalla Cassazione:
* Diversità formale: I due enti avevano denominazione, tipologia giuridica e partita IVA differenti.
* Prove fotografiche: Un dettaglio decisivo è emerso da materiale fotografico. Lo sponsor riconducibile alla società dell’imputato compariva sulle maglie della squadra dell’ente B (quello che aveva eseguito la prestazione), ma non su quelle dell’ente A (quello che aveva emesso le fatture).
Questi elementi sono stati ritenuti sufficienti per dimostrare che i due soggetti erano distinti e che la fatturazione era, appunto, soggettivamente falsa.
La Decisione della Corte: il Principio sulle Fatture Soggettivamente False
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, considerandolo una mera riproposizione di argomentazioni già esaminate e respinte. Citando un proprio precedente consolidato (sentenza n. 16576/2023), i giudici hanno ribadito un principio fondamentale in materia di reati tributari: il delitto di emissione (e conseguente utilizzo) di fatture per operazioni inesistenti si configura anche nel caso di falsità solo soggettiva.
Questo avviene perché, anche se la prestazione esiste, alterare l’identità di chi l’ha fornita permette di raggiungere il fine illecito previsto dalla norma: consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. La Corte ha specificato che il reato sussiste persino se non è stato accertato che si sia effettivamente verificata un’evasione d’imposta.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità su più fronti. In primo luogo, ha qualificato le censure difensive come ‘meramente reiterative’ e le argomentazioni come ‘atecniche’, come quella secondo cui l’ente emittente era ‘un soggetto giuridicamente simile’ all’altro. Questo tipo di difesa è stato ritenuto un tentativo di sollecitare una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge, non riesaminare le prove.
Le risultanze probatorie, come la diversità delle partite IVA e le prove fotografiche, sono state considerate ‘univoche’ e non scalfibili dalle argomentazioni difensive. Di fronte a prove così chiare, ogni tentativo di suggerire una lettura alternativa dei fatti si scontra con i limiti del giudizio di cassazione.
Conclusioni
Questa ordinanza offre un importante monito per imprenditori e professionisti: la correttezza formale e sostanziale dei documenti fiscali è un requisito non negoziabile. L’identità del soggetto che emette una fattura è un elemento essenziale dell’operazione. Utilizzare fatture emesse da un soggetto giuridico diverso da quello che ha effettivamente fornito il bene o il servizio, anche se l’operazione è reale, integra il grave reato di dichiarazione fraudolenta. La presunta ‘somiglianza’ o ‘affinità’ tra le entità coinvolte non ha alcun valore scusante e non protegge dalle pesanti conseguenze penali. La sentenza conferma che la lotta all’evasione fiscale passa anche attraverso la repressione di queste forme di falsità documentale, che minano la trasparenza e la correttezza dei rapporti economici.
È reato utilizzare una fattura per una prestazione realmente avvenuta ma emessa da un soggetto diverso da chi l’ha eseguita?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che questa condotta, definita ‘fatturazione soggettivamente falsa’, integra il reato di dichiarazione fraudolenta, perché consente a terzi di evadere le imposte.
Perché il ricorso dell’imprenditore è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le argomentazioni presentate erano una semplice ripetizione di quelle già respinte nei gradi di giudizio precedenti e perché tendevano a ottenere un riesame dei fatti, attività non consentita nel giudizio di Cassazione.
Quali prove sono state usate per dimostrare che le due associazioni sportive erano soggetti distinti?
La distinzione è stata provata sulla base della diversità di denominazione, tipologia e partita IVA dei due enti, nonché da risultanze fotografiche che mostravano lo sponsor della società dell’imputato sulle maglie della squadra che aveva effettuato la prestazione e non su quelle dell’associazione che aveva emesso le fatture.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8938 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8938 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GRAGNANO il 20/08/1955
avverso la sentenza del 28/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME – imputato del reato continuato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 28/03/2024, con cui la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza di condanna in primo grado emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta, essendovi sostanziale identità della emittente RAGIONE_SOCIALE rispetto alla RAGIONE_SOCIALE;
ritenuto che le censure presentino connotazioni meramente reiterative delle doglianze esaminate e motivatamente disattese dalla Corte territoriale, sulla scorta del condivisibile indirizzo interpretativo elaborato da questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di reati tributari, il delitto di emissione di fatture o a documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche nel caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, in cui l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e non vi sia, tuttavia, corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura o altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto, anche in tal caso, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto» (Sez. 3, n. 16576 del 01/03/2023, COGNOME, Rv. 284494 – 01, la quale ha precisato, in motivazione, che il delitto si configura anche nel caso in cui non sia stato individuato il soggett che abbia erogato la prestazione e in quello in cui non sia stato accertato che si sia concretamente verificata un’evasione d’imposta);
ritenuto in particolare che l’applicabilità di tale principio sia st adeguatamente comprovata, dalla Corte territoriale, con riferimento non solo alla diversità di denominazione, tipologia e partita IVA identificative dei due enti, ma anche alle risultanze fotografiche (lo sponsor della società del COGNOME compariva sulle maglie della squadra del GRAGNANO, e non della emittente RAGIONE_SOCIALE: cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);
ritenuto che tali univoche risultanze non possano ritenersi vulnerate dalla prospettazione difensiva, costretta a ricorrere ad argomentazioni all’evidenza atecniche (quale ad es. quella per cui il soggetto erogatore delle fatture “è un soggetto giuridicamente simile alla associazione RAGIONE_SOCIALE“: cfr. pag. 2 del ricorso), e comunque volta a sollecitare una diversa e più favorevole lettura delle risultanze acquisite, ovviamente preclusa in questa sede;
T
ritenuto che le considerazioni fin qui svolte impongano una declaratoria inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagament delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa d Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa de Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025 Il Consigli COGNOME estensore Il Presidente